di Maurizio Vitiello
L’artista Giuseppe Antonello Leone resta dentro di noi.
Chi lo ha conosciuto ha percepito la sua dimensione, il suo spessore, la sua umanità.
Nel bel fotolibro “GIUSEPPE ANTONELLO LEONE: lo stile è l’uomo.”, con le immagini chiare, nitide realizzate da un dinamico e intelligente Rino Vellecco, da anni, impegnato fotografo partenopeo, si raccoglie la sua intensa operatività.
La sua casa, il suo studio, i ricordi della sua vita, i suoi lavori trattati lungo le fasi della sua lunga attività, sono stati fissati per far comprendere l’energia della sua produzione ad ampio spettro, mai d’indicazione unica, ma fraseggiata su più spunti emotivi e su più spunti iconici.
Riuscire a scrivere su Giuseppe Antonello Leone, con visione sociologica e con impatto critico, servirebbero pagine e pagine, ma il mio contributo, nello spazio ristretto di quest’intervento, dopo gli scritti autorevoli e definiti del bravissimo e puntuale Franco Lista e dell’impegnata e profonda Clementina Gily Reda, vuole rendere solo un cosciente e motivato ricordo di un artista, straordinariamente variegato e con l’inclinazione a sorprendere. A Napoli, dove ha molto operato, è stato un “focus” attivo e mosso, incredibilmente vitale sino agli ultimi mesi della sua vita.
Si avvertiva la sua presenza autorevole alle inaugurazioni, e maestri e giovani emergenti lo cercavano per conversare; un bel tratto di storia aveva percorso e aveva tanto da ricordare.
E quante volte si è divertito a sciorinare in una lingua, assunto di un “divertissement”, ironicamente fattivo, quanto indiscutibile richiamo di un’oralità arcaica, commenti su mostre o a eleggere in un fitto monologo una precisa posizione alternativa.
Chi ricorda quei fatati momenti? Indubitabilmente, chi l’ha vissuto, chi gli è stato vicino, chi lo ha frequentato. In quei “lampi orali” apprezzava, citava, considerava e interpretava, in una soluzione magica, col filtro lirico di un idioma possibile, probabile, musicalmente alto, ma, inevitabilmente, criptico, una linea di indici di straordinaria valutazione poetica, che affascinava e lasciava senza fiato.
Venivano seguite le sue “performances” vocalizzate con ampio raggio di seduzioni antiche e di sensazioni vibranti. Che dire, poi, di un’altra sua magia consistente nel rintracciare piccolissimi fossili da vili pietruzze e senza distinzione alcuna.
Una volta, in Val d’Agri, andai con Leone su una montagnola e mi parlò della sua vita e del suo amore verso quella terra conosciuta tramite la moglie, Maria Padula, e sfregando tra le mani alcune pietre riuscì a recuperare il piccolo fossile di un pesce; Leone parlava alla natura e cercava la natura. Con la sua appassionata ricerca di pietre, che avessero, appunto, qualcosa da dire per una plastica potenziale, riusciva a entrare in un’altra dimensione.
Ne scovava alcune preziose, nei pressi di Maratea, per una manipolazione veloce e accorta; “toccandole” le animava.
Giuseppe Antonello Leone, che ha saputo confrontarsi con tutte le varie tecniche possibili e immaginabili, da vero maieuta e autentico sperimentatore, ha avuto la grande fortuna di vivere tempi di trapasso e li ha o anticipati o seguìti. Fondamentalmente, si è incanalato a sostenere un codice o a magistralmente diversificarlo.
GF Vitiello G. Antonello Leone nelle immagini di Rino Vellecco
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