di Franco Lista |
“Saper dimenticare è una fortuna più che un’arte”. Questo lapidario aforisma di Baldasar Graciàn, filosofo e gesuita, va riferito soprattutto agli episodi spiacevoli e alle avventure negative che talvolta segnano la nostra piccola storia esistenziale. Per converso, c’è anche un saper ricordare relativo a vicende e circostanze assolutamente positive come quelle generate da un’autentica amicizia.
Amicizia, peraltro, è un termine il cui superficiale uso, per non dire abuso, ne ha fatto perdere lo spessore semantico, il suo autentico valore.
Parlo di amicizia riferendomi al maestro Giuseppe Antonello Leone, recentemente scomparso a quasi novantanove anni di una lunga vita di artista, dedicata principalmente alle arti visive, alla formazione artistica dei giovani e alla poesia.
Una perdita che segna un gran vuoto non solo nell’arte italiana.
La sua è stata una straordinaria vita di ricerca artistica, tanto incessante quanto intensa: dalle grandi tele, porte di bronzo, sculture, vetrate e ceramiche di una vasta e solida iconografia di arte sacra che attesta la collocazione del maestro nell’ambito della nostra più qualificata cultura artistica del Novecento, fino ai giocosi e ironici risultati trasformativi di scarti e rifiuti.
Ecco che carte, cartoni, stagnole, contenitori per le uova, involucri di polistirolo, bottiglie di plastica, scatolette di latta per alimenti, astucci dei medicinali, rotolini di cartone sono tramutati, trasformati, ossia risignificati, per adoperare la parola chiave di Leone. Sono il prodotto di una schilleriana libertà creativa, dove gioco e produzione sono la stessa cosa e danno luogo a uno straordinario e vario itinerario inventivo.
Una ricerca fatta di sottili divertimenti intellettuali o, anche, di deliberato infantilismo; un’esplorazione condotta con elegante humor e magica naturalità sotto la quale, a ben guardare, si rivela il dramma della vita degli oggetti, delle cose banali apparentemente inutili e inanimate alle quali non rivolgiamo attenzione perché siamo assuefatti alla loro vista per il continuo uso quotidiano. L’aspetto, imprevedibilmente metafisico e sottilmente allarmante, di un contenitore di plastica non sfugge a Leone che, come un poetico mastro Geppetto, dà vita all’inanimato e sviluppa un sorprendente percorso inventivo.
Per questo Philippe Daverio parla di Leone quale mago, ironico e sornione il cui studio è un laboratorio alchemico in eterno pulsare.
Quella che Leone definiva risignificazione è forse la sua tecnica d’invenzione favorita, inevitabilmente e piacevolmente polimaterica, che gli consentiva di dar nuova vita non solo ai rifiuti e agli scarti dell’uomo, ma anche alle “scorie” della natura. Ricordo la sua aria silenziosamente misteriosa nell’individuare repentinamente un ramo tortuoso che inglobava un curioso sasso o un quadrifoglio, l’unico forse in un gran prato; poi lo staccava offrendolo a chi lo seguiva.
La sua attenzione era rivolta soprattutto alle pietre nelle quali individuava qualcosa che gli altri non avvertono; lo faceva con un comportamento direi panteistico: nei greti dei fiumi, lungo i corsi d’acqua, dovunque la natura gli mostrasse l’anima, soprattutto nelle cose più minute, nei frammenti, nelle fessure e cavità dei sassi. Era attratto dalle forme, dalla struttura, dai modi d’origine delle pietre. Ricordo la sua intensa concentrazione sulla pavimentazione in marmi di vari colori del Palazzo reale di Napoli, dove era presente all’inaugurazione della sua mostra “Fantasmi di Napoli”. Guardava acutamente striature e macchie nelle partiture dei marmi, affascinato dalla ricchezza e imprevedibilità delle varie venature; ne individuava antropomorfismi e zoomorfismi e li indicava con la punta del bastone ai presenti. In quel momento, nel rendere esplicite quelle forme, l’atto immaginativo di Giuseppe Antonello Leone indicava il senso implicito del reale, così come acutamente è considerato nella psicologia fenomenologica della percezione di Jean-Paul Sartre.
Il suo interesse non si esauriva nella pur creativa ricerca di immagini ipnagogiche, era sicuramente una propensione, un’attenzione più complessa, come si è già osservato. Il maestro era davvero intento a percepire quel qualcosa di non-materiale che la materia possiede, quel principio vitale che è in tutte le cose. Il suo pensiero era alimentato da riferimenti filosofici, soprattutto Giordano Bruno, ma non escludo Voltaire e Shelling
La risignificazione, o la risemantizzazione, per adoperare un termine caro ad Argan, era tutto questo e avveniva nel suo studio con pochi e magistrali interventi sulle pietre e gli altri materiali di scarto raccolti; da qui l’attualità di uno sperimentalismo e di un anticonformismo condotti senza tregua da Giuseppe Antonello per tutta la sua lunga vita.
L’attività del maestro, infatti, nei lunghi anni della sua vita, ha dato luogo a ricerche che spesso precorrono quelle di altri importanti artisti. Un solo, significativo esempio è il cosiddetto décollage, tecnica artistica la cui iniziale sperimentazione è attribuita a Mimmo Rotella e ad altri artisti stranieri. A ben guardare, alcuni décollage di Leone sono stati realizzati con largo anticipo, così come è accaduto per altre tecniche e modalità artistiche.
Queste sono solo poche notazioni, tra le tante che si potrebbero fare, circa l’immenso patrimonio di ricerche e sperimentazioni creative del maestro, sorrette sempre da un profondo “mestiere”, ossia dalla piena conoscenza di tutte le tecniche artistiche; cosa questa che appartiene solo a pochissimi artisti e rappresenta, in qualche modo, un tratto singolare e introvabile di Giuseppe Antonello Leone.
Perizia e competenza tecnica dell’affresco, della ceramica, delle arti grafiche, del graffito polistrato, degli smalti e dell’oreficeria, insomma di tutte le arti applicate, sono i rari attributi della maestria di Leone che registrava, con grande sistematicità e metodo, le sue sperimentazioni in fitti appunti, annotazioni, ricette, resoconti. Un prezioso patrimonio da salvaguardare e tramandare!
Di origine irpina, Antonello si formò all’Accademia di Belle Arti di Napoli, con Eugenio Scorzelli, Mino Maccari, Pietro Gaudenzi, illustri maestri che spesso citava; ma il suo ricordo, in più occasioni, andava al suo primo formatore nella Scuola di Arti e Mestieri di Avellino: Settimio Lauriello, un pittore futurista, oggi pressoché sconosciuto ma di sicuro talento e, soprattutto, un ottimo formatore che spingeva gli allievi a produrre in modo creativo.
Forse da questa primissima esperienza gli derivava quella passione per la formazione artistica che lo ha visto dirigere con competenza, dedizione e grande umanità diversi Istituti d’arte, da Potenza a Napoli, passando per Cascano di Sessa Aurunca e San Leucio, creando delle vere e proprie comunità di artisti-docenti. Penso che questo non comune impegno nel trasmettere passione, abilità, stile di vita artistica abbia sottratto un tempo notevole alla sua attività di artista e di poeta; ma Leone era fatto così! Generoso, moralmente onesto, disinteressato ai guadagni del sistema mercantile dell’arte. Il suo obiettivo, espresso finanche in anni recenti nella partecipazione ai progetti di didattica della bellezza di Clementina Gily, era costantemente teso all’educazione attraverso l’arte e alla formazione estetica, soprattutto dei giovani.
Mi è caro ricordare, in proposito, la stretta collaborazione tra noi, per “Scuola Viva” della SEI di Torino, dove nei nostri scritti, nei lontani anni ’60, argomentavamo una nuova educazione artistica che fosse materia prima per la piena formazione dell’uomo, nel convincimento che l’arte è espressione di libertà e dunque sostanza educativa della democrazia.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.