di Vincenzo Giarritiello
Da una settimana sociologi, psicologi, critici televisivi, menti sopraffine della cultura nazionale si spremono le meningi nel disperato tentativo di spiegarsi e spiegarci il perché del successo della fiction televisiva don Matteo giunta alla nona edizione, in onda il giovedì in prima serata su RAI UNO. Sia la scorsa settimana che ieri, don Matteo ha sfiorato il 30% di share con circa 8 milioni di spettatori a puntata. Numeri da capogiro per una serie televisiva priva di effetti speciali, di violenza sia visiva che verbale, di scene di sesso anche se solo soft, dal linguaggio semplice comprensibile a grandi e piccini assolutamente scevro da parolacce.
Come è possibile che un contesto così sobrio, tanto da apparire agli occhi dei più banale, inchiodi ogni settimana milioni di italiani per oltre due ora davanti al teleschermo?
Eppure, se davvero la televisione fosse lo specchio della società, come tante menti grigie da decenni vanno sostenendo propinandoci svariati saggi sul tema, il successo di don Matteo potrebbe attribuirsi alla voglia di serenità e di giustizia che alberga in una grossa fetta di società civile italiana la quale, stanca di assistere a programmi che ripropongono sia in termini di finzione che di approfondimento giornalistico la tragicità quotidiana di un paese allo sfascio, ritrova nelle semplici storie di don Matteo, dove la giustizia alla fine trionfa sempre, quella tanto agognata medicina per l’anima capace di allontanare per qualche attimo lo spettro della triste realtà in cui è immersa – dove non passa giorno che la politica, con comportamenti che definire opinabili è un dolce eufemismo, alimenta nei cittadini l’impressione d’essere una fucina di ladri e truffatori; dove ai pregiudicati è concesso di fare propaganda politica, tenendo in stallo il governo, anziché stare in carcere; dove la collusione tra politica e criminalità, unitamente all’omertà istituzionale, ha generato quel mortale mostro che è la Terra dei Fuochi…
Che poi una grossa fetta di pubblico della fiction sia rappresentata da ragazzi in età compresa tra i 16 e i 18 anni, è ulteriormente indicativo di quanto la semplicità e il senso di giustizia espressi da don Matteo fungono da antidoto ai problemi che affliggono la nazione, visto che in Italia non c’è praticamente speranza di futuro per i giovani.
Se fossi un politico, anziché sorridere scorrendo i dati Auditel, mi preoccuperei del successo di don Matteo essendo indice dell’assoluto disprezzo che molti italiani nutrono verso una classe dirigente che in vent’anni ha praticamente distrutto loro le speranze e i sogni, pensando ad arricchirsi e a tutelare se stessa e i propri orticelli; costringendoli a rifugiarsi nelle amene storie di un parroco detective per ritrovare, anche se solo per un paio di ore, un barlume di serenità senza perdere del tutto la speranza; confidando nella giustizia divina per veder affermati i propri diritti sanciti in calce dalla Costituzione, perché sperare che a farlo siano la politica e la giustizia degli uomini, almeno qui da noi, è da ingenui!