di C. Gily
Gli studi di sociologia e teoria della comunicazione erano già ben avanzati nel 1964, quando uscì il libro di Marshall McLuhan Understanding Media, tradotto nel 1967 in Italia da Il Saggiatore col titolo Gli strumenti del comunicare. Tante teorie già illustravano anche statisticamente l’efficacia e le peculiarità della comunicazione di massa, nome riconosciuto e quindi da usare, ma che giustamente il manuale di McQuail già nel 2001 proponeva di chiamare comunicazione popolare, per evitare che la letteratura seguiti ad ignorare la cultura dei media. Tranne il cinema, la produzione di massa non pare meritare l’attenzione colta – basta il nome per indicare come il suo solleticare l’utente la deprezzi, non la considerano le accademie tranne che nei corsi per professionisti.
Si ignora la teoria della comunicazione, una competenza essenziale per capire l’oggi.
Il libro di McLuhan segnò una rivoluzione perché andava ben oltre le analisi sociologiche e componeva una teoria lanciando alcune idee molto forti, comunicate con vivacità e cultura; citava Shakespeare, Toynbee ed Edgard Snow a poche righe di distanza, con semplicità non retorica. Da ciò la grande popolarità che fece scuola, seppe dire molto bene la sua esigenza di passare dal suo insegnamento di letteratura inglese allo studio delle culture, ai “Cultural Studies” del titolo della rivista cui s’è ispirata la nostra rubrica – i cui scritti erano però di sociologia. Lo studio delle culture, affermò McLuhan col suo libro, è letteratura e antropologia filosofica: il ‘gusto’ e il ‘senso comune’ oggi sono diversi dal passato, non sono più fiabe e mitologie – o meglio, sono fiabe e mitologie ma talmente mutate che hanno altri nomi, spesso coincidono coi titoli dei serial – come già nel 1957 Miti d’oggi di Roland Barthes identificava i miti d’oggi, gli dei, nei divi di Hollywood, Marylin/Venere – proprio come nell’immagine di Andy Warhol – unica e seriale insieme.
McLuhan è stato così l’iniziatore della teoria della comunicazione. Rifiutò di lasciare il campo alle singole analisi statistiche – che dicono tutto senza argomentare. Definì i binari che consentono al ragionare di uscire dall’occasionalità e giungere al rigore: dando alcune idee forti – l mezzo è il messaggio; media caldi e freddi , per esempio – su cui fermare i discorsi. Il disorientamento dell’era dei media si aggrava per la velocità della tecnologia e la lentezza della reazione culturale: per rinsaldare quest’ultima e velocizzarla, si fa bene a ricordare la teoria. E quindi per celebrare i cinquant’anni torniamo su queste due frasi, il massimo che si possa fare senza tediare, la prima nel 2014, la seconda nel 2015 – dunque, un’attenzione biennale, è il pregio delle fini d’anno.
Il mezzo è il messaggio sembra essere l’affermazione dell’immanenza del sapere nel suo strumento tecnico: il medium influenza talmente il messaggio da rendere impossibile comporre allo stesso modo un testo televisivo o cinematografico dello stesso contenuto – la messa in scena di un libro, ad esempio. In questo senso, il motto è stato posto alla base dell’istituzione dei corsi di laurea in Scienze della Comunicazione, in cui ai diversi media si dedicano esami di teoria e tecnica moltiplicando le specializzazioni del sapere dei media – con gravi conseguenze nella comprensione della lingua dei media, che è unitaria, lo afferma l’ibridismo dei media detto da McLuhan e la convergenza dei media di De Sola Pool e Jenkins.
Così, il celebre motto rischia d’essere base di un nuovo dualismo forma contenuto, e quindi di nuova trascendenza. Invece di dire che teoria e tecnica sono una cosa sola, l’intenzione di McLuhan, stacca il contenuto dal medium, che veste i panni dell’anima di antica memoria, e si conclude che la forma anima la materia contenuto – che vi diventa superfluo, come infatti è accaduto oramai, nel tempo in cui la verità la dicono i cuochi e i sarti.
C’è da aggiungere che l’estetica del 900 ha combattuto strenuamente per affermare l’organicità della lingua, forma e contenuto, rivalutando le tecniche contro l’ispirazione e il genio tanto cari ai Romantici! Ed ecco che il dualismo ricompare, addirittura ponendo protagonista del pensare e fare arte: la tecnica. Perciò, prima di ricordare il giustissimo pensiero di McLuhan, va detto questo pericoloso fraintendimento perché lo si eviti con tutto il cuore e coraggio: McLuhan voleva dire che medium e contenuto rischiano di farsi ombra a vicenda, non che il testo sia poco importante – non sospettò nemmeno che potesse avvenire il ribaltamento di cui siamo attoniti spettatori, in un dualismo primitivo ed animista.
Per fermare il riflettore dell’attenzione sul medium e comprenderne il valore comunicativo proprio, McLuhan introduce il suo discorso mostrando come ciò che trasmette un contenuto può restare inavvertito nella sua funzione, ma è il protagonista dell’operazione. La ferrovia non inventa la strada, il cui senso è il trasportarsi da un luogo all’altro: ma è essa che cambia perché costruisce una inedita estensione delle capacità e quindi l’estensione sensoriale conseguente: lo strumento è dotato di tale velocità da rendere rapidi i contatti umani, da congiungere l’America da Est ad Ovest. Non cambia il contenuto dalla via romana alla ferrovia, cambia la vita dell’uomo, si sono estesi i suoi poteri naturali e le sue funzioni di vita. Ecco il medium che ha in sé il messaggio, esso rielabora contenuti e li trasfigura.
Altrettanto accade se si considera la luce elettrica:
“La luce elettrica non appare a prima vista un medium di comunicazione proprio perché non ha un ‘contenuto’ E questa è una prova senza pari di come la gente trascuri l’esame dei media. Soltanto quando viene usata per diffondere il nome di una marca, ci si accorge che la luce elettrica è un medium. Ci si accorge, cioè, non della luce ma del suo ‘contenuto’, in altre parole, di quello che è di fatto un altro medium. Il messaggio della luce elettrica è, come quello dell’energia elettrica nell’industria, totalmente radicale, permeante e decentrato. Luce ed energia infatti sono due cose diverse per gli usi che se ne fanno, ma nella società umana eliminano fattori di tempo, di spazio esattamente come la radio, il telegrafo, il telefono e la TV, creando una partecipazione in profondità”.
Passa inavvertito il medium, oscurato dal contenuto dotato di trama e di potenziale di discorso, ma è lo stesso oggetto che si vede di giorno, che si legge in un’altra lingua – permane, ma è profondamente modificato dal medium. Sapere, conoscere il medium è quindi importante quanto capire il contenuto (si badi, quanto) perché avendo caratteristiche meno evidenti può risultare implicito e non esser capito. Un esempio illustre è dato dall’intuizione di Tocqueville, che vide i media ‘stampa e tipografia’ alla base del cambiamento della società feudale in quella liberale – in Francia e in ogni luogo dove non fosse solida come in Inghilterra la common law la diffusione dei giornali e l’alfabetizzazione cambiarono la struttura della società con quella che Tocqueville chiamò grammatica del medium stampa, che operò alla detribalizzazione.
Così, un film costruito su un libro, ha lo stesso contenuto ma grammatica diversa: il suo effetto è nel testo scritto e nelle inquadrature del cinema. Tutti i media vanno in velocità – ma non è la sola funzione: perciò il resto del volume studia i media uno per uno e ne discute la figurazione e il senso, cita effetti facilmente riscontrabili.
Per mostrare come sia per puro senso di responsabilità che da letterato si è avventurato in così difficile studio, McLuhan ricorda la frase di Pio XII del 17.02.50: “Non è esagerato affermare che il futuro della società moderna e la stabilità della sua vita interiore dipendono in gran parte dal mantenimento di un equilibrio tra la forza delle tecniche di comunicazione e le capacità di reazione dell’individuo”.
Capire i media, capirne le virtù proprie, non vuol dire certo per un professore d’inglese così simile al John Keating dell’Attimo Fuggente dimenticare i contenuti, come oggi fanno i media commerciali, potenti industrie del consenso: significa invece capire che la radio non è la tv che non è il cinema né la rete… ovvio sì ma non è ovvio altrettanto che la lettura è diversa e non si può lasciare agli autodidatti. Conclude McLuhan:
“Se il potere formativo dei media è nei media stesso, ciò solleva una quantità di problemi importanti che qui si possono solo menzionare ma che meriterebbero interi volumi. E precisamente che i media sono materie prime o risorse naturali, esattamente come il carbone, il cotone o il petrolio”.
E come risorse naturali vanno pertanto studiati – sono passati cinquant’anni dal 1964 e la media education non entra nella scuola.
W EDITORIALE Gily Cinquant’anni dalla rivoluzione di Marshall McLuhan