di Clementina Gily, Editoriale
A Napoli servono ormai le larghe intese, quelle vere; perché il problema antico della città è che il potere non opera per Napoli – per Napoli-punto-e-basta – senza attributi: è la premessa necessaria della nostra vita associata.
È come le Leggi che per Socrate sono da rispettare senza se e senza ma. Napoli deve diventare l’indispensabile fine della battaglia per il territorio. Solo questo può consentire ad ognuno i suoi diritti riconosciuti.
La politica, va soggiunto, non è il luogo per gli interessi privati o di partito che prescindano da questa legge. Ovvio? certo, com’è ovvia la verità; ma, appunto, va rispettata.
Chi è profondamente liberale – appartenendo a qualsiasi partito – sa che è sempre bene e normale che si seguano i propri interessi; come sa che essi non siano necessariamente economici e non corrispondono a classi di reddito definite. Avere interessi vuol dire avere dei fini chiari, l’unico modo per dare forza al volano che giova a tutti; più sono coinvolti nel moto, tanto meglio è.
Ma se gli interessi sono bulimici, se lo sforzo è di assicurare solo il potere di pochi, si sviluppa il tentato monopolio, si pretende l’esclusione di quanti più concorrenti possibile, il broglio delle carte in tavola al fine di avere yes-men in numero cospicuo.
Questo non è liberalismo, anzi è il problema del liberalismo: che per definizione cerca di ridurre al minimo le regole e poi perciò rischia di diventare vittima di interessi privati. Si può ancora parlare di liberalismo, democrazia, socialismo – sono termini vecchi, specie se si conoscono le relative dottrine: ma purtroppo non ce ne sono altri, quindi per avere dei binari di discussione meglio continuare ad usarli – andrebbero ripensati, ma intanto la differenza è chiara e sta nei vocabolari.
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Bandire questi interessi è indispensabile ora, che si sviluppa l’ultima offensiva della camorra: le affermazioni di Carmine Schiavone – contestate dall’istituto Superiore di Sanità (Il Mattino, 30.10.13). Dare fiducia piena a un uomo che fa venire in mente al più mite il desiderio di vendetta efferata; il fatto che ora si confessi peggiora la situazione dal punto di vista morale. Un uomo del genere può pentirsi? Portategli dell’acqua santa e lo vedrete fuggire: e allora, come mai in un momento così opportuno tutta questa loquacità sui siti avvelenati, tutta questa enfasi sull’avvelenamento della sua patria e della sua casa? Non sarà perché sono già stati richiesti cospicui fondi nazionali ed europei per la bonifica dei territori e la camorra è diventata un abilissimo collettore di fondi con associazioni di vario genere intestate a persone innocue, che li recepiscono in grandi luoghi sotterranei donde poi ripartono per destinazioni varie, amici, parenti, collaboratori di maggiore e minore genuinità penale?
E se così fosse, non ci sarebbe da indagare opportunamente e collaudare in modo preventivo che un’eventuale nuova pioggia di denaro non segua esattamente le stesse strade già denunciate in passato da giornali, instant book, indagini: che elencano nomi e cognomi e situazioni – tanto che non si capisce se sognino incubi o se la magistratura abbia bisogno di capire come si fa a costruire le indagini.
Per il cittadino sarebbe addirittura meglio non sapere. Sono talmente tante le denunce chiare e lampanti cui non è seguito nulla: per fare un caso storico – quella villa di Arcore in cui si ricevono i potenti, si costruiscono mausolei, si fa jogging leggendo Erasmo – chi è vecchio si ricorda il caso dei Marchesi Casati, la figlia istupidita da tanta lussuriosa follia, di Berlusconi che l’acquistò e Previsti che circonvenne l’incapace… l’Espresso denunciò allora con nomi cognomi il ridicolo prezzo pagato per acquistare quella villa… nulla successe. Quale meraviglia che un simile racconto abbia avuto questo epilogo? Perché non si poté far nulla? L’unica spiegazione è in connivenze innominabili. È da sperare che ciò non si ripeta per Schiavone. Se così dev’essere, meglio non sapere: almeno i nostri giovani avrebbero speranza mentre hanno smesso di indignarsi.
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A questo proposito tocca una precisazione sull’euro, che anche in questo numero di Wolf viene messo in discussione: è una Giostra del Saracino che sceglie il bersaglio sbagliato. L’euro, come dimostra tanta parte della riflessione in corso in Europa, è un problema perché richiede politiche appropriate che non furono fatte e non sono state corrette – e devono esserlo nel futuro. Ma è in sé la via maestra verso una vera politica europea. Oggi l’Italia, ma anche la Germania, non ha possibilità seria di competere con paesi come Russia, Cina e Brasile, senza confluire nell’Europa. Un’Europa certo diversa da quello che è oggi, con delle caratteristiche che diano senso alla comunità politica che al momento è una teoria più che una realtà; ricca di tradizioni che meritano eroismo.
Il problema quindi non è tornare indietro sui progressi fatti, ma affrontare i problemi che essi hanno creato. In Italia va ricordato che la traslazione nazionale dalla lira all’euro fu fatta malissimo dal centro destra, che provvide a traslare integralmente i capitali finanziari, lasciando invece il passaggio nell’economia sociale affidato al caos, generando un vero e proprio raddoppio. Molti possono ancora ricordare le scritture dei prezzi che furono per un anno in lira ed in euro: si traslava da 1000 lire ad 1 euro – invece che da 500 a 1 euro. Nulla fu fatto allora per cambiare le cose, si aggiunse al danno la beffa dicendo che la gente si sbagliava per via delle monetine e delle banconote – ed altre simili amenità.
Comunque, ciò è solo storia, anche se ci si dovrebbe ricordare meglio del nostro passato. Ora si tratta di capire cosa fare: non certamente uscire dall’euro, comunque. Si deve invece liberarsi dei difetti che hanno portato a ciò, di praticare politiche indifferenti alla nazione e ai principi di solidarietà e troppo congiunte a quelle della finanza nazionale ed internazionale.