La filosofia italiana, oggetto di discussione attuale (5)

di Clementina Gily

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J. Connelly, Collingwood, Gentile and Italian neo Idealism in Britain

A. G. Pesce, The Integral Philosophical Experience of actualism

Saggi di B. Haddock (17-43), A. G. Pesce (45-72), J. Wakefield (73-103), A. Vincent (105-136), D. Coli (137-166), R. Peters (167-203), J. Connelly (205-234).

 

Rik Peters (The Actuality of Gentile’s Philosophy of History pp. 167- 204) tratto per ultimo perché ha esposto una visione panoramica dl questa linea di pensiero del 900, rivelandone la piena attualità a chi ne era già convinto, pur senza andare ad una vera e propria ripresa teoretica del tema (parlo per me, ovviamente). Ha saputo costruito una visione sistematica della linea di sviluppo di questo ‘idealismo’ – che si disse però da sé in tanti modi diversi – nel suo volume intitolato History as Thougt and Action, Croce, Gentile, de Ruggiero e Collingwood, dove ha avuto l’onere e l’onore di trattare delle opere maggiori e minori, a mio avviso, con equilibrio, capacità, acume. Un lavoro per altro nuovo nell’impianto e nei risultati, che Wolf recensì già alla sua uscita nel 2014 (nn. 19-20).

Con filologica sistematicità ed intelligenza, Peters ha chiarito le interrelazioni nel loro sviluppo storico e teorico, andando al nocciolo della visione attuale e costruttivista, erede di Vico e della sua metafisica della storia. Ciò Peters riesce a fare perché è uno studioso serio, ma anche perché non è italiano, e quindi salta le polemiche infinite tra tanti – non solo due – giganti della filosofia, che in Italia hanno impedito di tracciare un quadro così efficace. Per me, ad esempio, sono altrettanto importanti per capire il 900 italiano la linea Scaravelli, Antoni, Franchini, oppure Spirito, Bontadini, Severino, o anche Banfi, Cantoni, Paci… altri aggiungerebbero altri ancora, come i neoscolastici. Ma semplificare saggiamente il percorso è un esercizio di concinnitas, è la miglior guida, disse Leon Battista Alberti, per saper costruire architetture. Peters non ha fatto quattro storie, come ce ne sono tante; ha scritto una monografia tetradica. Così facendo, ha saputo cogliere l’essenziale e studiarlo negli scritti di autori che sono stati prolifici per ben un cinquantennio, senza trascurare piccoli scritti: una mole e capacità di lavoro ammirevoli.

Concludo perciò questa lunga recensione in 5 puntate con Peters, perché evidentemente inquadra il volto di Gentile nella giusta posizione nella galleria. Che consiste nell’affermazione unitaria del principio della fondazione teorica – nell’81 anch’io pensai a Parmenide. Ma la via unitaria invece destò infinite polemiche che annebbiarono lo sguardo proprio ai protagonisti maggiori del quadro, Croce e Gentile: che oggi nel testo di Peters gareggiano con i due minori, proprio perché loro non cedettero mai alla polemica, sempre credettero di parlare in nome del vero Gentile e del vero Croce, come dicevano. Così, hanno seguito la via maestra dell’unità distinzione, dell’idealismo costruttivo, della metafisica della storia come intesa da Vico e da Spaventa, autori che ciascuno dei 4 riprendeva a proprio modo: che per noi è chiara, invece, proprio perché si fa dei 4, è tetradica. È questa una via davvero interessante, su cui è bene riflettere, come Peters consiglia anche ai narrativisti: perché il narrativismo con Hayden White ha sviluppato la strada della filosofia che sa misurare l’importanza estetica della retorica nella teoria della conoscenza adeguata al terzo millennio: ma già gli eredi di White imboccano strade confinanti col nichilismo, e quando li ascolta il mondo della comunicazione si supera del tutto il confine dell’estetismo, con rischio di cadere nello story telling che si fa propaganda e negazionismo storico – non è un caso che l’ultimo romanzo di Umberto Eco, Il Cimitero di Praga, fosse una narrazione del negazionismo storico – la storia dei falsari, siano essi vincitori o vinti – la storia di chi non ha fede nella verità storica, dopo la “morte di Dio”. Il consiglio di Peters, giustissimo, è di tornare alla storia, agli storicismi, con esempi gloriosi come questi, intellettuali non traditori, perché la cultura conservi le tesi robuste ed interessanti, non liquide, non postmoderne, come le religioni dimostrano ancora esistenti e robuste. Il laicismo è una fede che troppi hanno tradito: ma non chi considera la vera storia, la storia non solo filologica ma animata dal problema – fuori e dentro le religioni, dov’è insomma la verità. Gentile, tra i quattro autori considerati, è certo quello che fonda il senso ‘ontologico’ della verità in senso vichiano, condensata nella parola chiave Atto Puro.

Il pensiero fonda nell’autoctisi, l’autofondazione. L’io-Io, l’Io empirico e l’Io Trascendentale che non esce da sé né suppone la natura – perché non è più l’Io di Fichte, vuoto sinché non scontra il non-Io. L’Io è già pieno di sé e di natura; non c’è ‘io’ irrelato. Io è la storia viva delle mie relazioni, il mio presente, non un’astratta identità: è la mia presenza che si oppone al passato ch’è diventato problema e lo trascende risolvendolo. La polemica che la tesi di Gentile aveva di mira non è conclusa, è la specializzazione dei saperi quando si fa crisi dell’unità spirituale, e mina l’azione.

Le competenze distruggono i paradigmi della cultura, ognuno diventa maestro del pensare comprendendo un centimetro, di cui solo è responsabile. La valutazione diventa è un trattato di retorica aritmetica che perde il significato della scelta. Gentile oppone a questa deriva, oggi matura, il nucleo dell’identità filosofica: basta questo per capire quanto sia attuale.

Gentile parla di logo concreto, sistematicità filosofica che è identità relazionale, io-tu-altri-situazione, parlando di una unità che le scienze umane affrontano in modo disorganico, analitico; qui prevale lo sguardo rivolto al bello, all’estetica come scienza rigorosa. È la forza di Gentile: la sua debolezza è il Sistema di Logica, quando per determinare l’unità sceglie la via hegeliana – come prima di lui Spaventa. La serie di triadi non può che culminare nel panlogismo, nel vuoto.

Ma per Peters Gentile è da riprendere per l’Atto di vita ricca e autonoma, un attimo fuggente che evita di limitarsi alla poesia, è costruzione forzata di coerenza storica, equilibrio di una visione sistematica. Una filosofia ‘concreta’ (vale a dire gentilianamente senza presupposti) cerca così di dominare l’indomabile divenire: è il problema di Gentile, Hegel, Spaventa e Marx, risolto nella storia – ma in una storia letta a modo proprio. Conviene parlare ancora con Gentile, ma non dimenticare il suo errore, tipico del pensiero moderno, di voler negare il sonno mistero del divenire, che se ha per sé il futuro ha per forza bisogna di una nuova azione ignota.

Hegel lasciò la fenomenologia per la logica; Spaventa reindirizzò la partenza dall’essere al divenire e poi scrisse il cammino triadico come poi Gentile; fu perché la scoperta di Kant di un altro conoscere veniva corretta con l’aristotelismo, come esplicitò Trendelenburg. La soluzione di Giordano Bruno e di Maurice Merleau Ponty fu diversa, ed è quella di lasciare la dialettica triadica per tornare alla diadica di Platone, al pensare estetico che fu la scoperta di Vico e Kant. È quella che restituisce all’azione in figura e parole l’importanza di capovolgere il presente nel futuro. innovando l’abitudine in uno stile vincente.

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Sistematicamente, Peters parte dall’inizio, vale a dire, non paia un paradosso, dalla causa finale – Bruno insegnò che le 4 cause aristoteliche tato studiate dalla scolastica sono in realtà una, che s’identificano nel principio, vale a dire che ogni volta occorre vedere sia cosa genera sia cosa si genera, causa efficiente e finale, che si sviluppano attraverso la formale e la materiale – è una sola cosa, è unità (De la Causa, Principio et Uno, secondo dialogo teoretico). Conoscere si può partendo dalla causa efficiente, il che vale per molte percezioni di cui ci si vuole rendere ragione, ma si può anche partendo dalla causa finale, metodo giusto per altre percezioni.

Allora, ciò che caratterizza la ricerca di Gentile è all’inizio la storia della filosofia – la tesi su Rosmini e Gioberti, poi il libro su Marx. Così interviene, pensiero-azione, nella questione filosofica politica e religiosa aperta in Italia con la conquista di Roma: donde il suo interesse per il Modernismo. Il Risorgimento, il socialismo che animava la vita parlamentare e sociale, Gentile unisce al problema post kantiano e post hegeliano: l’idea nazionale s’è rivestita con Spaventa dell’Anima Rinascimentale e di Giordano Bruno, ed è questa è la base del suo ‘superamento’ nel senso della circolazione del pensiero europeo di Spaventa. Cambiare il mondo si può, salvando la cultura, Gentile pensa ad una religione aperta e filosofica, fondata sulla fede nella presenza.

Molto bello ma anche molto astratto – non a caso le religioni non si limitano alla teologia. La storia poi insegna al parroco il tocco della comunità, il suo peso – l’astuzia della Ragione e la Provedenza sono difficili da vedere dal punto di vista degli io empirici; l’Io trascendentale così semplicemente li ignora e l’identità quotidiana dell’io-Io consente di mancare il richiamo che insegna la misura.

Gentile e Croce, impegnati nella lotta al vincente positivismo, nel distinguersi dagli storicisti tedeschi e dai filosofi dei valori, cadono negli idola fori, avrebbe detto Bacone. Per Gentile la lotta combatte il ‘fatto’ e combatte a spada tratta il ‘naturalismo’; l’identificazione con l’Io trascendentale diventa il solito gioco della trascendenza nella sua nuova veste immanente.

Rik Peters articola questa lettura qui detta in poco spazio, mostrandola nell’evolversi del suo positivo costruttivismo che diventa Sistema di Logica, conquistando concetti fondamentali come autoctisi e autosintesi, perdendo contatto però con la storia nel solipsismo dell’Io Trascendentale che nega l’altrui e l’imprevisto. Il mistero e il rischio sono l’opposto del soggetto che si auto trascende nella sintesi: la confusione è facile, porta al futuro solo la componente razionale.

Ma giova comunque il confronto: leggere Il concetto della storia della filosofia porta a vedere la diversità delle conoscenze nel rapporto coscienza autocoscienza (p.176), il che aiuta a comprendere come educare l’immanentismo alla creatività, agendo su questa trasformazione mutando i concetti di vero, arte, religione, azione (p.200) – oltre il mondo greco dell’essere è il tempo del mondo in divenire, un “full-blown constructivism”, commenta Peters.

Non è un’intuizione, è la conclusione di un pensare originale, ben strutturato nella conoscenza del passato recente: nell’inverno 1911 Gentile iniziò un vero e proprio programma di lavoro nelle conferenze poi divenute La teoria generale dello spirito come atto puro che argomentano l’autoctisi, termine che Harris definì “creazione dal nulla”: come quella che oggi Maturana e Varela, biologi, chiamano autopoiesis studiando le amebe – è il fine che crea l’evoluzione. La logica degli organismi, fisici e culturali, è nella loro capacità di autoorganizzazione. L’identità di storia e filosofia di Gentile non è intuizione, va alla dimostrazione, diversamente dalle filosofie della vita (Bergson e Blondel): a ciò mira il Sistema di logica – per l’obbiettivo resti fuori bersaglio, specie nel

secondo volume del Sistema, del ’22, il primo del 17 aveva chiuso la fase del primo attualismo iniziati col Sommario di Pedagogia del 12, con la sua interessante identità di filosofia ed educazione (p. 183). La guida della mente non è psicologica, se s’intende la scienza, è l’etica del sapere, circolare: Peters ricorda la convergenza con la fusione degli orizzonti di Gadamer (p. 191) – un solo Atto. La filosofia della mente è unità, Gentile lo esemplifica con un assassinio (p. 185) – argomento di moda, sono i tempi del positivismo giuridico, la rivoluzione socratica del giudizio penale. Perciò poi Peters ricorderà polemicamente a Gentile quanto sia in contraddizione con questa responsabilità globale ed unitario il suo agire politico in favore del totalitarismo, che così si rivela una caratteristica effettiva del suo pensare. Se “we are responsible for thinking the truth” (p. 192)… “may happen, even to the greatest champion of the freedom of thougth; is proven by the moment at which Gentile began to identify the etica del sapere with Fascist action” (p.202).

L’attenzione al sogno, alla sua divergenza dalla realtà, si vale del lungo discorso di Gentile su Ariosto in L’esperienza pura e la realtà storica 1915 (pp. 187-90). Esperire l’estetica del passato è anch’essa una teoria della presenza che fa del ‘that’ il ‘what’ – i due termini di Spaventa che per de Ruggiero e Collingwood diventano una fenomenologia e un problematicismo, in Gentile sono l’identità di res gestae ed historia rerum gestarum (p. 194) – ed è qui in realtà il punto dolente.

Parlare di Gentile, un classico, merita di parlarne non nelle Fondazioni loro dedicate, dove il gioco ha percorsi segnati: sono filosofi non poeti, danno argomentazioni, non si memorizzano, si discutono. Nemmeno gli storici della filsoofia possono dimenticare il problema storico.

Obiettare a Gentile che il suo Sistema esce dalle difficoltà del divenire costruendo un uruboro, un serpente che si morde la coda, un eterno ritorno dell’eguale, è negare il futuro dell’uomo, che è nell’azione a rischio, non nell’Atto Puro. Invece il presente io dell’atto è una concreta realtà circolare che è “a circle which always returns to its strating point” (p. 195).

Partire dalla causa finale consente invece di giungere al principio, che cambia nel tempo, che mira al why, non solo al because: ed ecco il moto dell’autosintesi che non passa per la necessaria ripetizione di momenti di un Sistema di Logica senza rischio: che però lascia in eredità l’importante pretesa di un “systematic whole” che disegni il metodo di lavoro della filosofia. Bsterebbe, suggerisco, che l’autosintesi divenisse fotosintesi, com’è in realtà degli organismi viventi, per cambiare tutto, introducendoci davvero in un cosmo dove Io e il Mondo – la mia presenza – sono in realtà separati solo da uno stretto confine. L’irruzione del sublime e del mistero che riflette la luce nel buio, e crea il silenzio e la parola, in un pellegrinaggio. Non può giovare a questo la luce abbagliante di uno specchio ustorio, quello riflettente di Archimede, che sa bruciare le navi come la vita stessa del filosofo.

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