di Clementina Gily, Editoriale
Quando Napolitano ha salutato i cittadini, ha dato un encomiabile esempio di pensiero argomentativo. Abbiamo superato lo scoglio del trapasso e il timore di essere in una porta girevole impazzita, si può ricordare quanto insegna quel discorso.
La metafora della porta girevole si riferisce all’esperienza dei talk show, l’incubo del cittadino. Anche i più “sereni” vedono persone che parlano e non ascoltano, che affastellano libere opinioni, improvvisano pezzi di spettacolo. L’elettore sente svanire la possibilità di informarsi; quando domani tornasse all’ascolto, potrebbe trovarsi dinanzi alle stesse persone intente a dire l’opposto di ieri senza che qualcuno se ne accorga. È il tritatutto della coscienza politica il palinsesto politico, tende alla distruzione della memoria.
Quando Benjamin meditò sull’argomentazione, scosso dalla velocità dei fotogrammi dei testi filmici, che fanno della parola un proiettile, un’arma e non una comunicazione, una serie di colpi tanto rapidi da togliere il tempo di pensare. Invece la parabola e la narrazione sono testi brevi e lunghi che giocano sul fascino, evitano il bombardamento senza assimilazione: coinvolgono con la sacralità della parola, creano lo spazio al silenzio. Il discorso chiuso pieno di storie disegnate nei particolari scritti e da immaginare sono una Statua, avrebbe detto Giulio Camillo Delminio pensando ad un ruolo teatrale. Un solido percorso che consente di girare intorno ad una situazione, come una melodia che si ricanta e che non scivola nella dissonanza. Chi ascolta se ne appropria, la ripete a suo modo. Chi argomenta dice altrimenti ma pur sempre racconta la storia, riconoscibile nella sua pregnanza.
Ciò deriva dalla chiusura del discorso, dalla semplicità che l’esempio sa così conseguire. La sua efficacia sta nell’essere tanto chiaro da comunicare il discorso a chi ascolta – tanto da saperlo consegnare, passa di mano e va all’interprete. Al contrario, chi lascia incompiuto, urlato, veloce, vuol mantenersi emittente in rapporto al ricevente: vuole solo assordare.
L’esempio di Benjamin è Nicolas Leskov (Aura e choc), l’ultimo narratore; egli nel tempo in cui si parla per slogan scrive come Tostoi; ed ha l’efficacia della parabola. Perché il suo esempio chiude la melodia di un concetto e il lettore la capisce dall’inizio alla fine e la sa ripetere e raccontare oralmente: narrazione e parabola conservano il pregio dell’oralità, conservano l’apertura quando sanno chiudere e comporre un che di memorabile che una comunità condivide: il discorso concludente è una immagine in parole, una Statua (figura) o una perla di vetro (concetto) che ognuno riempie di riflessi personali. La perla ha tante ombre – ma non perde la sua consistenza e sempre genera nuove letture.
Nell’epoca di Twitter la politica vive di aforismi, e la parola proiettile invece di mediare vuole rompere l’equilibrio. Il discorso di chiusura di Napolitano Presidente lascia agli Italiani l’esempio di una argomentazione: è un percorso connesso con unico filo, si compone di passaggi dall’inizio alla fine che allacciano una serie memorabile per la sequenza dei punti, come le stazioni di un pellegrinaggio. Perché funzioni, occorre che esse siano significative, una rotta, dal nazionale all’europeo, dal necessario all’accessorio, per chiudere con l’appello emotivo ad ognuno, di collaborare con responsabilità personale e solidale.
Napolitano argomenta senza retorica da sempre; allaccia concetti equilibrati ed interi secondo il primo e il poi – e sa dirli senza interrompersi guardando negli occhi chi ascolta. Capacità attoriale che avvalora il costrutto del discorso della pacatezza convincente di chi crede in quel che dice. Dimostra che la virtù oratoria non è retorica; è la convinzione meditata di una catena argomentativa che consenta di intrecciare la condivisione secondo regole.
Quel che manca a Twitter non è il numero di caratteri, è la conclusività di discorsi ben detti perché ben pensati. È la forza della democrazia: senza una rinnovata capacità di argomentare c’è da chiedersi se valga poi davvero la pena anche solo tentare di esportare la democrazia.
W editorale 2-15 Eletto Mattarella, una parola su Napolitano