di Vincenzo Curion
La conoscenza del sensibile.
Quando A. Baumgarten nel 1735 adotta per la prima volta il termine estetica, partendo da considerazioni sulla filosofia leibniziana, per la quale “la bellezza è il grado più alto della conoscenza sensibile, ancora ‘confusa’, per quanto non più ‘oscura’ come la mera sensazione, ma già ‘chiara’, sebbene non ancora ‘distinta’ come la conoscenza intellettiva”; egli sottolinea che si tratta pur sempre di una conoscenza sensibile. Nelle Meditatione philosophicae de nonnullis ad poëma pertinentibus, il filosofo tedesco muove dalla considerazione che, così come esiste una scienza dei contenuti intellettuali, la logica, allo stesso modo dovrebbe esistere una scienza dei dati sensibili della conoscenza, che andrebbe chiamata estetica.
“Si può chiamare aisthetiké (sottintendendo episteme) la disciplina che studia le sensazioni (táaisthetá) in modo simmetrico a quel che la logica (logiké episteme) fa con gli aspetti intellettuali e razionali (tánoetá)”.
Ricollegandosi a Leibniz, Baumgarten sottolinea che la conoscenza progredisce non solo attraverso le idee chiare e distinte fornite dall’intelletto, ma anche attraverso gli stimoli forniti dalle sensazioni. Nella sua visione, non c’è una contrapposizione radicale fra sensibilità e intelletto. Tra il sensibile e l’intellettuale-razionale c’è piuttosto un percorso ascendente, “così come si transita dal buio della notte alla luce del giorno con il progressivo diffondersi della luce dell’aurora”.
Su queste basi è quindi possibile una scienza della conoscenza sensibile dove l’espressione artistica sarebbe dunque una “summa”, una crasi di una pluralità di significati più o meno simbolizzati. In questo personale lavoro dell’artista sarebbe racchiuso l’universalità del messaggio, che è comunque formulato in una dimensione dialogica tra la sensibilità dell’uno e la pluralità sociale. Inoltre l’universalità del messaggio non implica la comprensione di chiunque. Stratificazioni culturali, disconoscimenti e riconoscimenti progressivi fanno sì che i gradi di comprensione siano molteplici.
Il messaggio seppure “nato universale” si specializza nel recepimento, con conseguente pregiudizio della sua comunicabilità.
La mutazione estetica.
Oggi il focus estetico riesce a ricomprendere anche le atmosfere quotidiane raccogliendo anche quei messaggi che non sono propriamente edificanti. Non sempre un artista sceglie di rappresentare il “bello morale”, ma bensì segue un proprio percorso di rappresentazione del “bello terrificante”, quello che turba lo spettatore, che proviene anche da un lato meno piacevole ed edificante del reale. Già nel discorso Aristotelico si individuava nell’Arte una forma di replica del reale (“Imitazione”), che l’Artista – scrittore , poeta, autore- esegue più o meno fedelmente per suscitare una emozione nel pubblico. Scrive Aristotele: “[…]in primo luogo l’imitare è connaturato agli uomini fin da bambini, ed in questo [l’uomo] si differenzia dagli altri animali perché è quello più proclive ad imitare e perché i primi insegnamenti se li procaccia per mezzo dell’imitazione. In secondo luogo tutti si rallegrano delle cose imitate. […] cose che vediamo con disgusto le guardiamo invece con piacere nelle immagini quanto più siano rese con esattezza, come ad esempio le forme delle bestie più ripugnanti e dei cadaveri. La ragione poi di questo fatto è che l’apprendere riesce piacevolissimo non soltanto ai filosofi ma anche agli altri, per quanto poco ne possano partecipare. Per questo infatti si rallegrano nel vedere le immagini, perché succede che a guardarle apprendono e ci ragionano sopra riconoscendo ad esempio chi è la persona ritratta;” Quale che sia il fine della sua rappresentazione: denuncia? condanna?, allerta?, nella scelta della tematica è insita la necessità di adoperare con maestria la propria capacità espressiva perché il messaggio arrivi al fruitore con l’energia dovuta. Non a caso la riconoscibilità dell’artista è anche nel fatto che la sua produzione ha dei filoni conduttori da cui non si discosta, salvo creare incertezza e incredulità nel proprio pubblico. Ad esempio Barry White era solito dire che: ”lascio tranquillamente a [Bob] Dylan la capacità di denunciare nelle sue canzoni” . Il discorso estetico oltre l’Arte.
Una infinità di cose – un filo d’erba, un paesaggio, un volto o un vestito, un’atmosfera, o l’esecuzione di un opera – si possono definire belle senza pensarci troppo; quando queste ci parlano e ci invitano,ci attraggono e conquistano in una determinata maniera per cui noi – in un certo qual modo interessati, totalmente rapiti in questo stato di sospensione –, volentieri torniamo ad esse e vogliamo custodirle
o ricrearle. E se determinate caratteristiche delle cose siano belle o brutte, sembra lo si possa capire semplicemente considerando se esse piacciono per sé o non piacciono, senza tenere conto di altri interessi. L’idea che l’estetica sia una teoria del sensibile riporta alle origini stesse della disciplina. Con il passare del tempo il significato del termine subisce diversi rimaneggiamenti divenendo oggetto di diverse interpretazioni. È estetica la filosofia dell’arte, come sostiene Arthur Danto (cit. La trasfigurazione del banale (1982). Danto è fermamente convinto che quel che vale la pena costruire è una filosofia dell’arte, e per di più una filosofia dell’arte che rinuncia a considerare necessari per l’opera d’arte proprio gli aspetti estetici, cioè sensibili, quelli che possiamo vedere o udire, dato che a fare l’opera d’arte è in primo luogo quel che sappiamo, non quel che sentiamo) o è piuttosto una filosofia del senso e delle sensazioni, come anticipò Garroni nella tradizione che nasce da Baumgarten e Kant?
Abbracciando la prima tesi si riuscirebbe a trovare un senso comune trasversale a tutte le opere e le forme d’arte anche quelle non riconosciute come tali dall’estabilishment culturale. Sposando invece la seconda tesi si potrebbe ad esempio parlare di estetica del fumetto, del design. Si potrebbero dunque mutuare delle specializzazioni e delle caratterizzazioni, ampliando così il campo d’indagine dell’estetica anche a ciò che difficilmente può essere ricompreso nel concetto di Arte. In questo modo l’estetica diverrebbe al pari della logica, una metodica per indagare le esperienze della vita quotidiana, ivi comprese anche quelle più dolorose. L’indagine per altro sarebbe rapidamente estendibile a tutti i sensi e non solo a quelli usuali su cui nei secoli filosofi, artisti e pensatori si sono concentrati. Le teorie estetiche infatti hanno privilegiato in senso estetico la vista e l’udito in qualità di “sensi della distanza”, i quali si suppone tengano gli oggetti percepiti a distanza, rispetto agli altri intesi come “sensi della vicinanza”, tutto ciò ha ragioni che non risiedono nella cosa stessa. Una distinzione simile rende del tutto incomprensibile come mai cose e fenomeni definiti “belli” non solo ci osservino o trovino favore “da lontano”, ma possano toccarci ogni volta e farsi così vicini a tal punto da farci rabbrividire e “toglierci i sensi”.
La Musica come linguaggio artistico.
Le teorie estetiche hanno considerato specificatamente vista e udito per le loro speculazioni riuscendo nel tempo a definire l’estetica visiva e l’estetica musicale. Non è possibile parlare di uno sviluppo autonomo dell’estetica musicale prima del ‘700, tuttavia già Aristotele aveva un proprio pensiero “estetico” influenzato da quello platonico secondo il quale la musica adempie a tre funzioni: educativa, catartica ed edonistica (di puro diletto).
Fu l’Illuminismo ad impostare su basi scientifiche lo studio delle leggi inerenti al linguaggio musicale sottraendolo alle perduranti remore metafisiche. Oggetto di rivalutazione nella cultura romantica, la musica riacquistò il primo posto nella tradizionale gerarchia delle arti, considerandola il linguaggio dell’assoluto e il vertice delle possibilità espressive dell’uomo. Con Eduard Hanslick, che si ricollegava al formalismo herbartiano, esso pose inoltre le premesse per un’analisi del linguaggio musicale. Questo indirizzo, cui si ricollegò la Musikwissenschaft (scienza della musica) germanica e anglosassone, è stato alla base di molti sviluppi delle poetiche e delle estetiche del ‘900 (per es., Gisèle Brelet, Boris de Schloezer, Suzanne Langer, Leonard B. Meyer), arricchendosi anche degli apporti della psicologia della forma e delle indagini sul linguaggio della musica contemporanea operate spesso dagli stessi compositori (Arnold Schönberg, Anton von Webern, Paul Hindemith, Igor Stravinskij, John Cage, Karlheinz Stockhausen, Pierre Boulez, Henri Pousseur ecc.). Una caratteristica dell’estetica musicale del sec. XX è la varietà dei presupposti metodologici. Se in Italia l’estetica musicale è stata per lungo tempo legata all’idealismo crociano (cosa che non ha precluso la nascita di indirizzi diversi, come la prospettiva marxista-fenomenologica di Luigi Rognoni), altrove sono prevalse altre metodologie: da quella sociologica di Theodor W. Adorno a quelle fenomenologiche (seppure divergenti) di René Leibowitz ed Ernest Ansermet, alle prospettive strutturalistiche di Claude Lévi-Strauss.
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