di Roberta Capuano
L’Homo sapiens europaeus è <<bianco, serio, forte. Capelli biondi, fluenti. Occhi azzurri. Attivo, molto intelligente, inventivo. Vestito di abiti attillati. Governato da leggi>> mentre l’Homo sapiens asiaticus è <<giallo, malinconico, avido. Capelli neri. Occhi scuri. Austero, altezzoso, bramoso. Vestito di abiti ampi. Governato dall’opinione>>. (Systema Naturae di Linneo, 1758)
Gli stereotipi, considerati nella loro accezione negativa come qualcosa che “pregiudica” ed etichetta, come un parere superficiale dato senza approfondire, se utilizzati in modo consapevole, servono a produrre un’immagine specifica, a sollecitare associazioni e a sottolineare differenze che caratterizzano i vari Paesi: è l’uso, ad esempio, che ne fa il marketing territoriale. In un certo senso, gli stereotipi concorrono alla costruzione delle identità collettive. La costruzione di un sistema identitario avviene a partire dall’individuazione di modelli di comportamento generalizzati, dalla raccolta di episodi storici, tradizioni, miti, leggende legati ad un luogo, utilizzando talvolta costruzioni e artifici anche fantasiosi o esasperando ciò che è reale. Per identificare un popolo specifico si fa ricorso a riti collettivi, fedi e superstizioni, cerimonie relative ad eventi storici e comportamenti reiterati che diventano emblematici del corso del divenire del tempo. Tali semplificazioni collocano tutti i cittadini di un paese in un’unica idea di sintesi che facilita l’identificazione e spesso risulta anche utile.
Quella di caratterizzare popoli e nazioni è una pratica da sempre esistita e quanto più un “gruppo” è ben inquadrato tanto più cresce il senso di appartenenza ad esso e di separazione da tutti gli altri. Ogni singolo paese che fa parte dell’Unione europea si porta dietro, scolpito nella propria storia, uno stereotipo nazionale che in qualche modo, nel bene e nel male, gli conferisce una identità nazionale conosciuta: ciò significa che è piuttosto difficile far confluire in un’unica nuova identità europea tutto quanto è caratterizzante le singole realtà che la compongono. Eppure non è difficile pensare allo stereotipo americano, nonostante le enormi differenze esistenti addirittura tra un quartiere e l’altro della stessa città. Bisogna fare in modo che dalle singole specificità culturali, ben mescolate, venga fuori una nuova categoria cognitiva, una rappresentazione collettiva che rispetti la condita varietà multiculturale, multietnica e multilingue che possa poi disegnare il profilo di un’identità europea.
Certo è che ora ci troviamo ad attraversare un momento di transizione in cui il senso di appartenenza all’Unione è ancora prevaricato notevolmente dal senso di appartenenza alla nazione; chi va fuori dai confini comunitari, non si presenta come “europeo” bensì come italiano, francese, inglese, spagnolo…. ecco perché solo la comparazione con chi più ci appare lontano può far emergere qualcosa che si avvicini ad una visione comune dell’Europeo. Resta chiaro che i clichè e lo stereotipo stricto sensu dell’Europeo medio non sono ancora ben definiti. La cittadinanza europea non è sufficiente da sola ad affievolire il sentimento di appartenenza alla propria nazione in virtù dell’inserimento in un sistema più ampio. Il mantenimento di vecchi stereotipi si regge anche sulla deficienza politica dell’Europa che non si riflette in partiti propriamente detti né tantomeno in leader carismatici.
Una cosa è incontrovertibile: si è sempre il vicino di qualcuno e lo straniero di qualcun altro, in virtù delle condivisioni e delle differenze. È più facile allora pensare all’ “europeo” in contrapposizione all’ “americano”; la costruzione europea si afferma in antitesi agli Usa a partire dalla distanza esistente su grandi temi internazionali, come la guerra: gli Usa sono visti, soprattutto da noi europei, come imperialisti, bellicosi, anche un po’ violenti. Si fa strada per contrasto lo stereotipo europeo umanitario, bonario, prudente e, al contempo, quello negativo sugli Stati Uniti visti come insidiosi e guerrafondai.
Nell’immaginario collettivo globale, l’Europa è riconosciuta come pacifica, idea supportata dalla sua storia, come contraltare dello strapotere americano ed è il continente dell’evoluzione e della cooperazione. Eppure l’America è ancora il luogo in cui si possono avverare i sogni, è ancora il luogo in cui la meritocrazia consente un po’ di spazio per affermarsi ed emergere.
Nondimeno per molti versi l’Europa supera l’America, adoperando tutte le sue arti, dal saper vivere, al calcio, all’arte culinaria fino a giungere a temi più importanti quali, ad esempio, il trasporto pubblico e il sistema sanitario. Non tutti sanno che l’Europa vanta quattro nazioni nella top ten del sistema sanitario più efficace al mondo: Spagna, Svizzera, Italia e Svezia; ha metropolitane, treni, tram e autobus che ti portano praticamente ovunque; è risaputo che la cucina è di gran lunga superiore sotto ogni punto di vista, basti pensare alla varietà di formaggi europei, la pasta, il cioccolato. Sul fronte delle attrazioni storiche e turistiche poi il paragone non è nemmeno possibile, l’Europa ne è strapiena.
Se si fa una riflessione sui vicini, invece, fa sorridere il fatto che i cittadini dei singoli Stati definiscono “europei” gli altri, con un riferimento solo latente a se stessi. Nonostante ciò comincia pian piano a delinearsi il profilo dell’europeo visto degli stessi europei: secondo alcuni recenti sondaggi, si percepiscono come sommatoria di tutta una serie di valori su cui in passato si è formato l’intero sistema occidentale, ovvero l’europeo è libero, raffinato artista, capitalista ingegnoso, intellettuale, innovatore, scienziato….
Non tutto è così roseo, però. Se di stereotipo europeo si può parlare, è bene ricordare che, sempre in tempi recentissimi, si sono moltiplicati i cliché sugli europei del sud che, secondo i settentrionali virtuosi, sarebbero responsabili di aver provocato la crisi con la loro pigrizia e corruzione. Tali caratteristiche sono proiettate sia sui cittadini sia, e forse a maggior ragione, sui governi italiano, greco e spagnolo. L’origine della recessione economica e della crisi che ha travolto e ostacolato il percorso della costruzione europea sarebbe da ricercare in tali vizi nazionali. L’Europa della crisi, e il dato non è affatto sorprendente, riconosce i tedeschi come i più capaci, i più produttivi e i meno corrotti rispetto agli altri europei; ciascuno dei paesi economicamente più instabili indica se stesso come il più corrotto. Questo è dovuto, con buona probabilità, al fatto che si conoscono meglio i fatti interni rispetto a quelli degli altri paesi. Il dato comune e allarmante è che in tutta Europa l’Italia viene percepita come lo stato più corrotto.
Dunque l’Europeo medio esiste?
Esiste l’Europa del mercato comune, della pace continentale, delle frontiere aperte, del vivere bene, del patrimonio culturale, della buona cucina, delle belle arti. Ed esiste anche l’Europa degli stereotipi nazionali che nonostante i secoli restano saldi e non muoiono mai.
In varietate concordia, dicevano i latini, e non è un caso che tale locuzione sia stata assunta come motto dell’Unione europea, tradotta come Uniti nella diversità, che difende la coesistenza in armonia e nel rispetto reciproco delle differenze e dei diversi stili di vita. Può apparire paradossale, ma l’essenza dell’unificazione e della costruzione di un’identità europea sta proprio nella diversità, da un lato, e nell’universalità dei valori che condivide dall’altro. Esiste l’ “Europeo” soltanto in tale accezione.
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