di C. Gily Reda
L’uomo globale di Benjamin, la presenza che cammina.
Il problema di Benjamin ancora oggi urgente è la novità non dominata del mondo dei media. La distruzione della sacralità dell’arte classica operata dalla fotografia con la decadenza dell’aura, è già una tesi classica[1].
Benjamin avverte con prontezza il passaggio di era, nel mondo del conoscere: Più che ricomporre la frattura, occorre capire – i media hanno toccato la dimensione del sacro dell’immagine che fu già nei tori di Lescaux. Era il disegno della speranza, la magia dell’arte che preconizza il sogno.
Ciò i media trasformano nel potere demiurgico con vene di follia, che apre allo storico politeismo dei valori, immerge in ogni epoca, dalla scimmia alla luna – ogni morale ha la sua logica, il branco, l’assassinio seriale, il delinquente puro (ricco). Delle due direzioni opposte di Benjamin, l’estetizzazione della politica e la politicizzazione dell’arte, resta la definizione di elementi della nuova arte, il cinema come l’architettura, il committente – folla… Come Baudelaire, Benjamin cammina nelle strade di Parigi. L’uomo in fuga così s’immerge nel sogno malinconico e non inizia l’opsis; ma fa partire la teoria del capire.
La fotografia cambia il conoscere: il quadro inquadra “l’irripetibile e la durata intimamente intrecciate [con] la fugacità e la ripetibilità”; la fotografia spoglia “l’oggetto dalla sua guaina, la distruzione dell’aura è il contrassegno di una percezione in cui la sensibilità per tutto ciò che nel mondo è della stessa specie è così cresciuta che riesce a reperire questa eguaglianza anche nell’irripetibile”. L’eccezionale così è ripetizione, basta lo zoom, l’alterazione della distanza, perché la fotografia surrealista risucchi l’aura nel “campo in cui tutte le intimità scompaiono a favore del rischiaramento del particolare” (2011:10-11). Cambia in questa variazione il campo proprio dell’arte – il nesso – campo che per Kant dà le categorie alla ragione pura e pratica, e al giudizio, che soffre, oltre che godere, del gioco delle facoltà.
[1] W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, con un saggio di M. Cacciari, Einaudi, Torino 2011 (1966; 1936). Questa edizione, con il suo apparato storico di note, l’ampia introduzione, riducendo il testo alle pagine a 38 pagine su 154, la presenta anche graficamente come un classico.
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