Islam politico: cause e finalità

di Francesco Villano

Il periodo della storia dell’islam che va fino alla fine del XVI secolo, cioè fino alla fine del suo primo millennio di vita, può essere definito come: ”islam classico“. In questa fase l’islam, anche se evidenzia notevoli trasformazioni, può essere trattato come un tutt’uno omogeneo, poiché i principi di fondo, pur evolvendosi e adattandosi al nuovo che lo svolgersi della storia andava a proporre, sono rimasti perlopiù immutati. Questa fase è stata caratterizzata dal principio del consenso della comunità (igmà) che, pur rimanendo fedele ai valori fondativi, ha permesso all’islam quelle innovazioni e quelle modifiche sollecitate dallo scorrere del tempo e dalle diverse caratteristiche delle aree in cui andava ad insediarsi; ha altresì permesso alla civiltà arabo-islamica di raggiungere l’acme del proprio sviluppo.

Alla scadenza del primo millennio (1591 del calendario gregoriano) questa prassi entra in crisi a causa dell’irrigidimento dei vari punti di vista presenti nell’islam per cui ogni scuola inizia ad avocare a sé la giusta visione delle cose screditando quella degli altri, chiudendosi al confronto oltre che causando una diffusa disgregazione politica e morale. Viene così a cadere quella visione unificante che aveva da un lato caratterizzato i primi dieci secoli dell’era islamica e dall’altro permesso alle varie scuole di rimanere unite pur mantenendo la loro specificità. Si presenta così l’esigenza di un rinnovamento. Quindi intorno all’anno mille dell’egira si passa dall’ ”islam classico” all’ “islam moderno”. Da questo momento in poi gli intellettuali islamici si confronteranno in nuovo modo con le problematiche che la storia presenta loro, anche se con esiti divergenti. Due sono le principali articolazioni in cui confluiscono i diversi orientamenti interpretativi del reale. Vi è una prima corrente che propone un ritorno al passato quasi acritico; tra l’altro si afferma che un ritorno letterale alle fonti primarie dell’islam, Corano e Sunna, basterebbe da solo ad allontanare il decadimento in atto. La seconda corrente si limita a stigmatizzare eventuali eccessi e deviazioni che possono aver caratterizzato alcune linee evolutive dell’islam, ma non considerano come sbagliati e condannabili globalmente gli sviluppi che l’islam ha avuto nel corso della storia. La più grande differenza tra questa seconda corrente e la precedente si coglie sulla questione dell’igmà. Per i primi, Corano e Sunna da soli risultano essere i punti di riferimento della dottrina; mentre per i secondi,oltre ovviamente al Corano e alla Sunna, riveste fondamentale importanza l’igmà al quale è strettamente legato l’igtihad (sforzo interpretativo), cioè la capacità degli studiosi di rielaborare i dati della rivelazione. Nel primo caso, con la sclerotizzazione delle concezioni tradizionali, qualsiasi innovazione viene stroncata sul nascere; mentre nel secondo rimangono aperte le porte al nuovo che bussa.

Principali correnti riformatrici

Nella penisola araba, nel XVIII secolo, sorse il movimento Wahhabita, fondato da Muhammad ibn’Abd al-Wahhab (1703-1792). Esso ebbe rapida ed ampia diffusione grazie soprattutto all’appoggio di Muhammad ibn Sa’ud (m. 1765), leader della potente tribù dei Banu Sa’ud. Il wahhabismo riteneva necessario tornare al Corano e alla Sunna, eliminando tutto ciò che si era sovrapposto ad essi nel tempo, così da poter riavere un islam non alterato da alcuna innovazione. Questa esigenza nacque anche a causa della situazione politica mondiale del XVIII secolo. Allora il mondo musulmano era egemonizzato da tre imperi rivali: l’ottomano, il safavide e il moghul, con i rispettivi baricentri nella penisola anatolica, nell’altopiano iranico e nel subcontinente indiano. Questa costante rivalità non faceva altro che indebolire il mondo musulmano che già subiva la costante penetrazione europea (ritirata degli ottomani nei Balcani; avanzata degli inglesi in India; etc.). Contro questa situazione si rivolse, tra l’altro, la predicazione dei wahhabiti, che, in effetti, si indirizzò non tanto verso le potenze straniere quanto verso quelli che secondo loro tradivano e avvilivano l’islam dall’interno. Le concezioni di Ibn ‘Abd al-Wahhab si possono far risalire a Ibn Taimiyya e a un discepolo di questi, ibn Qayyim al-Gauziyya (m. 1350), fautori di un islam radicale. Ibn ‘Abd al-Wahhab espose le sue idee in un breve e ricco trattato: “Il Libro dell’unità”. Con l’alleanza stipulata con Ibn Sa’ud nel 1744 il movimento da religioso divenne politico militare e dichiarò la guerra santa agli altri musulmani considerati miscredenti. Nella bandiera saudita (due sciabole incrociate sotto una palma di datteri ) è riflesso il simbolo di questa santa alleanza. Erano contrari a chi interpretava l’islam diversamente da loro ed erano particolarmente avversi al misticismo dei sufi. In nome di un hadith in cui si dice: “Non lasciate tomba elevata senza spianarla”, si resero responsabili di distruzioni e saccheggi di mausolei e monumenti, anche di quelli più venerati. Inoltre furono bruciati libri contenenti temi contrari al loro credo, spesso con la condanna a morte di chi li aveva scritti, copiati, o usati per insegnare. Conquistarono tutta la penisola araba, spingendosi fin verso la Siria e l’Iraq meridionale. A questo punto il sultano ottomano reagì e con l’aiuto del pascià egiziano, nel 1818, riuscì a domarli. Lo Stato saudita cessò di esistere, ma la dottrina wahhabita sopravvisse e, a partire dal 1823 circa, un altro membro della dinastia Saud riuscì a ricostituire il principato; anche allora decisiva fu l’alleanza con i wahhabiti. C’è da dire che nel corso del tempo era mutato l’atteggiamento verso gli altri musulmani che, a loro volta, non li reputarono più scismatici. Alla fine l’affermazione definitiva nella penisola araba sia del wahhabismo che della tribù dei Sa’ud fu posta da un altro discendente della dinastia, Abd al-Aziz ibn Sa’ud, che nel 1902 conquistò Riyadh. Ancora oggi l’Arabia Saudita occupa un ruolo preminente nell’universo arabo-islamico, in particolare con il sostegno offerto a molte organizzazioni islamiche che operano in tutto il mondo. Quello dei wahhabiti è stato ed è una sorta di riformismo alla rovescia, dove piuttosto che proporre qualcosa di nuovo si è voluto riattualizzare un passato visto come ideale. Rimane a loro il merito di aver sollevato per primi la questione della necessità di riformare l’Islam, anche se le soluzioni proposte non erano adeguate alle sfide che si prospettavano all’orizzonte.

Anche nel subcontinente indiano, durante i secoli XVII e XVIII, si presentarono delle istanze riformatrici all’interno del mondo musulmano. Due atteggiamenti, tra loro contrapposti, caratterizzarono la comunità islamica: da un lato si affermarono strutture di pensiero che non si allontanarono troppo dalla sensibilità religiosa hindu; dall’altro ci si rifece al pensiero islamico degli inizi, accentuando quegli aspetti che divergevano dalla tradizione vedico-brahmanica. In questo periodo si snoda la vicenda di Shah Wali Allah (1703-1762), una delle figure più rilevanti in assoluto di tutto il pensiero islamico. Il padre, uomo di grande conoscenza giuridica e di profonda spiritualità, gli trasmise la fedeltà alla tradizione unitamente all’interesse per il sufismo.

Studiò il persiano, l’arabo, molte opere fondamentali della tradizione islamica, oltre che medicina, filosofia, grammatica, retorica, aritmetica e geometria. Una volta cresciuto si recò in Arabia dove soggiornò per più di un anno. Ritornato a Delhi fece tradurre il Corano in persiano e urdu (lingua parlata dai musulmani dell’India) sì da rendere il messaggio divino più accessibile a un maggior numero di credenti. I musulmani più tradizionalisti lo criticarono in nome del principio della inimitabilità e intraducibilità del testo sacro; non tutti però lo contrastarono, e tra questi lo stesso imperatore moghul. Shah Wali Allah fu un educatore capace di agire nelle profondità delle coscienze dei suoi allievi, e gli effetti di tale lavoro si coglieranno nei cambiamenti futuri che si verificheranno nell’islam. Se da un lato esortò i principi musulmani a difendere e promuovere l’islam in ogni modo, dell’altro era fautore della separazione tra politica e religione. Agendo e vivendo in un contesto in cui la comunità musulmana era minoranza oltre che divisa al suo interno, operò su due fronti: da un lato presentava le verità religiose insieme a argomentazioni filosofiche e sociologiche così da renderle comprensibili e accettabili ad un più vasto pubblico; dall’altro cercò di sminuire le differenze tra le varie scuole giuridiche islamiche, affermando che erano storicamente superati i motivi che le avevano causate. Nella sua vasta produzione, caratterizzata da un peculiare rinnovamento del pensiero islamico, anticipò i riformisti dell’800: rifiutando il taqlid (imitazione) e accettando l’igtihad (libero sforzo interpretativo capace di generare una dinamica innovativa); relativizzando norme fissate dalla tradizione, e ormai non più attuali; armonizzando ragione e Rivelazione, e affermando con chiarezza la sua contrarietà a una fedeltà rigida e acritica verso gli insegnamenti delle autorità del passato e, allo stesso tempo, auspicando un ricorso diretto ai testi. In effetti egli fu un deciso assertore del libero arbitrio e della conseguente assunzione della responsabilità personale.

Per Wali Allah il monoteismo islamico è in particolare un principio di azione, anticipando di fatto e inconsapevolmente le posizioni degli odierni movimenti integralisti. L’opera di Wali Allah è caratterizzata da realismo e pragmatismo, per cui opta sempre per quelle soluzioni che meglio rendono il bene comune, senza comunque allontanarsi dalla simbolica islamica di riferimento. La sua profonda riflessione ha influenzato in un modo o nell’altro le successive articolazioni del pensiero islamico indiano e, diversamente dai movimenti puritani, il suo agire è stato sempre caratterizzato da grande saggezza e libertà interiore.

L’Età contemporanea

Come abbiamo appena visto, il mondo islamico da più di duecento anni stava vivendo una nuova fase storica e da circa un secolo si stava confrontando con la superiorità scientifico-tecnologica dell’occidente, per cui è errata l’idea che vuole che la comunità islamica si sia di colpo “risvegliata” con l’arrivo di Napoleone in Egitto nel 1798. Si può dire che all’incirca fino al 1700 il mondo occidentale e quello islamico si sono mossi all’interno di rappresentazioni della realtà diverse ma non disomogenee; a partire dalla rivoluzione francese, con il laicismo prima e il marxismo dopo, sarebbero stati messi in discussione i fondamenti stessi dell’islam, che si sentì “esistenzialmente” minacciato.

E’ vero che tra i tentativi di riforme “interne” dei secoli XVII e XVIII e la situazione che si viene a creare nel XIX secolo c’è un netto scarto, ma le esperienze dei secoli precedenti continueranno a ripresentarsi nei successivi movimenti di riforma. E’ innegabile che con l’arrivo dei francesi il rinnovamento già in atto subì una decisiva accelerazione, sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo. Ed anche in seguito, dopo che i francesi avevano fatto ritorno nella madrepatria, il processo in atto continuò il suo percorso, tra XVIII e XIX secolo, nella scia lasciata dalla spedizione napoleonica. Questa dinamica modernizzatrice dell’universo arabo-islamico prenderà il nome di Nahda (rinascita), da intendersi come sintesi tra il secolo dei Lumi e le sue tre rivoluzioni: nel pensiero, nella tecnica e nella politica, e l’ideale umanista, tipico del Rinascimento. Nel corso del tempo varie missioni di studio si recarono in Occidente per acquisire quelle conoscenze di cui aveva bisogno il mondo arabo-musulmano e che di fatto erano all’origine del predominio europeo. Queste missioni, una volta ritornate in Egitto, riorganizzarono il sistema di istruzione sì da cercare di adeguarlo agli standard occidentali; si sarebbero studiate non solo discipline scientifiche, ma anche filosofico letterarie; in effetti la futura classe dirigente sarebbe uscita da questi nuovi indirizzi formativi. Oltre a ciò ci furono altre importanti e radicali innovazioni: si diffusero i quotidiani, si attuarono riforme giuridico-militari e si affrontò il problema del rinnovamento della lingua, intesa a quel punto anche come strumento di comunicazione di massa. Ed ancora, arrivarono tutte le novità della civiltà tecnologica: la ferrovia, il telegrafo, l’elettricità e la navigazione a vapore. Nella società civile, in generale, grande fu il contributo degli arabi cristiani. Con il passare del tempo, però, iniziarono a sorgere le prime difficoltà, perché iniziò ad evidenziarsi sempre più il conflitto tra la tradizione culturale locale e il nuovo che arrivava dal di fuori.

Tra l’altro, la prassi colonialista dell’Occidente contraddiceva spudoratamente gli ideali e la cultura che erano insegnati e propagandati nelle scuole ed università europee. C’è da dire che contemporaneamente alla dinamica modernizzatrice, era sorta, sempre tra XVIII e XIX secolo, un’esigenza altra: cioè il tentativo di islamizzare la modernità. Il termine di riferimento sarà Islah, raddrizzamento-risanamento. Questa fase inizia in Egitto con Jamal al-Din al-Afghani (1838-1897). Iraniano sciita si diede l’appellativo di al-Afghani (afghano) sì da potersi rivolgere più facilmente alla gran parte dei musulmani (gli afgani sono prevalentemente sunniti; nel mondo, circa il 87% dei musulmani è sunnita).

Personaggio complesso e dalle molte sfaccettature, privilegiò sempre l’azione politica; fautore del pan-islamismo e del conseguente ritorno al califfato, si impegnò per il risveglio dei musulmani e principalmente dei loro governanti, affinché si adoperassero per un’affermazione anche mondana dell’islam. Per diffondere le sue idee incoraggiò i suoi seguaci, tra i quali vi erano anche ebrei e cristiani, a creare giornali per cui, e a giusta ragione, può essere considerato il fondatore, in Egitto, dell’opinione pubblica, in senso moderno. Nel 1883 fondò l’associazione dei Salafiyya, dal termine arabo salaf che rimanda ai Salafiyyin (pii antichi), le “prime generazioni” di credenti che avevano fedelmente seguito gli insegnamenti del Corano e l’esempio del Profeta. Come abbiamo visto, anche i wahhabiti volevano la stessa cosa, ma i fini erano diversi: questi ultimi volevano un ripristino dell’antica società islamica tale e quale era, mentre i Salafiyya volevano tornare a un islam libero dalle pastoie nelle quali era stato, nel corso dei secoli, costretto dai teologi e dai giuristi. Un islam così libero avrebbe sprigionato quell’energia spirituale, quella dynamis creativa, quelle forze potenziali che lo sostanziano e che lo rendono attuale in ogni tempo e in ogni circostanza. Infatti non bisognava addebitare alla religione islamica le cause del deprimente status quo nei confronti dell’Occidente, ma a coloro che pur affermando di essere musulmani, erano in realtà ben lontani dal vivere una vita secondo i precetti dei testi sacri. Auspicava un libero studio delle fonti della fede islamica, convinto com’era che in esse si potessero trovare quelle risposte e quelle indicazioni che potessero modernizzare la vita della umma (comunità dei musulmani). Sosteneva che l’islam aveva bisogno di qualcosa di simile alla Riforma protestante; in tal modo introduceva il principio della distinzione tra l’autorità perenne dei testi fondatori della religione e quella transitoria delle scuole che avevano preteso di darne un’interpretazione definitiva senza averne alcun diritto. Per lui l’islam superava tutte le altre religioni in quanto a razionalità (celebre la sua polemica con l’orientalista Ernest Renan che sosteneva il carattere antiscientifico dell’islam), poiché la mancanza dei dogmi e dei sacramenti, con la loro azione di ponte tra l’umano e il divino, lo caratterizzerebbe come intrinsecamente laico e moderno. Il suo pensiero e le sue intuizioni hanno generato idee sulle quali ancora si dibatte.

Ad al-Afghani successe l’egiziano Muhammad ‘Abduh (1849-1905), che fu anche Mufti d’Egitto, supremo giureconsulto, e che in tale veste propose alcune interpretazioni fortemente innovative nella legislazione musulmana. ‘Abdhu continuò l’opera di rinnovamento dell’universo islamico nel solco del suo predecessore, anche se su di un piano più speculativo che politico. In seguito, sia i pensatori più liberali a sfondo islamico, che i fondamentalisti-salafiti, si rifaranno alle sue idee, declinandole in modo diverso, per legittimare le loro posizioni. Il suo pensiero, anche se non esplicitamente, sì da evitare eventuali censori di stampo tradizionalista, si rifece alla scuola mu’tazilita: proclamava il libero arbitrio umano, concepiva il Corano come creato, e la legittimità della ragione per spiegare o formulare la verità della fede. In effetti, e agendo in accordo con le idee del suo maestro, guardava all’islam come un tutto unitario, superando le differenze settarie attraverso il ritorno all’origine: una vera e propria rivoluzione! Era convinto che la soluzione dei problemi del mondo arabo-islamico si dovesse ricercare nell’istruzione. Egli aveva molto sofferto dell’occupazione inglese dell’Egitto, ma amava l’Europa e gli europei di cui grandemente apprezzava e conosceva la cultura. Stimava le strutture politiche, legali e educative occidentali, ma si rendeva conto che per renderle operative nel proprio paese non si poteva “importarle” sic sempliciter, anche perché in Egitto la modernizzazione era stata troppo rapida e aveva escluso la stragrande maggioranza della popolazione. In ogni caso il nuovo che arrivava dall’Europa, per poter realmente fecondare, si sarebbe dovuto innestare, in modo opportuno, nella tradizione islamica e non sostituirsi ad essa. Tollerante per natura, cercò sempre di risolvere i conflitti, in primis quelli religiosi, sia tra le diverse correnti dell’islam, sia con i seguaci delle altre religioni. In conclusione possiamo con certezza dire che visse in anticipo rispetto alla maturazione della società e delle sue esigenze.

La sua opera fu continuata da due discepoli: ‘Alì ‘Abd al-Raziq (1888-1966) con il suo interessante e ancora attuale tentativo di riflessione, basato sulla separazione tra il potere spirituale e quello temporale. Il suo argomentare entrò in conflitto con l’ abituale visione totalizzante dell’islam e soprattutto si inserì nel terremoto politico generato dalla fine del califfato ottomano (1924). Ottenne autorevoli consensi, ma soprattutto critiche feroci che gli compromisero la carriera e lo costrinsero, per un certo periodo, a lasciare il proprio paese. L’altro discepolo di ‘Abdhu fu un siriano: Muhammad Ridà (1865-1935). Grande ammiratore di ‘Abduh e ben introdotto nel pensiero occidentale, pur tuttavia non si trovò mai in sintonia con gli europei. Da ‘Abduh ereditò la direzione della rivista “al-Manar (il Faro)”, che dal 1898 espresse ufficialmente le posizioni della corrente riformista. Riteneva che l’unico modo che avessero i musulmani moderni per opporsi al “nuovo” che arrivava dall’esterno e che era vissuto come minaccioso fosse quello di ritornare agli ideali della prima ora, sì da ripristinare un ipotetico modello originario, considerato autosufficiente e perfetto. E’ evidente che questo tipo di riflessione, oltre ad essere teologica, apriva le porte ad un vero e proprio progetto politico. La sua opera da un lato si è avvicinata al movimento wahhabita e dall’altro ha influenzato profondamente i movimenti radicali che sarebbero sorti in seguito, tra cui quello dei Fratelli Musulmani.

Nel mondo islamo-indiano troviamo Sayyid Ahmad Khan (1817-1898). Formatosi all’interno del solco riformista di Shah Wali Allah, ed affascinato dalla cultura occidentale e da quella inglese in particolare, riteneva che la cultura moderna poteva senza difficoltà conciliarsi con l’islam. Sosteneva che le teologie dovevano accordarsi con la ragione poiché non vi può essere contraddizione tra la rivelazione di Dio e la Sua creazione. Dal punto di vista teologico tentò una riconciliazione tra cristiani e musulmani affermando, primo tra i pensatori musulmani, l’autenticità della Bibbia in quanto Rivelazione, anche se non dettata. La sua opera fu continuata da altre eminenti figure, tra le quali Muhammad Iqbal (1876-1938), di certo il filosofo musulmano più conosciuto nel subcontinente indiano e uno dei più noti nell’intero mondo islamico. Appartiene alla schiera di intellettuali islamici che, con la disintegrazione dell’Impero Ottomano, e vivendo un periodo caratterizzato da grande libertà intellettuale, si avventurarono nel tentativo di realizzare una nuova sintesi del pensiero islamico. Nato in una famiglia di brahmini convertitisi da tempo all’islam, studia anche in Europa dove ha la possibilità di conoscere le più eminenti personalità della cultura occidentale. Ritornato in India inizia ad interessarsi di politica e a lavorare in qualità di insegnante e avvocato. Inizialmente nazionalista hindu, aderisce in seguito alla Lega Musulmana sì da difendere più specificamente gli interessi dei musulmani indiani. Nel 1930 ne diviene presidente e concepisce la nascita di uno stato musulmano separato dall’India, che trovò poi attuazione nel 1947 con la nascita del Pakistan, di cui è il padre spirituale.

Il Radicalismo

Gli aderenti ai gruppi del radicalismo affermano la loro appartenenza a un sistema totalizzante che va difeso e promosso non solo nell’ambito della personale adesione alla fede, ma soprattutto in quello pubblico e istituzionale

Il primo ideologo, in tal senso, è stato un pensatore indiano-musulmano: Abu al-A’la alMawdudi (1903-1979), che teorizzò, teologicamente e politicamente, l’idea di anti-occidentalismo come costante nella storia dell’islam. Per lui, la rivelazione ricevuta dal Profeta, e la nascita della prima comunità islamica a Medina (622-632 d.C.), stabiliscono in modo inequivocabile un prima e un dopo storico della vicenda umana. Dalla jahiliyya (società preislamica) fondata sull’ignoranza, si passa alla umma (società islamica-comunità dei fedeli) basata sulla Parola di Dio. Nella rivista, “Targuman al-Qur’an”, da lui fondata, delinea e focalizza la sua visione della jahiliyya che viene intesa non più storicamente, ma metastoricamente, poiché riferibile a tutte le società di tutti i tempi. Contro di essa hanno lottato tutti i profeti e devono lottare tutti coloro che sono guidati dal loro messaggio; questa lotta è jihad ( lo jihad è sempre rivoluzionario perché contrasta tutte le forme di sottomissione al di fuori di quella verso Dio, e ha come suo fine il governo di Dio sulla terra, la realizzazione della Sua volontà nella totalità della vita). La jahiliyya del presente contesto storico si identifica con l’Occidente e con i musulmani che si sono occidentalizzati. Il suo scopo è di ricostruire dalle fondamenta la società e lo stato islamico, partendo dalla presa di coscienza della crisi in cui versava la moderna società occidentale, unitamente alla stagnazione che riscontrava nei paesi musulmani. Il concetto di tawhid (uno ed unico Dio) è ampliato fino a comprendere, oltre alla sfera ultramondana, anche la manifesta, per cui a Dio è riconosciuta una sovranità (hakimiyya) assoluta. L’islam, a questo punto, diventa onnicomprensivo e immutabile, da accettare o rifiutare integralmente. Si comprende come, in questo modo, ci si allontani completamente da una qualsiasi idea di stato laico. Per Mawdudi: “una vita voluta e guidata da Dio è superiore a una vita scelta dall’uomo”. In questo modo toglie qualsiasi tipo di legittimità a qualsivoglia sistema politico che abbia una origine mondana, e in primis alla moderna civiltà occidentale. Nel 1945 fondò l’associazione Jama’a islamiyya, futuro punto di riferimento politico dei movimenti radicali che sarebbero sorti in seguito. Il Pakistan, appena nato dalla divisione dell’Impero britannico nel sub continente indiano, fu fortemente influenzato dalla sua ideologia, e tuttora in quel travagliato paese se ne possono cogliere i tragici effetti. L’islam radicale con il suo apparato ideologico sorge non a caso proprio nel sub-continente indiano dove, caso unico, si era verificata la compresenza di due fenomeni: l’occidentalizzazione dell’intera società attraverso la presenza coloniale britannica e lo sviluppo di un islam indiano che, decontestualizzato storicamente e culturalmente, viene condannato dai radicali in quanto non corrispondente più al “vero e puro islam” della loro intollerante ideologia.

Nell’ambito dei movimenti quello più noto e diffuso è, senza dubbio, quello dei Fratelli Musulmani fondato da Hasan al-Banna (1906-1949) nel 1929 in Egitto. L’idea guida era quella di re-islamizzare la società, che sembrava avesse dimenticato il fervore religioso. In realtà la società egiziana, sotto gli effetti del colonialismo, aveva interiorizzato un senso di inferiorità verso gli europei, e questo per Hasan al-Banna era inaccettabile, oltre che un grave errore. All’opposto pensava che solo le tradizioni culturali endogene, in primis quelle religiose, una volta ridestate, avrebbero potuto portare beneficio alla sonnolenta società egiziana. Essendo un educatore, colse il cuore del problema: le nuove generazioni stavano perdendo l’identità collettiva. Capì ben presto che per rinnovare lo stato islamico bisognava re-islamizzare la società dal basso, attraverso l’identificazione tra religione e politica. Con alcuni amici fondò un movimento denominato: Fratelli Musulmani (Ikhwan Muslimin). Ben presto il movimento iniziò a caratterizzarsi politicamente, e a strutturarsi in tal senso. Sorse anche un ramo femminile, anche se Hasan al-Banna considerava il cambiamento sociale del ruolo femminile paradigmatico della perdita di presa dell’islam sulla società. Il movimento, in ogni caso, si caratterizzò come missionario; vennero create scuole, cliniche, ospedali, moderne camere del lavoro per istruire gli operai sui loro diritti, fabbriche e industrie nei settori della stampa, della tessitura, delle costruzioni e dell’ingegneria. Il tutto connotato sempre da una precisa identità musulmana. Tangente al movimento, si sviluppa una corrente terroristica denominata “Apparato segreto” che sarà coinvolta nell’assassinio di numerose personalità politiche egiziane e che alla fine sarà l’indiretta responsabile della morte dello stesso Hasan al-Banna che sarà ucciso dalla polizia il 12 febbraio 1949.

Suo erede sarà Sayyid Qutb (1906-1966) che, fortemente influenzato dal pensiero di Abu al-Mawdudi, che radicalizzò ulteriormente, sviluppò il movimento che si caratterizzerà sempre più come politico rivoluzionario e transnazionale. Le sue opere sono state lette e continuano ad essere lette dai membri dei movimenti radicali contemporanei. Nel 1954, con l’inasprirsi dello scontro che vede i Fratelli Musulmani opposti a Gamal ‘Abd-al Nasser, venne incarcerato. Dopo dodici anni di prigione, il 29 agosto del 1966, a seguito di un’altra sua pubblicazione, considerata sovversiva, venne condannato a morte e ucciso.

I movimenti che si rifanno al suo pensiero non sono riusciti, almeno per ora, ad andare al potere stabilmente, mentre un esito completamente diverso si è avuto nell’Iran sciita con la rivoluzione islamica che, sotto la guida di Ruhullah al-Musavi al-Khomeyni (1902-1989), è riuscita nel 1979 a defenestrare l’ultimo Shah della dinastia Pahlavi, sì da instaurare una Repubblica islamica.

Conclusioni

Il volto che l’islam ci svela attraverso una più profonda conoscenza del suo pensiero, così come si è andato ad articolare nel suo plurisecolare svolgersi, è alquanto complesso e ben lontano da alcune concezioni stereotipate che di volta in volta l’hanno presentato come arretrato e incapace di continuare a produrre una qualsiasi accettabile novità dopo i gloriosi fasti dei primi secoli della propria era. Le soluzioni che di volta in volta si sono ipotizzate essere le più idonee a far fronte a un farsi della storia che spesso, in particolare dal XVI secolo in poi, è stato percepito come minaccioso, sono state molteplici anche se non sempre adeguate a sostenere il passo dei tempi. Ed è qui che bisogna rintracciare le cause delle problematiche che al giorno d’oggi affliggono l’universo islamico. Tra l’altro, i complessi e drammatici intrecci tra la religione, la politica, la violenza terroristica, le guerre vere e proprie, l’incessante flusso migratorio verso l’Europa, uniti a un’esplosione demografica inarrestabile con conseguenti enormi disagi sociali, rendono alquanto problematico il rapportarsi al diverso da sé, a ciò che islamico non è. Emerge con tutta evidenza che anche il diritto alla libertà religiosa abbia subito, durante i secoli, delle fortissime oscillazioni, alternando periodi di tolleranza e convivenza pacifica, seppur all’interno di una legislazione che poneva limiti ben precisi ad una “libertà” a 360 gradi, a periodi di forte intolleranza e feroce discriminazione. Nonostante tutto e dopo il “fallimento” quasi totale degli ideali e delle speranze che hanno animato le cosiddette Primavere Arabe, è legittimo continuare a sperare poiché la Storia, quella vera, si muove nel profondo e nel lungo periodo, secondo l’insegnamento del grande storico Braudel. Del resto quei giovani che si erano dati come propria agenda operativa gli ideali e le speranze della Nahda di fino ottocento, hanno tentato di capovolgere il paradigma novecentesco arabo: tribalismo e fondamentalismo religioso, dando priorità alla giustizia sociale e al rispetto della dignità alla persona umana, iniziando dalle minoranze sia religiose che etniche. A tal proposito uno dei più apprezzati intellettuali arabi cristiani, Amin Maalouf, già alcuni anni fa ebbe a dire:”…abbiamo bisogno di una cultura del vivere insieme…..”. Era chiaro che il compito si presentasse più che arduo perché paesi che per secoli si erano fondati sul tribalismo, sui rapporti clanici e così via, non potevano generare dal nulla governi compiutamente democratici, o almeno qualcosa che potesse loro assomigliare, seppur da lontano. Nondimeno il processo è iniziato e nuove e fresche energie sono state immesse nel fluire della Storia; a noi tutti coglierne il senso e la direzione ed aiutare il nuovo a manifestarsi, anche attraverso i nuovi strumenti di comunicazione che ci offre l’epoca che viviamo. Del resto, circa quindici anni fa, la grande sociologa marocchina Fatima Mernissi, recentemente scomparsa, in un suo bel libro intitolato “Islam e democrazia”, aveva già evidenziato le enormi possibilità che venivano offerte al mondo arabo dalle parabole, dai telefonini e da internet. Venti o trent’anni fa un regime poteva ancora imprigionare mediaticamente il proprio popolo, ora questo non è più possibile.

GF Villano Islam politico – cause e finalità