Da Pierre Levy a oggi: Democrazia e Big Data (1)

di C. Gily Reda

Auspicava Levy, in un sogno così ardito da parere un’utopia lontana, che la democrazia diretta avesse infine realtà di governo, il sogno del Cittadino. Ma la previsione fu una volta di più utopia, a guardare dall’oggi, il processo non è automatico.

Il valore dell’utopia, predica sempre wolf insiste, è l’essere sogno predittorio, di quelli del mattino che si considerano utili nella vita – l’equivalente nella scienza di un’ipotesi da indagare, una via per l‘esplorazione di problemi e la discussione pluralista. La chiacchiera che diventa caos, la verità tempesta di fake news, rende chiara l’illusione… anche Adam Smith pensò che l’economia, una volta liberata, avrebbe trovato da sé la sua misura! Ciò non significa che si debba smettere di tentare. Piuttosto, si deve smettere di attendere che le cose si risolvano da sole; gli Stati non sono sistemi omeostatici, ma scenari di lotte continue. Il campo di simulazione bellica che è diventata l’informazione quotidiana in periodo elettorale, deve insegnare a riflettere sul nuovo mondo, è un teatro da memorizzare per quando scemerà la tenzone, così da meditare la politica e i suoi valori e metodi, alla luce delle nuova tecnologie della comunicazione e della mediazione relazionale.

La politica passando da molare e molecolare, come auspicava Pierre Levy, poteva diventare un sistema di pacifica elaborazione del meglio. Chi lesse il libro negli anni ’90, vi intravide un formicaio umano, ognuno al suo posto per il benessere generale, il sogno di ogni pensatore totalitario; l’Italia l’aveva studiato a fondo costruendo il disegno del corporativismo, con un uomo di grande intelligenza, amico ed allievo di Giovanni Gentile, Ugo Spirito, direttore dalla fondazione dell’Enciclopedia Italiana.

Passare dal molare al molecolare, insegnava Pierre Levy, significa passare dal razzismo, che ragiona con gli uomini come fossero parte di un organismo-razza, o ideologia, o genere, al molecolare, che invece parla col singolo – il discorso allora non si rivolge alla folla ma all’individuo, che interpellato può rispondere. Oggi è evidente che il passaggio invece, mediato dal difetto sociologico di leggere i sondaggi come un’aritmetica; dall’informatica, che pensa l’utente come un numero: ha generato il problema dei Big Data, grazie alla ormai secolare esperienza che ha trasformato la retocia classica in targettizzazione del consenso. Le economie del 900 hanno bruciato il cervello nella pubblicità, una grande arma per costruire i nuovi capitalisti, che non sono simili se non nel tradurre ogni cosa in numeri di conto corrente. Un processo a tutti noto tristemente, per le infinite, inconcludenti, polemiche sul consumismo: ma che non ha fatto capire ai più che una-testa-un-voto, idea suicida della politica mediata, fatta passate per dimensione aurea della democrazia: non era altro che l’attuazione del motto imperiale: divide et impera. Il che dimostra se on altro l’importanza della tradizione nel giudicare i fatti contemporanei. Una volta scatenato il ‘popolo’ senza ‘partiti’ – frutto di una riflessione secolare dell’opinione pubblica, la massa di puntini è stata convolta nei Big Data, e stando alle notizie sempre smentite ma anche sempre risorgenti, ha distrutto la fiducia nelle potenzialità delle elezioni, fulcro di ogni democrazia contemporanea.

E dunque, non si danno più uomini politici ma condottieri che profittano di informazioni furtive per prendere il potere. Per realizzare, dicono a bassa voce e ora urlando, stati sicuramente antidemocratici, dominati dall’economia centralizzata dell’ultima novità scientifica: la coltivazione in vitro o le nuove razze animali… son già prodotti sulle nostre tavole, che suscitano scrupoli nei religiosi almeno quanto i macelli. La gente si concentra sul mangiare, piacere scevro di passiono, impara a tenere gli occhi bassi, mentre sopra di lui i valori sono discussi dai magnati, per il momento ancora ai posti di partenza. Le ingiustizie sociali prodotte dal corporativismo, che in teoria aveva una sua logica socialista, sono venuti alla luce dopo: legando gli individui ad un lavoro in cui non era concesso protestare, appena si rendeva necessario ridurre il costo del lavoro, quelle buone intenzioni degli inizia svanivano. Oggi la situazione dei giovani, costretti a salari di fame per la competizione internazionale ex legis, è spesso paragonabile a forme bonarie di schiavismo; persino il salario di Marx (legge bronzea dei salari) è più di quel che è lecito oggi al lavoratore, perché quella legge imponeva di dare ad ognuno il necessario per sostenersi e creare nuova forza lavoro; gli indici demografici odierni dimostrano che ciò non è concesso ai giovani di oggi; che in mancanza dei ‘proletari’ si importano immigrati, cui concedere piccole libertà e soddisfazioni, senza che diventino contestatori, soggetti di diritti,

Forse è un dire è un po’ distopico… ma come rispondere altrimenti al sogno di Pierre Levy?

L’utopia è il modo narrativo della filosofia, il mito, che la politica deve tradurre in pensiero. Perché Pierre Levy, non ancora spettatore del disastro del sogno, ricorda i punti forti che non bisogna dimenticare. Ma bisogna ricominciare a pensare. Lasciare il Don Chisciotte di Dalì, citato sopra, e seguire questo qui a sinistra di Picasso. Bisogna imparare a camminare sul sentiero del vivere. Attualizzare i valori: eguaglianza e libertà, i valori del 1789, hanno dato tutto quel che potevano. Oggi sono in entropia, tutti li citano ma come l’araba fenice, non si più cosa sono. Nella società dei Caini, vale a dire quella di sempre, affratellano senza concedere altro che la libertà e l’eguaglianza che ci si sa conquistare, anche a norma di legge, per via delle troppe fazioni, dei troppo poteri prepotenti che invadono la società: se non si trovano valori nuovi, che facciano venire alla gente la voglia di combattere per i propri diritti. Il problema oggi è la droga massmediatica, che funziona meglio della sopraffazione semplice di una volta. Ci si illude di scegliere il programma, ma il telecomando è un sonnifero pericoloso.

Mancano, insomma le bandiere, il mondo dei valori di oggi: la qualunque, come dice il comico, non basta a destare altro che pragmatismi che valgono un giorno e dissolvono conquiste personali e sociali. Tanto che persino nel mondo dei Big Data si è giunti alla consapevolezza che qualcosa non va. Zuckenberg e l’amico Chris Hughes, dei gruppo ideatore di Facebook, entrano in polemica; Hughes partecipò alla campagna di Obama, che è entrata nella storia come la prima campagna vinta da chi puntava sul virtuale.

Per Hughes, le buone intenzioni di Zuckenberg, la chiusura di qualche pagina, non bastano ad evitare i problemi, le intromissioni nelle campagne elettorali (fulcro delle democrazie) di Trump, della Brexit, dei 5Stelle… FB ha fornito a Cambridge Analytics le basi per le sue azioni elettorali antidemocratiche. Chiede quindi misure drastiche per ridurre lo strapotere di FB. A ciò risponde Nick Clegg, vice presidente del gruppo, ex politico britannico di rilievo, “che la responsabilità non va imposta chiedendo lo smembramento di un’azienda americana di successo, può essere raggiunta attraverso la scrupolosa introduzione di nuove regole per Internet”. Per Hughes invece la soluzione sarebbe dividere FB in molte società; annullare le acquisizioni di Whatsapp e Instagram e impedirne per il futuro. E soprattutto, tutelare la privacy con ogni mezzo. E infatti anche Google lancia una campagna di finanziamenti in tal senso.

Intanto, però, per capire come indirizzare i denari a soluzioni migliori, si dovrebbe capire meglio cosa vuol dire privacy. Nel mondo di oggi dominato in rete dal bullismo e dalle prepotenze di ogni tipo, ivi comprese violenze di genere e abusi… ma dove ognuno si fotografa da sé e mette in scena proprie intimità non solo sessuali, tipo l’ira scomposta, la maleducazione d’arte, lo squaternare la propria dignità per comparire in video… cosa vuol dire privacy? Nel tempo della comunicazione a tutto campo che si pretende lecita, e che nessuno davvero contesta: basta vedere in rete.

Senza una riflessione seria, si farà un nuovo buco nell’acqua. Confrontandosi col mondo antico, con film anni ’30 o ‘70, ci si ricorda cosa vuol dire dignità: persona, ruolo da assumere in quando uomini e via dicendo. Oggi tutto ciò pare consiste nel saper scegliere la suite anche per il tappeto rosso, se occorre, come si auspica. La superficialità del tempo porta a scambiare, come fanno anche grandi filosofi, la bellezza con l‘esibizione, riducendo l’umanità al saper stare davanti ad un obbiettivo di qualsiasi genere. Si guardi ai contenuti, che nemmeno i talk show approfondiscono.
Occorre cambiare sul serio la salsa perché il sogno non diventi un incubo, passando da una democrazia perfetta finalmente simile all’Atene di Socrate e Platone (coi suoi beni e mali, ma ben nota). L’incubo fu descritto ancora prima, negli anni ’30, nel Nuovo mondo selvaggio di Aldous Huxley, il primo, credo, libro sulle politiche future basato sulla libera adesione del popolo, opportunamente drogato, ad una società di massimo benessere, fondata su un popolo di schiavi – come l’antica Sparta, insomma. Era il tempo del totalitarismo e l’anno della vittoria di Hitler.

Occorre una vera Rivoluzione… che, come diceva il Rinascimento, è quella Celeste: avviene rispettando le leggi, non buttando tutte le conquiste all’aria. Il passaggio di era richiede una parola copernicana, che non sappia solo fare calcoli sempre più perfetti, ma casomai imparare a fare le domande: le statistiche servono, se si sanno orientare le formazioni necessarie: come dice Popper, per avere una scoperta scientifica, occorre un’ipotesi seria, prima di tutto, sapientemente immaginata. E chi sa fare la domanda giusta? Occorrono dunque scienziati della politica che esaminino i problemi delle motivazioni della vita politica, senza distrarsi nelle metodologie della ricerca o nella politica ut sic. Il pragmatismo non basta. Nella vita politica il potere e l’onestà non sono tutto.

In fondo già Levy prevedeva che i governi del 900 non sono adatti alla nuova era, che l’intoppo sarebbe venuto dai Big Data, cioè dal il flusso delle tante informazioni del mondo unito dalla rete. Si ordina con una mente creativa, non burocratica. Si deve sapere cosa contare.

GF Gily Da Pierre Levy a oggi – Democrazia e Big Data (1)