di Clementina Gily, Editoriale
Appena passate le europee, Il Sole 24 ore regala il volume di Machiavelli Il Principe. Non si può pensare ad un commento voluto, i tempi di progettazione dei giornali seguono vie lunghe, ma probabilmente le idee erano nell’aria e si capiva che presto sarebbe stato il momento di riprendere qualche considerazione classica su come si gestisce il potere in tempi di rivoluzione culturale e politica. Il Principe, il Valentino, conquistava città con molta brutalità, come tutti i principi del tempo, e l’impresa era spesso coronata da successo. Ma cosa si fa dopo, perché l’impresa non diventi una stella cadente in brevissimo tempo? Machiavelli, segretario fiorentino, se ne preoccupa e scrive questo libro, indirizzato ad un uomo violento che difficilmente si piega ai consigli, perciò il tono è pacato, meditato accuratamente, per giungere alla comunicazione – non si può dire che il Valentino se ne sia giovato, la sua parabola bene esemplifica la rapidità della sconfitta che segue la conquista, ma il libro è rimasto nella storia per la sua sagacia. Una dimostrazione di come la politica, la mediazione, la negoziazione dei significati, sia più capace della forza, della contrapposizione, della parola-proiettile, di gestire le cose della storia. È la dimostrazione della forza della politica nel vincere le contese, del pensiero che guida la situazione a ridiventare equilibrata. E insieme è la dimostrazione di come questa verità difesa da Platone in poi con pessimi risultati per chi la propone, non possa essere la concreta gestione dei fatti storici, che sono un insieme di ragione e calcoli, di strategie vincenti, di elementi imponderabili come la politica estera e le catastrofi naturali e storiche.
Il pragmatismo l’ha fatta da padrone in Europa sin dalla caduta del muro di Berlino, intere generazioni cresciute nelle ideologie e nella guerra fredda avevano tralasciato la filosofia politica, i grandi cui si appellavano e cui ci si può appellare tutt’oggi sono di altre epoche, toccano ben pochi degli aspetti problematici di oggi, danno le linee ideali di ciò che è umano ma non la stringente attualità del mondo dominato dalla finanza e dalla cultura virtuale. Problematiche tanto nuove che solo grandi sforzi di fantasia possono portare a parlare ancora, in nuove interpretazioni sensibili alla storia contemporanea. Ma la fantasia… proprio questa grande virtù dell’immaginazione, che oggi sostiene sia la finanza che la cultura virtuale, è disprezzata. Gli ideologi attivi di marxiana memoria fanno il loro compito, portano l’umanesimo a condannare la fantasia, a fare scienza della letteratura contando le parole in un romanzo, a fare dell’archeologia una classificazione statica ed eterna, a trasportare nell’arte la vita con un taglia e cuci che non risponde più alla potenza distruttiva del gesto di Duchamp: era roba da 1917, siamo quasi un secolo dopo, come può l’arte dire lo stesso senza tradire se stessa?