di Viviana Reda
Quando l’inventore dei mondi concentrici stava per terminare il suo lavoro si rese conto d’aver speso ormai gran parte dei suoi anni nella costruzione di un labirinto.
Aveva realizzato una fortezza di inestricabili gallerie fitte di mattoni o di cespugli, di corridoi ciechi, di finte porte (e di tutto ciò che insomma si confà ad un labirinto) ed era compiaciuto che, per quanto avesse letto e studiato, nessuno, neanche Dedalo, nessuno aveva mai creato un labirinto perfetto. Intendo dire assolutamente perfetto, murato, chiuso, cioè assolutamente inattraversabile. No, non aveva progettato una prigione; le tavole, gli studi, i rilevamenti da lui fatti testimoniano che si tratta proprio di un labirinto, ma unico nel suo genere, un labirinto all’interno del quale si nasce e fin da piccoli si comincia a cercare la via per raggiungere il centro. (Prima di essere travolti da quelle che sono le crisi adolescenziali del labirinto che coincidono con la messa in discussione dell’esistenza del centro).
Il labirinto apparentemente non offre svaghi né divertimenti di sorta, tutto mattoni e curve pareti si propone sempre uguale, c’è di tanto in tanto una galleria che ricorda gli antichi labirinti classici. Le grandi mura spesse e bianche non offrono neanche il refrigerio di una solenne dispersione nelle pieghe del paesaggio. Su di esse vi sono incisi solchi profondi o solo accennati, linee verticali o solo duri punti tra roccia e roccia, questi i segnali, i rebus, le crittografie. Sono forse questi oscuri geroglifici, i simboli grafici di un linguaggio che sveli la struttura completa del luogo (ammesso che non sia infinito, cosa che ormai sostengono i più anziani del labirinto). Questo si sostiene (dico ormai fuori parentesi) perché pare che siano sorte tutto intorno mura e mura e mura che, costruite in seguito, posticce e abusive, non sono perfettamente circolari bensì ovoidali o addirittura poligonali, cosicché ormai non si è nemmeno più certi dell’esistenza di un solo centro.
Questo elemento complica le già difficili ed intricate ipotesi sorte sull’interpretazione di un curioso particolare delle alte mura del labirinto: l’oscura presenza di serrature. Non esistono all’interno dell’edificio chiavi, chiavistelli o forcine di sorta, eppure sulle pareti, sorgono serrature di svariate dimensioni. Voci di corridoio (strano modo di dire in un luogo ad ambienti unici) (forse residuo di un mondo lontano, perso in una storia senza confini, senza mura, senza segni…) parlano di un’antica leggenda (di cui oggi esiste qualche libro illustrato per bambini) che narra di un Demiurgo- Guardiano forse socio del Grande Costruttore. Costui, lontano dall’essere un mero esecutore dei voleri del G.C. (Grande Costruttore, per l’appunto), sarebbe stato il genio originario, l’inventore della serratura.
Detto così può dir poco, ma nella letteratura del labirinto (per un popolo inesistente ed annoiato si rende necessario occuparsi il presente e il passato creandosi non dico una storia ma almeno una letteratura) dicevo, nella letteratura del labirinto la serratura ha un posto di primario rilievo. Forse perché in un universo circolare, che non conosce il risolutorio intervento che può offrire una qualsiasi chiave, la serratura sembra quasi voler rappresentare un caldo e materno ombelico, punto d’arrivo e di partenza, liquido amniotico in cui immergersi dimentichi per poi riprendere il cammino circolare.
Ancora di più la mappa delle serrature forse offre delle direzioni per raggiungere il centro, forse ognuna di esse è uno specchio che oltrepassato offre l’accesso al cerchio successivo…
Questa e svariate altre ipotesi circolano nel labirinto, si infittiscono e si complicano soprattutto quando si avvicina l’anno dieci, quando le paure decennaristiche invadono ed incupiscono gli animi.
Correnti diverse e del tutto opposte di pensiero (forse provenienti dagli altri gironi del labirinto) non credono più alla magica valenza delle serrature, né al suo inventore e neppure al G. C. Insomma essi non credono che il labirinto sia frutto di un piano, di un progetto, ma del caso, per deiezione espulso dalla grande implosione che ha disperso la materia concentrandola in miriadi di fortezze circolari che ignorano vicendevolmente la loro esistenza. Costoro sono anche i più allarmisti e allorché cade la fine del decennio organizzano fuochi fatui attorno ai quali attendere la Pioggia di Sabbia. Anch’essi, quindi, come s’intuisce, non sono affatto materialisti o pragmatici (non essendoci nel labirinto oggetti solidi, poliedri o altra fattispecie di corpi fisici) anch’essi hanno la loro letteratura, ma quasi mistica, che prevede la Grande Pioggia di Sabbia come momento finale, momento in cui anche tutti gli altri labirinti esistenti saranno poco più che rovine sommerse e dimenticate nel ventre della Clessidra – Madre che darà alle cose il tempo di una nuova era. (Per essere onesti, sono in pochi a credere ormai a credere all’ultima parte del traditur, ma tutti restano affezionati alla baluginante immagine della Pioggia di Sabbia).
Solitari ed emarginati sono i pochi scettici che si aggirano barcollando lungo le mura del labirinto. Evitati da tutti, essi (come creature generate dalla stessa terra e per questo estranei a tutti gli altri involontari abitanti del labirinto) si dice, scelsero il parto del labirinto come unica forma primigenia e materna di vita. Ai loro rari e disperati convegni mi ritrovo spesso anch’io, compiaciuto coltivatore di memorie inesatte, perplesso creatore di simboli sconosciuti a me stesso, e privo di qualsivoglia occupazione da quando ho dimenticato cosa di preciso stessi cercando quando ho inventato la prima serratura.
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