di Redazione
Il “Leonardo” uscì dal gennaio 1903 all’agosto 1907, con periodicità irregolare, per complessivi 25 fascicoli. In occasione del centenario del primo numero è comparsa su internet una rivista, E-Leonardo, contenente un articolo di Antonio D’Amicis che la Redazione riproduce per dare pubblicità alla nuova rivista ed all’antica:
Un «giornale assolutamente necessario»: il Leonardo 1903-1907
Ogni volta che una generazione s’affaccia alla terrazza della vita pare che la sinfonia del mondo debba attaccare un tempo nuovo. Sogni, speranze, piani di attacco, estasi delle scoperte, scalate, sfide, superbie – e un giornale. […] questo giornale assolutamente necessario che dev’esser come lo stiramento de’ muscoli di un prigione appena desto e disciolto, come il primo canto spiegato di una bocca che dovette fin’oggi mormorare soltanto; questo giornale che doveva essere, che voleva essere e poteva essere la prima vendetta di tutte le malinconie, lo sfogo invocato di tutti gli sdegni, l’arma di tutte le sfide, il diario dei nostri sogni, la cartuccia delle troppo attese demolizioni, il getto e lo zampillo arcobalenante dei pensieri più temerari – questo famoso giornale finalmente si fece.
G. Papini, Un uomo finito
E’ il 4 gennaio 1903 – Papini compirà 22 anni tra pochi giorni, Prezzolini è un anno più giovane – e il primo numero del Leonardo è pronto. Per cinque anni, la rivista presenterà filosofi e idee provocando polemiche e suscitando dibattiti, porterà la filosofia fuori «dai circoli ristretti dei competenti» senza mai sottrarsi al confronto – secondo le parole del suo fondatore – «[con] nessuno di coloro che l’hanno lett[a]», per finire ‘assassinata’ dal proprio stesso fondatore con la motivazione paradossale del troppo successo.
Fin dal suo primo apparire, il Leonardo vuole essere antico e prezioso, ma soprattutto combattivo. La testata, infatti, disegnata da Adolfo De Carolis, raffigura un’aquila in volo, con il motto vinciano Non si volge chi a stella è fisso, subito sotto si trova un cavaliere con lancia in resta. Le otto pagine della rivista sono di grande formato, in carta a mano, impreziosite da xilografie; gli articoli sono firmati con pseudonimi incisi dagli stessi autori su cartigli: nomi come Gian Falco (Giovanni Papini) e Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolini) si apprestano a trovare posto nella storia della letteratura del Novecento.
I giovani che hanno dato vita al Leonardo in una stanza di Palazzo Davanzati a Firenze formano un gruppo eterogeneo: artisti come Giovanni Costetti oppure Adolfo De Carolis e letterati come Alfredo Bona, Ernesto Macinai e Giuseppe Borgese convivono accanto a Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini uniti «più dagli odi che dai fini comuni», gli odi, cioè, verso «positivismo, erudizione, arte verista, metodo storico, materialismo, varietà borghesi e collettiviste della democrazia». Primi bersagli della polemica leonardiana – di stampo papiniano soprattutto – sono l’ideale imperialista e i socialisti; anche il positivismo è criticato, perché – questa volta secondo Prezzolini – «di tutti i passati, per essere il più vicino, più grava su noi».
I fondatori del Leonardo si trovano invece d’accordo nel promuovere il filosofo francese Henri Bergson; Prezzolini lo ha incontrato a Parigi, e Papini, che per ora ha con lui qualche scambio epistolare, lo conoscerà personalmente al Congresso Filosofico di Ginevra nel 1904 e ne seguirà le lezioni al Collège de France nel 1906. Prezzolini introduce Bergson quale iniziatore della filosofia della contingenza, dell’azione e della libertà, rivelatrice «di una vita tumultuosa, eterogenea, […] sorgente meravigliosa di un’armonia, che noi, spezzando la logica, abbandonando la metafisica pratica del senso comune e disprezzando la scienza come incapace a dare il reale, possiamo raggiungere con l’azione profonda e la ricerca di noi stessi». L’accoglienza calorosa che il Leonardo riserva all’autore di Materia e memoria è sintomo di quanto il lungo digiuno positivista abbia generato il bisogno di una riconciliazione tra speculazione filosofica e creatività, in Europa come in patria: non a caso, se ancora nel 1948, Papini descriverà Bergson «come tutti i veri filosofi, un artista», proprio negli anni del Leonardo Benedetto Croce augura a Prezzolini un destino nazionale del tutto simile: «credo che egli ci darà ciò che manca all’Italia: un artista della filosofia».
La prima serie del Leonardo dura fino al maggio del 1903, poi avviene la rottura tra Papini-Prezzolini da un lato e gli artisti e letterati dall’altro. Se gli odi – secondo l’opinione di Prezzolini – potevano essere un cemento più sicuro degli amori, altri odi sopraggiunti saranno, al contrario, fatali per l’avvenire della rivista in quella veste. Emilio Cecchi, invitato da Papini a collaborare alla rivista si dice disponibile a farlo, ma esclusivamente da esterno; egli, infatti, non desidera confondersi con quei letterati che chiama «dannunziani in modo spaventoso». Dal canto loro, i letterati in questione reagiscono con livore alle lodi che Croce rivolge all’«elegante mordacità» degli articoli di Prezzolini: nelle parole di Borgese, infatti, Prezzolini sarebbe addirittura colpevole di «becerismo intellettuale». Dalla diaspora del primo Leonardo nasceranno allora nuove riviste: l’anno successivo Borgese fonda Hermes – nel cui programma è finalmente esplicitata l’ammirazione per Gabriele D’Annunzio, amato più di «ogni altro poeta moderno, morto o vivo che sia» – e parallelamente si pubblica Il Regno di Enrico Corradini, nelle cui pagine Papini sposta i propri interventi più squisitamente politici.
Il Leonardo riparte invece nel novembre 1903, dopo una pausa di cinque mesi, con un articolo dello stesso Papini intitolato “La filosofia che muore”, seguito nel numero successivo da “Morte e resurrezione della filosofia”. In tali interventi, la filosofia che muore è identificata nelle dottrine che hanno fatto di questioni inesistenti i propri massimi problemi, per scoprire infine di non essere in grado di dirimerli. Contro la preoccupazione di «unire, legare, stringere, avvicinare» (ma d’altra parte «togliere, impoverire, decapitare») la nuova filosofia si propone di essere ricerca e scoperta del particolare e, muovendo verso il particolare, è determinata a farsi azione assumendo «una attitudine attiva, pratica. Non deve solo conoscere e accettare il mondo, ma deve salvarlo, trasformarlo, ed accrescerlo. […] Mentre in genere i filosofi aspirarono a fare qualcosa di stabile, di ultimo, di definitivo (Hegel, Comte, ecc.), io – sostiene Papini – tengo soprattutto a fare qualcosa d’iniziale, ad aprire una strada nuova ove altri, forse, camminerà». Da parte sua, Prezzolini dedica due articoli al pragmatista inglese Ferdinand Schiller e in una nota presenta William James come «il più grande e originale filosofo vivente». I tempi sono dunque maturi per l’ingresso di nuovi collaboratori fra le fila dei leonardiani: prima Giovanni Vailati, poi Mario Calderoni diventano autori abituali della rivista che cambia anche aspetto, rinunciando alla carta a mano e riducendosi nel formato; la testata di De Carolis è sostituita con quella di Costetti, ora priva del motto originario (a partire dal novembre 1903).
Grazie agli articoli di Vailati e Calderoni, e grazie a Prezzolini che invita prima Schiller e poi William James a collaborare direttamente, il Leonardo diventa «la fucina italiana del Pragmatismo». Definizioni e repliche, puntualizzazioni e distinzioni si susseguono: all’articolo “Le varietà del pragmatismo” in cui Calderoni distingue la corrente di Pierce da quella di James, risponde Prezzolini, cui replica nuovamente lo stesso Calderoni (“Variazioni sul pragmatismo”), spetta infine a Prezzolini la chiusura del dibattito «Tu credi ancora, caro amico, che ci sieno lettere di risposta, e non ti sei ancora accorto, che risposte non le danno che gli ingenui; gli altri rispondono solo per avere un pretesto a dire altre cose» e cioè «una mia visione del prammatismo».
Papini, intanto, che ha già replicato con l’articolo “Cosa vogliamo?” alle obiezioni di Enrico Morselli in “Filosofi giovani e idee vecchie”, tenta una composizione delle divergenze e prova a “mettere ordine” partendo dalla storia (“Le origini del pragmatismo”), distinguendo ancora una volta le varietà di orientamenti e approcci e indicando le strade da percorrere (“Le conseguenze del pragmatismo”). Passione e ironia non mancano, e tanto meno l’autoironia: Prezzolini si firma Giuliano il Sofista in una recensione al suo primo libro, “Vita intima”, terminando con le parole: «Ne risulta un opuscolo di impossibile lettura e di nessuna utilità. L’autore forse ci si divertirà a leggerlo; non il lettore». Fra le “Notizie meravigliose” del numero del marzo 1904 sono riportate invece le seguenti stramberie: «Gian Falco ha abolito il pronome ‘io’ nei suoi scritti» e «Si sono scoperti due numeri del Leonardo che vanno d’accordo fra loro». Lo stile dei leonardiani pare aver contagiato tutti, e perfino le riviste accademiche d’oltremanica sembrano aver ricalcato i medesimi atteggiamenti passionali nelle discussioni che intraprendono: su Mind, ove, similmente al Leonardo, positivisti e pragmatisti si combattono a colpi di logica e veemenza, si annunciano articoli «amusing e crushing» per il primo numero del 1905.
Un’altra tendenza, nel frattempo, si fa strada tra le proposte culturali della rivista: il misticismo e la disamina del problema religioso. Prezzolini, che durante il 1905 ha compiuto un percorso intimo che l’ha portato vicinissimo alla conversione – ma che, viceversa, si concluderà con un allontanamento definitivo dalla fede – si fa promotore di un’iniziativa editoriale, una Collezione di mistici, il cui primo numero è dedicato a Novalis. Anche secondo Gian Falco il problema religioso è «un problema importante per tutti e […] non è così semplice come si crede». Papini scrive: «ho grandissimo amore per i mistici e credo che nelle loro opere e nelle loro vite ci siano da trarre conforti o insegnamenti per la ricerca e la conquista dell’anima nostra», rivelandosi ancora lontano dall’atteggiamento provocatorio che gli detterà, pochi anni più tardi, articoli dissacranti come “Gesù Peccatore”.
Il 1906 si apre con un bilancio cui tuttavia non segue un programma definito: «non possiamo dire con precisione quello che faremo e diremo». In “Cronaca Pragmatista”, Papini ammette i contrasti all’interno del gruppo pragmatista «tanto sui limiti del Pragmatismo come sulla funzione di esso» e mette se stesso fra coloro che «nel Pragmatismo vedono il lato eccitante, creativo e magico […] il trionfo dell’attitudine attiva e modificatrice sopra quella passiva e registratrice; il promettitore dell’Uomo Dio». In un lungo articolo, lo scrittore fiorentino cerca di chiarire il significato della formula uomo-Dio, di tracciare l’itinerario per realizzarla e di annunciarne le possibili conquiste. Dalla lettura di questo fascicolo William James ricaverà alcune facili previsioni: «You will be accused of extravagance, and correctly accused; you will be called the Cyrano de Bergerac of Pragmatism, etc.; but the abstract program of it must be sketched extravagantly. ‘Correctness’ is one of the standards of the older way of philosophizing». Il filosofo americano, inoltre, avvertirà Papini dei pericoli cui va incontro: «I myself suspect that you are hoping too much from telepathy, mediumship, etc.; but no matter, we can all gather from you the example of courage». Sulla rivista gli articoli di carattere mistico-religioso si moltiplicano, e, insieme a passi di Blake, Meister Eckhart e Novalis, sono accolti articoli sulle filosofie indiane e su Soren Kierkegaard. Non tutte le energie dei collaboratori al Leonardo, però, si stemperano in atteggiamenti contemplativi, anzi, Papini lancia una campagna per un’Italia «meno sorda, meno cieca, meno vile»; una nazione da costruirsi attraverso l’opera di alcune centinaia di giovani, disposti a fare qualcosa d’importante, cercare i problemi terribili, in breve osare essere pazzi, facendo morire ogni retorica.
Ormai, metà di ogni numero del Leonardo, è dedicato a chiarimenti, confutazioni e risposte alle obiezioni che gli articoli del numero precedente hanno sollevato; alla luce di tante controversie si comprende finalmente anche la dichiarazione di Papini sulla morte del Leonardo dovuta al troppo successo. Già nel numero successivo, infatti, lo scrittore si vede costretto a entrare nel merito delle polemiche provocate dal proprio intervento. Se – riguardo alle obiezioni – lo spirito battagliero di Gian Falco si dimostra ancora vivo, è tuttavia nell’esaminare i consensi degli entusiasti che egli inizia a dubitare del proprio appello e si chiede in che misura le proprie parole siano davvero in grado di incidere sulla realtà. In conclusione Papini non si può esimere dal dichiarare sostanzialmente fallita la propria campagna. Rimangono da affrontare quelle tendenze occultiste cui egli aveva incautamente aperto le pagine della rivista: deluso dall’aleatorietà di tanta parte di tali correnti, egli non può che rinnovare la propria fiducia nel vecchio adagio pragmatista: «Se le belle parole non si mutano in atti io rimetto nel dizionario le belle parole – se le proclamate differenze di fede non si manifestano in evidenti differenze di vita io mando al diavolo i vostri atti di fede» Queste parole assumono un significato ancora più ampio alla luce del numero successivo del Leonardo: l’ultimo.
Nell’agosto 1907, la vicenda del Leonardo si conclude infatti con un numero «armato d’un fascio di atroci saette e con la copertina color sangue». Il titolo dell’articolo d’apertura è inequivocabile: “La fine”. Sono molte le ragioni addotte per questa morte improvvisa, sia una certa stanchezza derivante dal costante sforzo di rispondere alle aspettative del pubblico sia una perdita di fiducia nella capacità di incidere sulla realtà e di «svegliare e trasformare anime». L’avventura iniziale si è ormai tradotta in routine, «si andava creando il tipo del Leonardo: in ogni numero bisognava trovare uno straniero da rivelare all’Italia; un programma nuovo da gettare davanti ai nostri simili e quella certa quantità di sdegno e di rabbia che dovevan contenere le schermaglie». Nasce allora il bisogno di ripensare i problemi, riesaminare le opinioni, rivedere e verificare i giudizi su cose e persone, «ricominciare insomma, ancora una volta – affermano Papini e Prezzolini – la nostra vita intellettuale». Ultimo invito è l’esortazione «a fare per [vostro] conto ciò che noi vogliamo fare, uno spietato esame di coscienza».
L’epilogo del Leonardo, lungi dal sedare il fermento di iniziative che aveva animato i propri fondatori, avvia la preparazione a La Voce, il cui primo numero uscirà nel dicembre 1908. Di contro alla capricciosa periodicità del Leonardo, la nuova esperienza editoriale – almeno per la prima serie – avrà regolare scadenza settimanale. Papini e Prezzolini riusciranno così a intrattenere con i lettori un dialogo più continuativo di quanto non fossero riusciti a fare al Leonardo, non senza portarsi appresso quell’aura di eroismo guadagnatasi con la prima coraggiosa impresa, un tratto distintivo che li accompagnerà in tutte le battaglie future per la divulgazione delle culture e la circolazione delle idee.
Indicazioni bibliografiche
Tutte le citazioni dal Leonardo sono tratte dalla ristampa anastatica completa in tre volumi che la casa editrice Vallecchi ha pubblicato in occasione del centenario dell’uscita del primo numero: La nascita della modernità: Leonardo 1903-1907, Firenze, Vallecchi 2002, Introduzione di G. Luti. Si possono altresì utilmente consultare:
Ballerini C. (a c. di), Antologia del «Leonardo», Galatina, Edizioni dell’Albero 1957.
Casini P., Alle origini del Novecento. «Leonardo», 1903-1907, Bologna, il Mulino 2002.
Castelnuovo Frigessi D. (a c. di) La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste. «Leonardo», «Hermes», «Il Regno», Torino, Einaudi 1960.
Petrocchi F., Le avventure dell’anima. Il «Leonardo» e il modernismo, Napoli, Loffredo 1989.
Quaranta M. – Schram Pighi L. (a c. di), Leonardo. Rivista d’idee (Firenze, 1903-07), Ripr. facs. dell’originale, Sala Bolognese, Forni 1981, 2 voll.
Santucci A., Storia del pragmatismo, Bari, Laterza 1992.
Schram Pighi L., Bergson e il bergsonismo nella prima rivista di Papini e Prezzolini: «Il Leonardo», 1903-1907, Sala Bolognese, Forni 1982.
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