di Viviana Reda
Il testo era finalmente lì. Lineare omogeneo, immobile. I segni erano molti, spesso oscuri, indecifrabili. Aggettivi d’ogni genere facevano capolino fin dal primo margine pronti a sfidarlo.
Parole e frasi lontane erano confluite in un unico linguaggio che si componeva per questo di termini desueti e gergali, di espressioni idiomatiche dal sapore inaudito, dal senso sconosciuto.
Restavano ancora fuori dalla sua opera, alcuni indecifrabili geroglifici. La complessità di tali segni affaticavano sempre più il mio unico occhio, ormai vecchio. L’altro, perso tra le pagine dei testi della mia formazione, era andato deteriorandosi fino a chiudersi per sempre. Da quel momento presi a scrivere il liber librorum, nella speranza che nella summa d’ogni sapere avrei potuto trovare la clavis universale: la vista che può restituire la visione completa del mondo.
Nelle parole cercavo la strada che mi portasse al centro dell’enigma, all’unico sguardo che sfugge ogni tempo. Ma per quanto mi affannassi a ricercare un ordine, i segni che mi sfilavano davanti erano come ombre, doppi sbiaditi e oscuri di un originale disperso.
M’accasciai derelitto allo scrittoio rivolgendo al cielo e al suo silenzio un supplice sguardo. Le stelle brillavano illuminando le carte.
D’un tratto notai con orrore una lugubre assenza e riconobbi in un simbolo il disegno delle stelle scomparse nella notte. Ma nell’arabesco tracciato sul foglio una linea prepotente d’inchiostro spaccava in due il simbolo, come se le due parti, separate, togliessero al segno il suo potere di diventare reale.
Guardavo quel mistero da ore quando mi sorprese, oramai esausto, un sonno profondo.
Fu allora che i segni, fino ad allora inermi, cominciarono ad animarsi, a prendere forma. Dinanzi a me la metà del geroglifico del Cancro si distese sul pavimento e da essa lentamente si profilarono i contorni di una parete ricurva, quasi una spirale. Mi allontanai dallo scrittoio e, percorrendo il corridoio in direzione del laboratorio mi ritrovai in un luogo affatto nuovo ed estraneo. Intorno a me, sulle pareti circolari, disegni di coppe, cuori, e svastiche sembravano indicarmi la via. I segni, graffiti sulle mura di questo sotterraneo passaggio, sembravano ripetersi ciclicamente, infittirsi sempre di più come se volessero indicarmi l’avvicinarsi di un centro. La luce fioca della galleria non consentiva di leggere con precisione tutti i simboli, ma nel procedere mi accorsi d’esser quasi giunto alla fine. Le volute delle pareti; ora più strette, mi costrinsero quasi a girare su me stesso, prima di trovarmi di fronte ad una porta assai simile a quella del mio laboratorio.
Sulla porta c’era disegnato un grande triangolo ed all’interno di esso una circonferenza con un piccolo cerchio nero al centro. Il centro del centro: sembrava giunto il momento in cui ogni mistero sarebbe stato svelato, in cui finalmente l’uno avrebbe riacquisito il primato, il doppio sarebbe scomparso, il libro concluso. Il simbolo sulla porta cominciò a roteare sempre più forte e ciò che in prima istanza sembrava una sfera si fece un cono che roteava su se stesso velocemente. Il piccolo centro nero apparve per ciò che era, non un segno, ma un buco, vuota serratura priva di chiave. Aprii dunque la porta e con enorme stupore vidi, dietro di essa, il mio studio, il mio scrittoio e seduto sulla mia poltrona un uomo con la mia stessa barba e il mio stesso sorriso, ma il suo occhio era l’Altro del mio, il suo doppio perduto.
L’uomo scriveva il mio libro e traduceva i simboli manoscritti ignorando il mio lavoro. L’uomo si chinava su di me e traeva da me ispirazione per completare il senso d’ogni scrittura.
Quando mi riebbi, ancora sbalordito, mi accecò la luce della costellazione del Cancro che, luminosa e lontana, brillava radiosa. Il suo dissidio era finito, e forse anche il mio, anche se mai bene capii dove fosse finito l’uomo dall’Altro occhio. So solo che al mio risveglio il buco nero ch’avevo attraversato mi apparve in un’ampolla nera d’inchiostro, buco nero d’ogni parola, creatore dell’originale e del suo doppio, nera linfa d’ogni visione.
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