Abstract – tesi di laurea in Beni Culturali (triennio), Estetica, rel. Prof. Gily, 2012
di Salvatore Bevilacqua
John Ruskin nasce a Londra, al numero 54 di Hunter Street (Brunswick Square) l’8 febbraio 1819. Appartiene ad una famiglia borghese, di facoltosi commercianti di sherry. Il padre John James era un uomo dotato di talento pratico e di buon gusto, aveva una visione convenzionale della vita, la madre Margaret Cox era una donna profondamente religiosa, figlia di un marinaio. Figlio unico, i genitori di Ruskin vissero col figlio fino alla loro morte.
Per motivi di affari del padre, la famiglia Ruskin viaggiava per l’Inghilterra e la Scozia, ed in queste occasioni si fermavano a visitare i luoghi di maggiore interesse artistico e paesistico.
I primi lavori pubblicati di Ruskin sono stati:
– Un saggio sulle stratificazioni geologiche del Monte Bianco;
– Una nota sulla perforazione di un tubo di piombo fatta dai topi;
– Un’inchiesta sulle cause del colore dell’acqua del Reno.
Il primo lavoro su questioni di critica d’arte di Ruskin risale al 1836; si tratta del “Saggio in difesa di Turner”, scritto contro il “Blackwood’s Magazine” che aveva attaccato il pittore, pubblicando la prima delle due celebri lettere al giornale britannico “The Times”, in cui un giovanissimo Ruskin difende l’opera di William Turner criticato fortemente nell’ultima mostra organizzata alla Royal Academy proprio nel 1836.
Dopo essersi riuscito a laureare nel 1842 ad Oxford, tra l’autunno e l’inverno si dedica alla stesura del primo dei cinque volumi della sua opera più famosa: “Modern Painters”
Il 10 aprile 1848 sposa Euphemia Chalmers Gray, la figlia di un socio del padre. E’ un matrimonio di interesse, infatti il matrimonio non viene consumato per colpa di John e i due sposi sono infelici, infatti si lasceranno cinque anni dopo.
Da questo momento in poi assistiamo nella personalità di Ruskin ad un crescente interesse verso i problemi sociali che lo spingono a tenere delle conferenze in varie città inglesi per sostenere le sue idee rivoluzionarie. Egli concepisce una società di spirito medioevale liberata però dalla crudeltà del feudalesimo e dalla superstizione del cattolicesimo. Una società ordinata, arricchita dai vantaggi delle comodità dell’epoca moderna.
La fine della vita di Ruskin vede il fallimento delle sue idee rivoluzionarie, nuove delusioni amorose e la comparsa di problemi psicologici che comprometteranno il suo equilibrio mentale portandolo alla pazzia attraverso allucinazioni e disturbi del sonno che lo costringono ad abbandonare le sue attività potendosi dedicare nei momenti di lucidità alla stesura della sua ultima opera “Praeterita” che è una raccolta di ricordi e di osservazioni. Trascorse gli ultimi undici anni della sua vita in coma, morendo il 20 gennaio del 1900 oggi la sua tomba si trova in Inghilterra nel cimitero di Coniston.
L’ATTEGGIAMENTO DELLA CRITICA ITALIANA ED INGLESE NEI CONFRONTI DI JOHN RUSKIN
La critica italiana si è occupata raramente di John Ruskin, i pochi scritti critici apparsi su di lui hanno sempre proposto l’immagine di un autore concentrato sui problemi del restauro, antiprogressista ed antitecnologico, moralista, polemico e contradditorio. Anche le traduzioni hanno contribuito a mortificare la complessità di questo personaggio che ai suoi tempi era famosissimo.
La situazione cambia osservando l’atteggiamento della critica di lingua inglese. Il repertorio bibliografico più completo su Ruskin è quello di K.H. Beetz degli anni ‘70, da quell’anno in poi decine di volumi hanno contribuito ad analizzare gli scritti e l’opera grafica di questo autore. Ciò dimostra come Ruskin sia stato e rimanga per la cultura europea ed americana dell’Ottocento e del Novecento una figura con cui è necessario confrontarsi, la cui grande attività si è intrecciata ai fenomeni culturali più significativi del suo tempo, ci troviamo nell’Inghilterra vittoriana, periodo di grandi trasformazioni culturali, politiche, economiche e sociali.
IL PREGIUDIZIO INGLESE SU JOHN RUSKIN
Anche se negli anni successivi al centenario dalla sua morte, sono apparse sulla figura di John Ruskin nuove edizioni delle sue opere, antologie, traduzioni, cataloghi di mostre e atti di convegni, che testimoniano il duraturo interesse su tale personaggio, l’eredità teorica di Ruskin non si può dire sia stata ampiamente approfondita nello stesso modo. La critica di lingua inglese tende a non liberarsi dal pregiudizio secondo cui Ruskin pur essendo considerato un autore ricco e complesso, capace di grandi suggestioni e di un potere comunicativo notevole, resti privo di un disegno teorico globale nel campo dell’estetica.
In realtà si può affermare che al di là della complessità e dell’apparente dispersività della sua opera, è possibile rintracciare un preciso progetto teorico che ne costituisce la vera guida, e che ricompone la molteplicità dei suoi interessi.
Il pensiero di Ruskin non va letto in pagine isolate, ma nel disegno complessivo che risulta dalle sue opere.
LE TEORIE ARCHITETTONICHE
Le teorie architettoniche di Ruskin risultano più chiare a chi conosce la sua mentalità religiosa, infatti la prima domanda che Ruskin si pone a proposito dell’architettura è se l’opera dell’uomo potesse rendere onore a Dio. La sua risposta affermativa poggia sulla conoscenza approfondita della Bibbia, (che egli era costretto a leggere ad alta voce da bambino per due ore al giorno) riallacciandosi all’immagine del sacrificio levitico. Ruskin ritiene che il carattere di Dio rivelato nell’Antico Testamento sia lo stesso rivelato nel Nuovo. Perciò egli sostiene che l’intermediazione sacrificale può tuttora avvicinare a Dio l’uomo capace di offrire la propria opera. L’affermazione non vale solo per l’architettura religiosa, ma per ogni oggetto architettonico che deve avere una dimensione sacrale.
RUSKIN FILOSOFO – IL PENSIERO DI COLLINGWOOD
Quella di John Ruskin non è una filosofia o una teoria estetica attenta a sviluppare e risolvere i problemi proposti dalla tradizione in una nuova sistemazione: il suo messaggio è globale. Solo tenendo presente questo possiamo formulare un giudizio su un uomo che seppe essere un individuo coerente, pur nella grande molteplicità di interessi, che gli attrassero molta notorietà e riscontri già in vita.
Ruskin si ritiene un critico d’arte, ma in realtà lo possiamo definire un narratore della natura e dell’arte; non si ritiene un filosofo (e quindi esperto d’estetica), eppure, tale lo definisce il filosofo inglese Robin George Collingwood. Egli aveva avuto con lui familiarità, essendo il padre segretario di Ruskin (i due usavano passeggiare insieme per le campagne seguendo la comune passione per l’archeologia. Collingwood apprese così da Ruskin la passione che ne fece un professore di Oxford dove insegnò storia della Britannia romana prima di passare agli studi di filosofia). Collingwood lo definisce filosofo in quanto oggi per comprendere l’opera di Ruskin bisogna considerarla nel suo complesso e valutarne proprio nella complessità la statura. E’ questa considerazione che ha portato Collingwood a definirlo filosofo, perché la filosofia è l’occhio della totalità, dell’universale. E’ una considerazione paradossale perché considerando l’opera di Ruskin nel suo complesso, si scopre facilmente che nei suoi scritti non c’è un trattato di filosofia, un’eccezione che conferma questa regola però si trova nel secondo volume di “Modern Painters”, quando parla della dottrina della Facoltà Teoretica, Ruskin afferma che la pittura e la scultura sono arti sublimi che assumerebbero la loro giusta posizione nella mente umana solo se non si commettessero due errori fatali e diffusi relativi alle nobili facoltà mentali in esse contenute, ovvero la facoltà teoretica e quella immaginativa. La facoltà teoretica fa riferimento alla percezione ed alla valutazione morale delle idee di bellezza (le quali si ottengono attraverso la contemplazione del bello in cui la natura rivela la sua componente divina), l’errore sta nel considerarla “estetica” concentrando l’attenzione sulla semplice percezione e sulle sue modificazioni. La facoltà immaginativa è quella in cui la mente considera o combina in un certo modo le idee che ha ricevuto dalla natura esterna.
Questa definizione di un Ruskin filosofo descritta da Collingwood, deriva dal fatto che Ruskin non fu un filosofo se il termine s’intende nella maniera tradizionale che tutti conosciamo, ma lo fu nello spirito. Ruskin aveva una propria filosofia, importante ed interessante, ma non sviluppata con la necessaria metodologia filosofica.
L’essenza del messaggio di Ruskin filosofo, seguendo l’indicazione di Collingwood, sta proprio nell’inseparabilità dell’esperienza morale da quella estetica.
IL RAPPORTO DI RUSKIN CON TURNER ED I PRERAFFAELLITI
Un aspetto importante della persona di Ruskin è il suo rapporto con William Turner e con i Preraffaelliti.
John Ruskin elogia la pittura preraffaellita e lo spirito neogotico, trova che nel movimento e poi nella realizzazione delle opere di questi autori stia nascosto un segreto che restituisce all’arte qualcosa che va perdendosi. Siamo sul finire dell’Ottocento, stanno per nascere le avanguardie artistiche, Ruskin rappresenta un elemento controcorrente rispetto alla moda che era in vigore, influenzò molto la storia dell’arte e la letteratura inglese, egli viene indicato come colui che ha portato al successo lo stile neogotico e che ha influenzato l’architettura inglese e americana. Eppure Ruskin non fu affatto entusiasta di questo successo in quanto afferma che questo stile copiava solo l’esterno di uno stile medioevale senza poterne catturarne l’anima, che invece nei Preraffaelliti vedeva presente. Sulla scia del neogotico, Ruskin scopre lo stile gotico grazie alla città di Venezia, infatti scriverà anche un’opera “The Stones of Venice” (Le pietre di Venezia), dove capisce l’anima di questo stile.
Se nella sua età matura, Ruskin è soprattutto vicino ai Preraffaelliti, a 17 anni era diventato il tenace difensore dell’ultrasettantenne William Turner, un pittore di paesaggio, che per molti anni aveva disegnato in bianco e nero, dipingendo soprattutto oceani e navi con tratti ben determinati. Nella mostra del 1836 alla Royal Academy aveva esposto invece altri suoi quadri più efficaci, non solo composti in colori come già in dipinti del suo primo stile, ma privati della precisa descrizione che caratterizzava quelli, questi sono composti da un nucleo centrale di significato, sino a rendere il colore protagonista di un’emozione contagiosa, come nel caso del dipinto di William Turner “L’incendio della Torre di Londra”, che non è una descrizione fantastica di un luogo, ma la propria visione che scrive un’emozione sprigionata dai colori e dalle fiamme. Lo sguardo di Turner vede lontano, nell’interno, dando forma all’impressione, con largo anticipo rispetto all’Impressionismo francese, quindi una chiara anticipazione dei tempi futuri, che Ruskin coglie subito nel suo effettivo significato, e benché giovanissimo si lancia in una difesa che riesce a far rumore, pubblicando una lettera sul “The Times” dove difende il pittore criticato per l’ultima mostra. Diventa il più grande collezionista di Turner ed il suo più grande amico fino alla morte, dedicandogli il primo volume dei “Modern Painters”. Turner lo nomina suo esecutore testamentario, e Ruskin fu un attento catalogatore e conservatore delle sue opere: volle sempre dare a queste un’esposizione conforme al loro stile, ideando un labirinto della memoria. Lo sguardo di Turner disegna l’occhio che vede lontano, la forma dell’impressione. Ruskin afferma che Turner è uno dei pochi artisti capaci di rappresentare gli umori della natura in modo emozionante e sincero, come se il pittore si facesse interprete diretto di una visione che lo sovrasta.
Il mondo dei Preraffaelliti è diverso, ma l’esito è lo stesso: inseguire e descrivere la luce, fidando nella sua connessione armonica, che lega significato e senso. I Preraffaelliti si perdono nel dettaglio, c’è un’ossessiva insistenza su di un solo punto, come nel caso dell’ “Ofelia” in cui Millais per rendere al meglio l’ambientazione naturale del dipinto si trasferì lungo le rive dell’Hogsmill River, dove poté studiare con rigore scientifico la vegetazione.
Ruskin afferma di apprezzare i Preraffaelliti per la cura del disegno e lo splendore dei colori delle loro opere. Essi non imitano la natura, ma la dipingono così com’è intorno a loro. In questa inesausta ricerca del dettaglio curiosamente compare quello stesso spirito di Turner di voler insistere cercando di nascondere la figura protagonista del pittore per lasciare pieno spazio alla composizione divina del tutto.
La pittura presbite di Turner, che da lontano vede comparire un ordine superiore, si completa in quella vivida del preraffaellita che la fa emergere dalla cura ossessiva del particolare.
In Turner e nei Preraffaelliti si parla di Luce divina che pochi sanno vedere.
Quindi in pratica possiamo ribadire che nonostante la grande differenza di stile, di pensiero e di contesto storico, Turner e i Preraffaelliti sono rivolti nella direzione di voler in qualche modo rappresentare e comunicare nei loro dipinti quella che viene definita la verità della natura.
LE TEORIE SUL RESTAURO: IL CONFRONTO CON VIOLLET LE DUC
E’ a Ruskin e a Viollet Le Duc che si attribuisce la paternità dei concetti sui quali è fondato il moderno restauro, di fronte ai problemi della conservazione e del restauro dei monumenti, Ruskin e Viollet Le Duc hanno posizioni completamente opposte.
Ruskin vede intorno a se la minaccia di una società capitalista in rapido sviluppo, produttrice di speculazioni edilizie dannose per la città e per un patrimonio monumentale danneggiato dall’assenza di manutenzione e dall’abbandono. La sua è una posizione critica del tutto estranea ad ogni impegno diretto di carattere operativo.
Ruskin non ebbe mai a compiere alcun intervento diretto sui monumenti, ma giunse ad interessarsi non tanto della pratica, quanto della teoria del restauro, a conclusione di una ampia ricerca estetica.
Per Ruskin l’intervento di restauro, così come veniva correntemente inteso a suo tempo, rappresentava la forma peggiore di distruzione. L’unico intervento ammissibile per lui era quello di manutenzione.
Diametralmente opposta a quest’ultima tesi si dimostra quella dell’attivo restauratore ed architetto che fu Viollet Le Duc .
La sua posizione era quella di operare il restauro ripristinando il monumento in forme moderne con i materiali dell’epoca. Si tratta di posizioni diverse, ma quella di Ruskin aderisce meglio allo spirito della nostra moderna teoria del restauro; noi conserviamo i monumenti per assicurare la trasmissione del bene alle generazioni successive conservandone il senso, ciò qualifica John Ruskin come il vero fondatore e precursore delle moderne teorie del restauro.
CONCLUSIONI
Concludendo, Ruskin è importante per tutte le sue sfaccettature, non può essere inserito in una categoria precisa, ma possiamo definirlo come un grande studioso che si è occupato di diverse problematiche, ha sicuramente lasciato un segno nella storia della cultura occidentale e per la sua personalità possiamo dire che egli è estremamente moderno cercando di ribellarsi alla società che lo circondava, egli si conferma in ciò un uomo completo, capace di interessarsi ai problemi sociali e artistici mostrando sensibilità teorica. Da ciò si conferma la tesi do Collingwood in cui Ruskin pur non essendo un filosofo, ha saputo guardare ai problemi con occhio filosofico.
BIBLIOGRAFIA
Adorno Piero, Mastrangelo Adriana, Espressioni d’arte 2: dal Seicento ai giorni nostri, Casa editrice G.D’Anna, Messina Firenze, 2004, pp. 109; pp. 143-145.
Benjamin Walter, Angelus Novus a cura di Renato Solmi, Enaudi, Torino, 2006, Parigi. La capitale del XIX secolo, pp. 145-160.
Bonini G.F., Jamet M-C, Littèrature et Civilisation Françaises 2, Valmartina, Torino, 2003, pp. 43.
Collingwood Robin George, Lo svanire della ragione, scritti di estetica e di filosofia della religione, a cura di Massimo Iritano, Editore Rubbettino – citazioni tratte dalla lettura delle bozze, su gentile concessione del curatore.
Di Stefano Roberto, John Ruskin: interprete dell’architettura e del restauro, Napoli: edizioni scientifiche italiane, 1969, pp. 25-46; pp. 59-99; pp. 195-200 (utilizzate per la cronologia delle maggiori opere di John Ruskin).
Lamberini Daniela (a cura di), L’eredità di John Ruskin nella cultura italiana del Novecento, Firenze, Nardini Editore, 2006, pp. 109-118.
Leoni Giovanni (a cura di), John Ruskin, Opere, Roma Bari, Editori Laterza, 1987, Prefazione; pp. 21-49; pp. 77-132; pp. 185-191; pp. 208-214.
Raia Ciro, Pantaleo Nicola, Storia 2: dal Rinascimento alla fine dell’800, Città di Castello (PG), Fratelli Ferraro Editori, 1998, pp. 452-457.
Scrimieri Rita (a cura di), Arte e Storia dell’Arte, vol. 3°, Tomo A, Milano, Minerva Italica, 2002, pp. 56-57; pp. 65-66; pp. 68; pp. 103-105; pp. 129; pp. 183-186; pp. 226-229.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.