di Gily Reda
Anni fa Mario Vargas Llosa su “Repubblica” richiamava l’attenzione sul mondo d’oggi. Avrebbero scritto oggi come scrissero Musil Proust e Joyce? Al massimo, si consolava, avrebbero scritto come lui La civiltà dello spettacolo (Einaudi), prendendo a prestito un titolo già usato da Guy Debord nel 1967.
La cultura è bloccata dalla bulimia dell’intrattenimento che contamina anche la filosofia – se ancora respira, dopo la riduzione ad esposizione, cioè ad immagine malata senza intimità, che ha bisogno di specchiarsi nell’occhio dell’altro per sapere cosa ha effettivamente detto. La lingua, rimasta nel postmoderno l’unico luogo della metafisica, della visione del mondo dell’uomo, nella sua prospettiva vitale e oltremondana… non regge al falso più di quanto faceva un tempo il mondo degli oggetti. La conoscenza continua a imbattersi negli errori e finisce un’altra volta l’illusione di essere padroni del mondo: ridotto il mistero al linguaggio, si è infettato il linguaggio. Oggi la comunicazione pare innalzare muri, più che abbatterli.
Al tempo dell’Illuminismo, secoli fa, si credeva che chiunque potesse capire tutto. Aboliamo i linguaggi troppo difficili per farci capire dalla ‘plebe’: diventerà ‘popolo’, il vero soggetto della democrazia. Cerchiamo di far capire cosa vogliono dire le grandi scelte politiche anche a chi non studia. Ed ecco che a lungo andare sono già venuti tempi molto diversi, si contatta di nuovo la plebe a strilli – i tweet – e che si spiegherebbe a fare la politica agli stupidi? Che sono non quelli che non sanno capire, ma quelli che non vogliono obbedire: e dunque non devono capire, se si vuole ridurli a condizioni servili. Ed è proprio questo il punto in cui siamo.
Ed è quindi importante ricominciare a parlare sul serio, a dialogare per capire se è proprio questo che tante persone desiderano, tutti quelli che votano per i populismi. Decidere è un processo difficile, molti preferiscono obbedire piuttosto che condividere responsabilità. Questo però significa non credere nella democrazia ma nelle oligarchie o aristocrazie o poteri assoluti. Per questo tipo di potere bastano gli slogan, gli applausi, le urla: parole sempre ripetute senza domande cui rispondere.
Sicuri gli elettori di non credere più nella democrazia perché si preferisce che altri decidano a modo loro?
Divertirsi da morire diceva diversi anni fa Neil Postman per spiegare il metodo televisivo di rimbambire la gente divertendola a morte, consentendole di credere di avere a disposizione il mondo creato. L’illusione malefica del telecomando.
Durante le ferie di agosto spesso la gente lascia un po’ stare la TV, legge, vede un po’ di gente… E allora: “Meditate gente, meditate”. Butta via il telecomando, uomo, e riprendi la voglia di pensare invece di abbaiare… altroché tweet di dolci uccellini.
Mordono i tweet, e come, se mordono. Li emettono cani – cani rabbiosi, spesso, in quel loro dolce frainteso che vale più dell’anonimato dell’insulto a coprire il vile quando vuole azzannare…
Altrimenti il mondo del banale di Woody Allen, di Andy Warhrol, di Anthon Danto – purtroppo tanto, tanto e troppo più banale di loro – diventerà l’unica voce ad essere ascoltata dalla gente.
C’è ancora chi conosce Proust e Musil? Se ci sei amico batti un colpo!
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