di Alessandro Savy |
Il capitale umano non è solamente l’insieme delle competenze acquisite nel corso degli anni accademici ma anche le capacità, le abilità tecniche apprese nel campo del lavoro e dell’ambiente sociale. È il patrimonio di abilità, capacità tecniche e conoscenze di cui sono dotati gli individui. Ogni individuo, quindi, è dotato di un bagaglio di conoscenze, esperienze e abilità che ne costituiscono il capitale umano.[1]
Bisogna attendere la fine del diciottesimo secolo per avere la prima concettualizzazione del capitale umano, quando il filosofo scozzese Adam Smith lo considerò l’insieme dei talenti e delle abilità (fisiche, intellettuali, ecc..), acquisibili soprattutto tramite lo studio e l’istruzione scolastica. L’investimento nell’istruzione scolastica perciò non è una spesa, piuttosto aumenta la produttività e l’economia del domani. Ciò consente di ipotizzare uno stretto legame tra attività lavorative, formative e capitale umano: “l’allevamento degli uomini, così come la produzione, richiede l’impiego di risorse economiche, quindi per il calcolo della ricchezza nazionale è sbagliato considerare solo il valore della produzione trascurando quello degli uomini”.
Theodore Schultz, premio Nobel in Economia nel 1979, fece coincidere il capitale umano con l’investimento in istruzione, salute e corsi di formazione nel lavoro, sottolineando in particolare come gli investimenti in abilità e conoscenze debbano essere sempre incentivati ed attuati anche nel tempo libero. Schultz è convinto che investendo in sé stesse, le persone possano disporre di un ventaglio più ampio di possibilità lavorative: un maggiore investimento in conoscenze ed abilità individuali, quindi, può facilitare la ricerca di un migliore lavoro.
Un ulteriore importante apporto alla definizione del capitale umano è stato fornito da James Coleman, anch’egli appartenente alla Scuola di Chicago, che, però, si distacca dalle tesi dei suoi colleghi. In “Social capital in the creation of human capital”, articola la tesi secondo cui il capitale sociale, inteso come la struttura delle relazioni che si instaurano tra due o più persone, ha come effetto quello di creare il capitale umano della generazione successiva. Coleman afferma: “human capital is created by changes in persons that bring about skills and capabilities that make them able to act in new ways” – concetto intangibile, vivo nelle abilità e conoscenze individuali.
Il capitale umano richiesto a un lavoratore nel XXI secolo ha tre componenti: “La prima riguarda il possesso di elementari competenze linguistiche, di analisi quantitativa e più in generale della capacità di elaborare l’informazione e di utilizzarla nella risoluzione di problemi o per apprendere. […] La seconda dimensione riguarda la capacità di operare con specifiche tecnologie o di condurre particolari processi produttivi. […] La terza dimensione si riferisce alla conoscenza scientifica.”[2]
W MM Savy Il capitale umano oggi
[1] Cipollone P, Sestito P, Il Capitale Umano, Il Mulino 2010, pag. 19
[2] Visco I., 2009, Investire in conoscenza, Il Mulino, pag. 31
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