di Clementina Gily, Editoriale
Due autori celebri – Domenico de Masi e Maurizio de Giovanni si sono incontrati al PAN in una sala come si conviene affollata: ma anche poco refrigerata. Il che è stato rilevato da Domenico De Masi, nel suo negativo giudizio su Napoli – Napoli non partorisce creativi – che ha così motivato: la creatività si valuta sui risultati; essi sono modesti per l’incapacità a costruire reti forti, quindi Napoli non è creativa, produce solo sterili, personali guizzi d’ingegno.
Visto che Napoli è già bocciata dal mondo della comunicazione su tutti gli altri fronti, spazzatura, camorra, prepotenza dei malavitosi, resa ai padroni stranieri: la notizia ha alquanto abbacchiato il pubblico. Ha reagito con forza De Giovanni, lo scrittore napoletano caro alla città per i suoi personaggi e per la frequente collaborazione agli incontri e agli eventi, in cui porta la sua passione e la sua ironia. Ha spostato la questione sull’amore per la città, per quel non so che spinge tanti che non ignorano in nulla i difetti radicali della città, a restare e a lavorare, a portare il proprio contributo, nonostante la difficoltà. Molti dei residenti potevano espatriare e darsi una vita più tranquilla, tra cui chi scrive; perché si resta? Per non tradire la patria, uomini e cose; sembra un po’ romantico, ma è forse l’unica risposta che regge.
Prendiamo Maurizio De Giovanni: chi non sa che fuori Napoli le case editrici importanti con cui pubblica potrebbero offrirgli occasioni da brivido, in questo mondo dove le relazioni sociali contano più che mai? Ma non se ne va, lo ha detto quel pomeriggio, perché non sa come si possa parlare di Napoli, cosa che è la radice sua ma anche di tanti napoletani fuoriusciti, senza viverci. Certo, il fuoriuscitismo ogni antifascista sa com’è importante: però, diciamo la verità, che Eduardo, che ha saputo raccogliere ogni parola di Napoli, ma che non esiste fuori di esse, sia tornato solo per dire ai ragazzi di Nisida “Fuitevenne”, è una ferita che non cessa di sanguinare dopo tanti anni.
Cosa avesse Eduardo da rimproverare a Napoli, essendo vissuto in Via Vittoria Colonna, tra le più ricche della città, ben dotato di soldi e fama … ma a Roma aveva trovato ancora di meglio. Sarebbe stato lo stesso per quel poveri ragazzi di Nisida? Nelle scorse settimane ne è stato ucciso uno, di quei ragazzi, che certo non c’era all’incontro con Eduardo ma è impossibile non sapesse l’aneddoto. Emanuele scriveva nel giornale dei giovani detenuti, e voleva tentare la strada – ma ricollocato nel suo ambiente di camorra, da dove non si esce senza amici importanti, non ha trovato di meglio che ambire al ruolo di boss dei bambini, ed è stato fatto fuori dai vecchi. Forse uno dei tanti fuoriusciti, se fosse rimasto, avrebbe potuto creare altre condizioni di lavoro per lui ed evitare che la sua vita finisse a vent’anni.
Certo, aveva ragione Eduardo a consigliare “Fuitevenne”¸ma doveva precisare che ciò diceva per autocritica, di aver abbandonato la difesa della città, di aver lasciato soli gli uomini di buona volontà che ci hanno provato: che sono pochi, visto che chi appena può fugge. Altro esempio, La Capria, ricco esule che regala a “Il Mattino” i suoi amarcord; da Napoli ha preso, a Napoli non ha dato – il contrario, dice Maurizio De Giovanni, di quel che si deve fare.
Non fanno così i veneti, i piemontesi e i fiorentini: e l’esodo è cominciato coi fratelli Spaventa, artefici dell’unità d’Italia, entrambi fuggiti molto rapidamente a Roma. Ma Benedetto Croce, loro nipote, tornò a Napoli e per Napoli ha fatto molto; l’ha resa importante all’estero, conosciutissima anche per avergli dato i natali; le ha regalato un istituto di cultura ancora luminoso. Non era questo che dovevano anche gli altri sperare e desiderare?