di C.Gily Reda |
Profittando della pubblicazione, dal numero scorso, della tesi di laurea di Viviana Molino, di cui fui relatrice, dopo aver fatto per anni corsi su Aby Warburg, riprendo l’immagine apposta all’introduzione. Vi si vede l’assurda ninfa del Ghirlandaio (Nascita di San Giovanni Battista) che entra in scena quasi inavvertita in un contesto altro. È il fantasma, il Nachleben, diceva Warburg, l’insonne presenza dell’antico che turba ed arricchisce il presente col suo colore ed odore. Un vento fresco oltrepassa la metafisica pittorica medievale e cerca nell’antico un altro riconoscimento.
Napoli ha bisogno di questo soffio, anche se a volte i ricordi sono brutti. Ma ricordano una grandezza oggi riconosciuta più dai turisti che dagli abitanti. A Napoli piove, c’è la spazzatura e la peggiore politica … e i giovani del ceto medio fuggono a vele spiegate, lasciando genitori felicissimi dell’esodo. Emigranti non più per forza, vedono Gomorra con piacere – ma credo che come chi scrive non abbiano mai conosciuto realtà simili – un borseggio, al massimo, ma accade ovunque. Chi lavora conosce altre malversazioni, che sono le stesse ovunque, lobbies prepotenti, raccomandazioni, disconoscimento del merito e anche mobbing… le mafie, tranne i giudici, le conoscono pochi. Gomorra è piaciuta anche a me, ne ho scritto, anche se nemmeno alla Sanità o ai quartieri spagnoli ho visto tipi come il giovane Savastano. Poveri sì, ce ne sono molti; e sicuramente i giovani non trovano lavoro. Ma il razzismo non è giusto nemmeno in questi casi.
A Gomorra non occorre la critica ma la libera controbattuta. Ed è venuta, alfine – pare – Patierno ha presentato al Festival di Roma un documentario che ricorda i bombardamenti di Napoli del 42-43 – che la ridussero come Aleppo. Il racconto non parte dai napoletani, ma da un americano, Norman Lewis, che nonostante lo scempio della Napoli distrutta, diceva “Se potessi rinascere, vorrei fosse qui” –frase che i napoletani che restano ripetono spesso, è una città che si ama. Spero solo che visto che Patierno recupera nel docufilm Mastroianni, Totò, Eduardo, Rondinella, Rossellini e Nanny Loy, nonché Emmer, non abbia fatto l’ennesimo film di colore, come quello di tanti scrittori che parlano di Napoli da lontano. Vedutisti, non riescono a cogliere i bozzetti della vita reale; il fatto che Titta Fiore lo definisca ‘napoletano di nascita e di cuore’ fa pensare infatti sia un esulte, come tanti eminenti che amano da lontano: ma non si ama così, non ci si prende cura.
Un video, ora su YouTube, girato con Adolfo Giuliani qualche mese fa dimostra il sentimento di chi restò, nonostante a tutti capitino occasioni (vedi il canale oscom.unina). Non conoscevo la tragedia del 42’-43,’ i miei erano in guerra. S’è poi verificato anche qui quel pudore della gente che subisce violenza. Ci si sente offesi, quasi colpevoli dell’accaduto, si vuol dimenticare. Notai questo atteggiamento quando in un convegno sulla radio, nel 2003, a Lioni, l’allora sindaco Rosetta D’Amelio parlò ai ragazzi cui era dedicato l’incontro di MEDIAMICI dicendo cos’era stata per loro la radio nel 1980, tra le macerie del terremoto. I ragazzi presenti non erano nati, scese un silenzio generale: non ne avevano sentito quasi parlare.
Il 23 aprile del 1616 Giuseppe Montesano, altro illustre esule come la Ferrante, ricordava il quadricentenario della contemporanea morte di Cervantes e Shakespeare: è finita l’Europa creativa, diceva. Non pensa così Apple. Mentre i burocrati inglesi invitano a confessare d’essere napoletani o siciliani, nei vesuviani Apple è venuta a cercare i creativi. Si vedrà.
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