di Salvatore Forte e Francesco Afro De Falco
Aesthetica und Anaesthetica intitolava Odo Marquand nel 1989 una riflessione sull’estetica, la risposta geniale dell’oggi alla reificazione del mondo ed alla filosofia della storia. Ma è una risposta che rischia di vanificarsi, se diventa esteticità diffusa, malinconico passare da un’emozione all’altra, senza pause di riflessione: anestetico superamento del dolore di esistere. Anestetico fluire di sensazioni assaporate come un caffè, che perde il senso profondo di sfida e di necessaria ricostruzione che è la guida della bellezza – l’anestetico se è il fondamento dell’estetico più che il bello rivela lo stordimento. Marquand perciò tornava a Schelling: il magico, il mito – con la loro istanza di liberazione dal male – è una compensazione non consolatoria, com’è spesso nel futurismo postmoderno, che rinunzia alla realtà della costruzione del vivere – e ricordava come in Kant l’arte sopperisse alla delusione del pensiero scientifico, in Freud a quella del rimosso: con affermazioni filosofiche e psicologiche, non estetiche. Oggi l’arte può invece abbandonare l’eccesso di tradizione che frenava pensatori grandi come loro a riconoscere la vera vita dell’arte; l’eccesso di storia e di critica del 900 ha distrutto il senso di stabilità del reale di fronte all’irreale, la tecnologia ha compiuto il percorso della dissoluzione del peso della tradizione, il mondo è già cambiato. La filosofia può così riproporre la sua essenziale funzione ironica, il suo comico guardare da un punto di vista diverso le cose, il riso che non deride ma che apre al futuro. E perciò diceva Marquand oggi l’arte è antifinzione, altroché fiction – è l’arte totale che supera la differenza di reale e irreale non nel futurismo ma nel futuro, nel progetto che si costruisce studiando il passato con occhio ironico: nessuna malinconia c’è in chi pensa progetti. Così, l’arte si svela compensazione, ma non in senso illusorio, conserva la tradizione e la memoria dal disincanto del mondo, crea nuovi scenari, le ipotesi di futuro in cerca di forma, il regno della speranza.
Basta lasciare il mondo ai bambini, agli occhi bambini, e vedere come loro leggono le immagini dell’arte: ecco qualche piccola frase che emerge dalle ore del corso “La pedagogia della Bellezza” per capire. Rispondono all’invito di liberare la mente dal groviglio delle immagini in cui i piccoli d’oggi sono immersi sin dai primi mesi di vita: a guardarle e pensarle per conversare insieme di bellezza e tentare di capire da sé perché un quadro ha una sua forma – parola che in latino diventa formosus, bello. Ecco come commentano gli orologi molli di Dalì, in cui avvertono la sensazione del caldo: una bambina precisa: “perché lui vedeva il tempo schiacciato dai cieli d’estate”. È il metodo dell’ecfrastica, una didattica del Medio Evo per educare il ben parlare, suggerendo di commentare le immagini in parole. Le parole dei bambini dicono bene come esiste sempre basta il capolavoro, il gesto d’arte che parla da solo, per allontanarsi da ogni lettura malinconica delle immagini e veder ricomparire la bellezza come stupore e invito a partecipare alla festa delle cose.
Guernica i bambini che sono al corso per lo più non conoscono: ma anche prima di sentire la storia in cui viene composto mostrano che la parola di Picasso funziona, si fa capire ancora, da sola, senza le dotte affermazioni di autori e critici: così rispondono alla domanda: “Cosa vi trasmette?” : Cattiveria e violenza, un’emozione negativa, emozioni di paura; Dà tristezza ma forse in un altro secolo era diverso; Esprime dolore; Rappresenta la morte; Ha voluto rappresentare i suoi sentimenti scombinati nel quadro; Gli animali fanno guerra all’uomo; Un senso di colpa; Dispiacere; Rappresenta noi; È uno sfogo; Fa venire da piangere. Si poteva dire meglio? O anche, dicono altri bambini: c’è
- Una guerra
- C’è un raggio di sole
- Tristezza
L’immagine si scrive come un testo, ha un suo ordine ed una sua tecnica: ma il gesto d’arte crea l’opera che sa comunicare da sola e che non ha bisogno di interpreti togati, perché rende ogni lettore il miglior interprete di essa. I bambini lo dicono anche meglio degli altri, altroché anestetica! E questi sono i bambini figli della televisione e del suo mondo delle immagini volgari, che abitano un quartiere dimenticato nella Napoli dei vicoli spagnoli, appena da poco illuminati da una bellissima fermata del Metrò dell’Arte, proprio davanti alla loro scuola. Non conoscevano Guernica, un quadro che è certo tra i più noti al mondo, non c’è da pensare che siano abituali visitatori di musei e pubblicazioni d’arte.
Ma è sufficiente una domanda, un suggerimento, un’immagine resa disponibile dalla meravigliosa riproducibilità tecnica di un museo impossibile: e la risposta è chiara e forte. C’è speranza, quindi, l’arte è la stessa virtù del coraggio di agire, di sapere per procedere meglio.