di C. Gily Reda
Francesco Alessio ha seguito studi regolari, Liceo Artistico ed Accademia (con Augusto Perez), ma ha manifestato subito il suo carattere, la sua tendenza all’ascolto, a cercare il contatto con chi guarda, lavorando al restauro dei dipinti su tela e su tavola, nel Laboratorio napoletano presso la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici nella Pinacoteca Nazionale di Capodimonte e al restauro archeologico anche con il C.N.R.S. francese.
In questo quadro, del tutto coerente la scelta successiva di lavorare nella scuola, naturalmente al liceo artistico. Le sue opere cercano la linearità nascosta degli archetipi navigando tra materiali diversi, assemblati secondo logiche grafiche col filo di ferro ma poi anche ricostruiti con il caldo plastico della ceramica ma poi frequentando ogni materiale – come dice Vitaliano Corbi cercandone il battito cardiaco. È un navigare tra le materie come fossero vive che cerca di ascoltare la melodia che segna la loro metamorfosi in cultura dello spazio. Ciò perché non si sintetizzano gli elementi ma piuttosto li si compone, non nella tradizione ma nel pop: lasciando cioè accostate più che indagate le analogie della costruzione.
Comporre così legno, creta, ferro, pietre, coralli, materiali industriali, svela l’anima quando si aggiungono gli elementi vegetali; si mostra così la volontà di riappropriarsi dell’energia della vita che solo apparentemente era assente nelle materie. Un Gioco-Play-Spiele-Jeu mette in scena la realtà sperimentale che cerca la forma perduta nel desiderio del rispecchio dichiarato dai catini d’acqua di una mostra di qualche anno fa. Ma è una ripresa non una mimesi, un nuovo antico che insegue la metessi, direbbe Platone, cioè non la forma fisica ma quella spirituale, non la realtà visiva ma quella della percezione ivi compresa l’emozione generatasi al contatto. È il simbolo stesso della ricerca, della curiosità di una domanda di svelamento che anima la diversa configurazione delle opere che hanno però un che di comune. Perciò la ricerca si fa trasformazione in una sorta di romanzo di formazione che porta ad intitolare Un sentiero verso il diario la mostra all’Istituto di Scienze Umane di Parco Margherita a Napoli. Gli stessi materiali poveri, in quantità discrete, segnano la misura di una creazione che si muove piano, per non turbare la voce delle cose, ma configurare il nuovo corpo di una vita d’rtista. La trasformazione fa rinascere la vita grazie al vento dell’espressione che va seguita quando si presenta, attraverso oggetti casualmente autorivelatisi, da portare a destinazione. Il segreto del quotidiano.
Francesco Alessio ha partecipato alla II Biennale del Sud Quando le Accademie scelgono le Arti Electa, Napoli 1993, ha allestito personali ed è stato presente a tante mostre in Italia e all’estero. Ma sa conservare l’incanto, mantiene il riserbo che gli riconosceva M. T. Penta: un rapporto intimo e silenzioso fatto di gesti lievi appena percettibili, che sembrano sfiorare la materia per lasciarla integra e offrire all’occhio la possibilità di addentrarsi in essa e coglierne le tracce di una vita millenaria. Le sculture, per lo più piccole dimensioni, sono composte da materiali diversi, il cui elemento unitario è dato dal loro essere materiali ‘caldi’, reperti nelle cui cavità, rientranze, spigoli affinati dal vento o forme arrotondate dall’acqua, si coglie il filo di una narrazione, il racconto della natura.
L’ho conosciuto così, con la scala accanto al titolo, perché mi occupo di formazione estetica anche a scuola, e rimasi davvero colpita visitando una scuola abitata da chi la pensava come me. La bellezza, che può tanto nella vita di ogni giorno, spesso non entra nelle tante scuola antiche e moderne, che difficilmente si rivestono della gloria italica del design e dell’arte. Francesco Alessio aveva contribuito al ‘restauro estetico’ voluto dal Dir. Carmine Negro all’Istituto Campo del Moricino. Chiamato a dirigere l’Istituto ‘Caduti di via Fani’, il Dirigente si trovò davanti ad un edificio triste, dal nome devozionale e cupo, in ambienti per bambini che dovrebbero ricevere a scuola qualche speranza per il futuro. Cosa frequente nelle città, ricche di edifici antichi che non si ristrutturano facilmente: ma rinfrescarle è più semplice, come nelle case in cui si vive e anche senza soldi il modo di rallegrale si trova. Bisognava combattere quel risultato inaccettabile di accogliere i bambini in una sede che “aveva l’aspetto di un carcere” mi disse nel 2008 Carmine Negro “per allievi che non di rado conoscevano, in visita ai parenti, il carcere”. La scuola è collocata nelle adiacenze di Piazza Mercato, luogo di esecuzioni e di assedi – era la zona del Castello del Carmine – come dice il nome scelto per la scuola, che echeggia gli antichi accampamenti turchi, vicino alla spiaggia. Ha anche bellissimi monumenti ed antiche strutture, tutte spesso ben lontane allora dalle glorie passate. C’è da dire che oggi la situazione va migliorando, grazie al turismo che ha vantato i suoi diritti con gli amministratori: ma la squilla della battaglia è stata lanciata dalle persone che come il dirigente Negro e il pittore Alessio hanno fatto la loro parte.
Prima cosa, quindi cambiare il nome, pur nel rispetto del dolore ormai quarantennale di quella brutta guerra civile degli anni ’70. Poi, subito, cambiare il look della scuola – l’ascensore che si poté costruire per evitare quella barriera insormontabile per i bambini problematici si dotò di una bellissima scala colorata. Un lavoro di tutte le classi, dei piccoli e dei meno piccoli, disegnò tante e tantissime figure piene dell’ingenuità dell’infanzia, in cui però i bambini si riconoscevano autori. Un Maestro d’arte, appunto Francesco Alessio, da quelle figure disegnate su carta ricavò i pannelli dell’ascensore. Una storia che coniuga una serie di virtù didattiche e personali, artistiche e di mente e coraggio personale e sociale: collaborazione di arti, l’arte di disegnare, l’arte di educare in un circolo virtuoso. Che ha edificato la scala ed il Mosaico dei monumenti circostanti, per iniziare la trasformazione poi continuata negli anni di una gestione esemplare, a giudicare dall’alto e dal basso: non solo i responsabili comunali e scolastici la elogiano ma anche i docenti, come posso testimoniare personalmente: d’altronde basta guardare il sito per rendersi conto dell’attività svolta in tanti anni. Vale la pena di dirlo, perché questo è l’ultimo anno per l’attuale dirigente. Purtroppo.
Questa attività generosa mi diede modo di apprezzare il valore di Francesco Alessio come artista sincero, capace di un lavoro ‘ufficioso’, condiviso con il dirigente e con i bambini e ragazzini che a migliaia (non si dimentichi la quantità) hanno frequentato da allora la scuola, sognando colori per le loro vite future. Non carceri ma scale colorate per arrampicarsi fin su, per imparare a vivere in un questo mondo difficile. Quando l‘arte sa intrinsecarsi col quotidiano, non solo nel senso di Warhol, ama anche nel senso di allestire le scene della vita, coglie il momento in cui l’arte celebra il bello e forse anche il vero e il bene, un ricordo dell’antica anima greca di Napoli
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