di Clementina Gily, Editoriale
Muore Gabriel Garcia Marquez, una morte annunciata. Come tutte, ma quando si veleggia per i 90 la sorpresa è relativa. Ma come per i più cari, aspettarsela non è viverla. Tutti abbiamo detto “Oh!”.
Una meraviglia triste, ma grata: un posticino a Macondo ce l’abbiamo tutti, l’avventura che si fa con Marquez dimostra come il camminare dell’io nell’io sia tondo, un silenzio pieno di inserzioni impreviste, che parlano più del presente.
Siamo ormai tanto abituati alla televisione che il silenzio pare fugato, ma non lo è; riuscirà il what’sapp a distruggere il silenzio? Chi vive il mondo interiore più del comune sa che il mondo non ti comprime mai sul serio, la televisione non buca l’intimo, induce il sonno dell’io, a volta lo droga; ma tutti sanno che quella musica di fondo lenisce davvero per poco preoccupazioni ed affanni. Chi coltiva il giardino magico e segreto vi raccoglie cose indicibili, non tutti meritano che si parli, il vegetale vive con noi come il cane, e risponde forte. Mentre il vicino urla per non sentire. Quel silenzio così si fa ricco, e tanti ne parlano in continuazione, quanti poeti s’incontrano nella vita, quanti pittori, quanti scrittori; oggi i blog non assicurano nemmeno il rapido perire della carte. Questo vuol dire che i media non uccidono Macondo.
Marquez è stato quello che meglio ha animato il giardino fantastico che è in noi, dove sono i generali e gli asceti, che in momenti inopportuni suggeriscono le magie e le ironie della memoria; un cammino che si avvita su di sé e si colma del profumo delle radici. Chi ha conquistato il segreto della scrittura lo sa imprimere nei punti e nelle lettere, è l’arte.
Di quando in quando si torna a quei cent’anni di solitudine. Non è vero che li abbiamo ora che Gabriel è morto, c‘erano prima di leggerlo. Lui non ha solo detto che esiste un giardino segreto per l’ortolano che ne ha cura; ha dato il manuale per viverci dentro con gioia. Ha dimostrato che quando si esce, poi, si è svegli, tanto svegli che si sa anche vivere nel mondo.
Ha scritto il ritmo stesso dell’estetica, il sapere lieto.