di Clementina Gily
Beauty Principle è il termine adottato dalla fisica per indicare la teoria che risponde nell’immagine sua, nell’unità, alla coerenza.1 Se l’arte stenta a predicare la bellezza, la scienza si appropria subito del vuoto e conferma la convergenza del vero e del bello – quella greca kalagokathia che univa ai due sommi valori della conoscenza quello del bene.
Baumgarten scrive la prima estetica moderna nel 1750, la verità sensibile in cui si manifesta il bello: conoscenza perfecta sebbene inferior. Una vivace discussione sul gusto già gli faceva scorgere nella bellezza un quasi-universale, come disse Kant nella Critica del Giudizio da definirsi riflettente e non determinante, ma pur sempre universale, fondato nel compiacimento – il piacere che soddisfa senza concetto e senza interesse.
L’armonia criterio del bello tra sapere ed affetto, perde invece nel 900, nel secolo delle avanguardie,2 il suo equilibrio e s’incammina con la perdita dell’ordine3 verso nuove costanti: per Ernesto Grassi l’originario, per Aldo Trione il ritorno alle cose, per Prieto l’identità, per Barilli il riconoscimento,4 definizioni che eccedono l’armonia;5 se Gadamer ricorda “che per i Greci il kosmòs, l’ordinamento del cielo, costituisce la vera e propria manifestazione visibile del bello”,6 Dorfles risponde che la modernità della scienza disegna Abendland, luogo di dissoluzione della terraferma, l’armonia in fuga che lascia emergere nuove terre.7
È questa la risposta degli scienziati della neuroestetica, come Veniero Scarselli in un suo recente scritto, Indagine molecolare sul bello (ed. Prometheus 2011), un biologo che parla della bellezza come una scrittura dell’ordine che lungi dall’essere scomparso, è nelle origini della vita come è nel DNA. La ricerca dell’ordine, la sfida dell’uomo così chiara nella sua storia di civilizzazione, si svela per il biologo come una ricerca che coinvolge molto di più, non solo gli animali ma persino le molecole, come in Maturana. Il contributo delle neuroscienze mostra sempre di più come la ricerca sul cervello dia conferme sorprendenti a tante lontane affermazioni filosofiche sull’immaginazione come capacità ordinatrice presente ovunque. Ovviamente l’ottica dello studioso del cervello si distanzia poi dal discorso filosofico, si cimenta con la misura delle risonanze magnetiche e tante altre che analizzano la localizzazione delle attività cerebrali e poco indagano la logica della conoscenza. Ma è un dialogo fruttuoso, aperto alle riflessioni dell’estetica, Scarselli parla del piacere puro del bello, e ne cerca la definizione in Monod, che esamina il disordine per collegarlo all’ordine che esclude il caso, che è certo parte della scoperta di nuovi modelli d’ordine ma che solo quando consegue un successo diventa poi necessità.
Discutere con i biologi e gli etologi fa tornare sulla scena la bellezza e lo sforzo di rendersene ragione nel mondo, nella sua totalità che crea unità nei confini della morale e della verità – che costantemente Scarselli chiama ordine – un termine che va specificato, per la grande diversità che può assumere se considerato come analogico o digitale. La neuroestetica, come le neuroscienze, sono ormai l’alter di una discussione fruttuosa, che vale la pena di continuare e stimolare a considerare i problemi dell’estetica in modo più completo.
Ad esempio l’estetica moderna ha reso essenziale il tema della ricezione con la Scuola di Costanza, descritta da Jauss in 4 concetti cardinali, mìmesis – imitazione, poiesis – creazione artistica, àisthesis – percezione, kàtharsis – purificazione – tutti intersecati nel continuum. La ricezione conferma che il piacere dell’arte non è una soggettiva soddisfazione ma un conoscere/agire, una conoscenza – libera da e per creare un destino immaginario e un mondo abitabile; essa accorda credito solo ad alcuni mondi suggeriti dall’arte. Il sapere poetico crea così la patria, rinnova la percezione distratta dall’abitudine, portando l’intuizione a ricrearsi fuori dell’oggettività, una katarsi che è esplorazione.8 Meditare il bello significa di necessità misurarsi di nuovo col problema del gusto che la ricettività coglie da un’ottica tanto diversa da quella della discussione settecentesca conclusa da Kant.
Perniola la sottolineato l’importanza di introdurre nel dialogo i media, che aggiungono all’estetizzazione della società quella della cultura; il loro superestetico non si orienta all’alto ma al basso, cammina verso il banale, si estende al sociale – se tramonta la civiltà dell’arte forse nasce la civiltà dell’estetica.9 Capita perciò di trovare nelle considerazioni di scienziati modelli che aiutano a capire meglio l’importanza della bellezza (e della cultura) nella vita.
L’immaginazione è il campo da indagare, in sé e nella ricezione, nell’arte, nell’estetica, nella scienza. La questione dei rapporti tra la scienza e l’arte fu esplicita al MIT nel 1972 e generò una discussione che ricordava il Poincaré dell’inconscio matematico che Papert considera una macchina combinatoria, parlava di cognizione estetica come una sorta di forma significante (Clive Bell – Roger Fry 1914).10 Basta leggere come si rimandino l’un l’altro il fisico Caglioti, il biologo Pierantoni (quello della a forma-sorpresa, “labirintica e stimolante nella sua dinamica instabilità”, fondo geologico delle immagini, dai graffiti all’action painting di Pollock) e il filosofo Agazzi su temi come conservazione, entropia, ordine e informazione.
D’altronde la creatività è tutt’altro che estranea alla scienza, esiste una “ ‘scienza’ dell’arte, l’apparato di regole e competenze del fare artistico;12 come esiste da tempo nella scienza l’interesse a costruire non solo il dialogo ma anche un consistente riconoscimento, una oggettiva esistenza della cultura – come quando Popper sottolineava la connessione mente e natura nei tre contesti di Mondo 1 (materia energia cosmica e cervello) Mondo 2 (spazio interno soggettivo) e Mondo 3 (spazio esterno della storia culturale umana) – come quando col Premio Nobel John Eccles scriveva ne L’io e il suo cervello di arte e immaginazione11 echeggiando l’affermazione di Keats ripresa da Dewey, la verità è bellezza e la bellezza è verità.
Insomma, “natura non rompe sua legge”, il detto di Leonardo, ricordato da De Micheli,12 insegna che cervello e pensiero si indagano nelle metafore del mondo.13 Il percorso disegnato dalla neuroestetica sarà ancora denso di molte suggestioni.