Categoria: Recensioni

La filosofia italiana, oggetto di discussione attuale (3)

di Clementina Gily

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J. Connelly, Collingwood, Gentile and Italian neo Idealism in Britain

A. G. Pesce, The Integral Philosophical Experience of actualism

Saggi di B. Haddock (17-43), A.G. Pesce (45-72), J. Wakefield (73-103), A. Vincent (105-136), D. Coli (137-166), R. Peters (167-203), J. Connelly (205-234).

I curatori Haddock e Wakefield nell’Introduzione si chiedevano (vedi la 1° puntata) come mai le opere più vigorose di Gentile – il Sistema di logica soprattutto – risultino così difficili a rilasciare l’unica parola capace di restituirne il senso, nel caso dell’attualismo così fresco ancor oggi nel forte costruttivismo tipico dell’idealismo italiano che matura la forza dell’azione, il tema di Fichte, Marx, Blondel, Bergson. La difficoltà è nel linguaggio, dicono: ma per l’italiano Gentile è scrittore affascinante. Gentile scrittore sa trascinare col fascino di idee e di parole uniche che tornano in mente con la forza dei simboli. È il concetto che è difficile, porre l’Eterno in Divenire – come per primo fece Giordano Bruno: è un ossimoro, prima che essere l’eresia somma, al tempo. Ancora oggi non si sa bene come “sistemare” il problema con le teorie della quotidianità, della debolezza e del postmoderno. La risposta di Gentile, il sistema, era il modo tradizionale, ed è questo che coraggiosamente affronta Gentile, nel bene e nel male: che è anche la risposta giusta dell’uomo al caos – la via della coerenza risponde alla sfida propria dell’uomo, diceva Arnold Toynbee. La risposta ‘bella’ compiace per la coerenza, dunque per la sistematicità che sa conseguire, aveva ammaestrato il sistematico Kant: a patto che si segua la via del pensiero riflettente, del giudizio di gusto o di finalità, che tiene conto del particolare. Non la via hegeliana che seguì Spaventa e intraprende Gentile. È piuttosto disegnare il quadro e interrogarsi sulla sua condivisione, Weltanshauung, disse l’Ottocento, Retorica ed Estetica, disse il Novecento: ma il senso di tutto ciò è lo stesso che Gentile chiamò Atto Puro, una sola parola per il Tutto.

L’argomentazione, perciò è solida e ben argomentata, ma non sostenibile: occorreva un punto di vista nuovo, il che gli autori impegnatisi nel superare l’oblio di Gentile sorvolano, presi dalla giusta classicità dell’autore. Sostanzialmente le critiche sono giuste, come dimostra la loro entità, ma difenderle non è quel che serve. Se sono storia contemporanea, vanno discusse, perché nel farsi totalità il pensiero pensante diventa eterno e sostituisce interrelazione, movimento, pensare, immagine, agire – e tutto diventa una morale, dove il relativismo e solipsismo del logo concreto non trovano l’argine di un astratto che sappia contrastare il suo irrompere. Così, impedisce il dialogo. Ma c’è il guadagno grande di una nuova idea: il problema e la fede filosofica, come aveva capito Bruno, come capì Ugo Spirito. Un grande pregio, sprecato nella fede fascista, di cui Croce capì il senso parlando di religione della libertà. Ma il ribaltamento del classico sistema non funzionò: ciò perché una filosofia del divenire come una critica politica richiede punti di vista nuovi, problematiche nuove, se non si vuole finire, come si fece, nella religione della storia. La risposta sta, per chi scrive, nell’intendere a fondo il protagonismo interminabile di una polemica di fondo, quella sulla storia, la prima polemica Croce Gentile, su res gestae e historia rerum gestarum, che non vanno identificate né in un senso né nell’altro, ma riproposte nella dialettica non triadica ma dualistica che fu di Platone e che è di Maurice Merleau Ponty: dando tutto il peso che meritano al dialogo ed alla percezione. Ma di ciò non si può trattare in una recensione.

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In coerenza con la linea di sviluppo teorico, così da rendere il senso del volume, conviene partire dal Sommario di Pedagogia del ’12, che creò la vera scuola gentiliana – non quella delle cattedre – che polemizzò con il Sistema di Logica, la più poderosa opera di Gentile, invertendo l’indice e partendo dal saggio di Andrew Vincent Gentile. Education and Mind (pp. 105-136). Vincent dimostra come, quando si entri nel circolo autoreferenziale di Gentile, si resti affascinati. Ugo Spirito ne era ipnotizzato, nonostante la sua assoluta originalità; esce dal circolo tante volte quante volte ci rientra. E comunque quando si esce dal circolo se ne mantiene l’impronta perché è la coerenza chiusa di un ciclo di pensiero. Perciò Vincent argomenta rifacendosi a Berkeley e Kant, come fece anche H.S. Harris, e ad Hegel, ma soprattutto a Fichte: quell’unità da lui pensata subito dopo Kant è quell’Ego che molto diversamente agì anche su Schopenhauer e Nietzsche, e si potrebbe aggiungere Freud, ingigantendo la potenza dell’uomo del Rinascimento, giunto così ad un esito tanto grande da mancare di equilibrio, nonostante tante successive opposte convergenze. Il pensiero pensante di Gentile è esperienza e storia insieme, vita cui il pensiero pensato dà coerenza interna evitando di tentare di essere sostanza come in Fichte, di cui corregge il solipsismo ed il demone dell’Anstoss, l’urto incomprensibile col Non Io, grazie alla teoria vichiana, alla memoria autoponentesi nella storia. Quella sua correzione al Vico del verum et factum convertuntur con il suo verum et fieri convertuntur insiste sul presente, la trasforma in una visione che Vincent chiama presentism. Il “thought thought supposed tought thinking” (p. 117) e quindi “we are morally responsible for what we believe” (p.118): partire dal concreto dell’esperienza con le sue polarizzazioni è entrare nella situazione del costruttivismo.

Quando Scaravelli nel ’46 scrisse La Critica del capire indicò che solo traslitterando l’intera polemica idealistica di Croce e Gentile s’intende il “capire” e si recupera l’unità fondante della polemica dei filosofi amici, come loro furono detti all’inizio: è la coerenza che incanta l’esposizione attenta di Vincent, perché proprio nella pedagogia regna l’unione nella volontà di sapere con cui volle improntare la riforma della scuola del 1923, senza successo, nonostante il grande pregio di aver introdotto per primo l’estetica nei programmi ordinari dell’istituzione scolastica con l’insegnamento della storia dell’arte, chiamando prova generale di estetica (una visione unitaria) il tema di maturità, e la religione nelle prime classi, prima della filosofia – nonostante il sicuro laicismo, nonostante l’insoluta questione del Papato in Italia, che solo nel 1929 si concluse coi Patti Lateranensi: nel 34 l’opera di Gentile era tra i libri condannati dall’ “Indice” del Vaticano.

La pedagogia di Gentile fu di certo l’opera sua più compiuta, nella teoria e nella pratica. Dopo la rapida uscita dall’esperienza di ministro, l’opera continuò con l’Enciclopedia Italiana e la politica della cultura delle sue case editrici e giornali filosofici. Il predominio umanistico di quest’opera è celebre e molto criticato per la minore attenzione rivolta alle scienze, che però voleva rendere capaci di educare, così, soprattutto la curiosità edificando l’educazione nazionale auspicata da Mazzini. La figura del maestro si tratteggia come l’esperto dell’uomo, che perciò sa scegliere da sé e definire l’educazione nella sua concretezza, come scrisse Lombardo Radice, il pedagogista a lui più vicino, nelle sue Lezioni di didattica, prive di metodologia ma entusiaste delle scuole attive, sostenne la Scuola Serena della Boschetti Alberti come la Montessori – tanto che la didattica poi si fece scienza autonoma.

Gentile può essere definito artefice di un rinnovato socratismo, il libro è “cemetery of speech” che richiede luce grazie ad un “endless active process of thinking and rethinking” (pp. 123-125). Interpretazione attiva a scuola e nella vita, è quel che Gentile volle: nessuno dei suoi veri allievi è pedissequo, nessuno fu espulso dalla sua amicizia. Eppure, fu filosofo del totalitarismo che nella scuola creò i balilla e le loro parate alla Leni von Riefenstahl – l’aspetto che più colpisce all’estero

e dà da pensare, con i soldatini che imitano avanguardisti, sportivi e adunate di gerarchi virili.

Alle parole vibranti sull’unità che gli uomini sperimentano nel rapporto di formazione, le immagini della scuola fascista sono la dimostrazione del solipsismo – la critica più consueta che gli si rivolge. Non è tutta la verità su Gentile, ma ne è parte, perché la coerenza di “Io ed io” ha difficoltà tra il “Me e il me” e deve tendere alla coerenza; ma non è così nella società: dove invece il regime della mediazione è negato dalla gerarchia e dal totalitarismo. La logica non aiuta, né lo fa la morale, che condanna solo l’ipocrisia – il che può essere valido per il “Me-me” ma non lo è per l’ ”Io-io”, il Logo Concreto e il Logo Astratto: la società e la storia ben conoscono l’ipocrisia, che non è sempre un male, è la politica, sono le liturgie del potere.

Il problema di Gentile sta nella mancata argomentazione attuale (Linguistic Turn, allora sorgente) del linguaggio come costruzione del mondo dell’uomo, nel riprendere problemi tramontati. La fede forte di Gentile nel mondo del linguaggio doveva salvaguardare la necessità di dare voce all’opposizione in politica, ai contrari e contraddittori in filosofia; quel che “per noi” fa parte del logo astratto e non del logo concreto, vale solo per noi. Per chi perde pur avendo ragione, logo astratto e concreto sono altri da chi vince – la stessa venerazione per Mazzini doveva trattenerlo dalla storia dei soli vincitori. Questo dice il liberalismo, e Gentile si diceva liberale – ma parlava di quell’astratta libertà che già in Francia era finita nel Terrore e il ritorno all’Impero, un totalitarismo in cui la retorica diventa propaganda e non competenza responsabile del linguaggio della comunicazione.

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Seguitiamo con Bruce Haddock perché parla del Gentile storico, altra grande Opera di Gentile, dove meglio si vede il carattere costruttivista, seguendo l’esempio di Roger Holmes nel 1937, benché il termine sia adottato da Dewey e Watzslavick, estendibile prima di tutto a Giambattista Vico: il motto verum ipsum factum parla chiaro con la tipica velocità del latino.

Il costruttivismo oggi è corroborato dalla biologia, il premio Nobel Maturana descrive L’albero della conoscenza come un unico percorso di comunicazione che va dalla trofallassi delle formiche al pensare razionale; Varela afferma che dalla trasformazione, constatabile, il biologo capisce il processo storico dell’ameba che suppone una pellicola cellulare che è in realtà una membrana, capace di capire e modificarsi, costruirsi – persino l’evoluzione non è un “fatto” positivisticamente inteso. Al tempo del positivismo trionfante, Gentile si confronta con chi dimostra tanta meno sensibilità dello scire per causas di Bacone che Vico riecheggiò e che trova forma coerente nell’abdurre di Pierce e del pragmatismo: scoprire le ragioni, dalla constatazione di eventi, è considerare filosofia e filologia geminae ortae, gemelle nate ad un parto, disse Vico. E poi Spaventa e poi Gentile e Croce hanno, nel cosiddetto idealismo hegeliano, trasformato la filosofia in un moto del pensare che parte dalla situazione. Non quindi la selezione naturale è il punto su cui fermare l’attenzione, ma la traccia che ne interpretiamo per conoscere, l’artefatto. Visione che come in Kant invita ad immaginare in un giudizio riflettente che lasci predominare il problema (concluse Ugo Spirito nel Problematicismo, 1948). Uscire dall’ottica dell’eterno ed entrare in quella del divenire.

Ecco l’opera del pensiero pensante, il bel titolo del testo; Haddock mostra l’incomprensibilità della lettera di Gentile traducendo il pensiero pensato, come d’uso, thought thought. La si ritrova ovunque (“Io-io” e il mio “Me-me”) che denuncia il circolo vizioso che Gentile definisce il cammino dello spirito, un simbolo efficace quando lo s’intente: ma è un uruboro, il serpente che si morde la coda, un simbolo dell’infinito che non può essere il “capire” dell’uomo. Haddock perciò preferisce parlare di past thinking, ma ciò non cancella la difficoltà altro che linguisticamente; il logo concreto, la più bella parola di Gentile, non elimina la propria difficoltà di fondo, di fondare in sé non Dio, ma l’uomo. Pensare è un atto: Thinking is something we do, not something that simply happens to us; To know a thing is to create it (pp. 28-9). Era necessario conquistare un nuovo punto di vista.

Haddock riesce a rendere il senso complesso dell’Atto gentiliano, che è il divenire autocosciente del passato e viverne il presente con slancio verso le potenzialità future: è quel accade in ogni problema storicamente determinato del quotidiano. Nella vita e nel pensiero l’attività è processo di argomentazione razionale – la scienza si fa invece di premesse che delimitano il campo e non consentono l’unità del capire; le sue fasi creative sono del pari attuali e non paradigmatiche (Thomas S. Kuhn). La Ragione, Logo concreto è pensiero incarnato, qui-e-ora della fenomenologia hegeliana che è il pensare: già nel primo comparire non è un astratto ma una sintesi, una percezione interpretata: l’Io è il mondo dell’uomo, la sua propria traduzione autentica, il trascendentale kantiano porta dalla filosofia dell’essere a quella della storia. Il percorso è continuo, dalla tesi di laurea di Gentile, relatore Donato Jaja, su Rosmini e Gioberti, pubblicata nel 1898; e poi subito seguita da La filosofia di Marx nel 1899.

La filosofia dello spirito così cerca un punto di partenza diverso dall’antagonismo soggetto-oggetto, in polemica con l’imperversare del positivistico fatto, dovuto al carattere di massa di questa filosofia. Il nesso autocentrato da me a me, identità cosciente ed autocosciente, è fondamento della concretezza del Logo – mentre tutti i filosofi precedenti e contemporanei sono naturalisti, oggettivizzano i saperi dimenticando la vita vivente: questo “radical constructivistic insight” Gentile apprende da Spaventa (maestro di Jaja), che criticò Hegel sostituendo il Divenire all’Essere come prima categoria dalla Logica, che rivalutò il pensiero italiano del Rinascimento affermandone la sotterranea circolazione in Europa. Dava inizio così anche alla tanto criticata storia dei precursori, cui proprio Gentile restituì il suo vero senso, sviluppato poi dall’ermeneutica: posso parlare di un filosofo in quanto mi parla ed entra nel mio mondo e nel mio linguaggio.

Perciò Haddock si dedica alla lettura di Vico che nel De Antiquissima Italorum Sapientia argomentò l’importanza dell’immaginazione e del mondo mitico, ricorrendo al classico espediente retorico della verità degli Antichi: gli Italici avevano una sola parola per vero e certo, ragione e storia, o anche atto e fatto – verum ipsum factum. Se vuoi conoscere devi prima capire, perciò conosci quel che sai fare o ricostruire: la storia e la matematica, non la fisica e la chimica – l’opera di Dio non si capisce conoscendola ma seguendo costruzioni argomentate. Così aveva pensato Bacone nei Cogitata et visa e poi Hobbes: Bacone è tra i 4 auttori che Vico chiama maestri (con Platone, Tacito e Grozio). Quindi, le verità oggettive non le “conosciamo”, “Truth is conventional, Nature as God’s artifact, cannot be known”, sono “a web of artificial concepts” (p. 36). Così per Vico, anche più di Kant, il pensiero è “fused with invention or perception”, insegna retorica e conosce i misteri del linguaggio la cui superficie è quel fenomeno che è storia. Vico è oltre Hegel, secondo Gentile: “history is human artifact” (p. 38) che possiamo conoscere: ma comunque tutti i filosofi sono intrisi di platonismo, le idee sono altre dalla natura – cercando la coerenza nella storia la filosofia invece allaccia il nesso ed intende che il conoscere è creazione di sé, autopoiesi, imbastire soluzioni in moco cosciente, conquistandone l’autocoscienza solo dopo, quando invecchiano e richiedono un nuovo slancio, un nuovo Atto.

L’Atto è un “instantaneous or timeless act of thought, project of a past in our mind’s eye” (p. 41). È la storia ideale eterna, il dialogo trascendentale del presente e dell’eterno: è la societas in interiore homine dell’ultimo volume di Gentile, conclusione del pensare ipotetico come “hypothetical situations in one’s mind eye” che consente di “confront hard choices here and now” (p. 43): Haddock si spinge persino ad un difficile richiamo all’equilibrio riflessivo di Rawls. Certo in Vico emerge una prospettiva che intende le res gestae nell’historia rerum gestarum: le Degnità, poco considerate come metodo per le continue polemiche che si affollano sulle leggi della storia, raccolte nel senso dalle teorie narratologiche (Hayden White). Ipotesi storiche narrate e ragionate trasformano l’utopia in discorso sulle possibilità del mondo, alternativi giochi d’immaginazione preparano l’azione con ben affilati strumenti di analisi. Le Degnità definiscono, oltre la ricostruzione storica, un campo metastorico, vista la difficoltà avvertita da ogni studioso, alla fine del suo lavori avverte l’importanza della chiarezza conquistata. Questo fu l’esempio di Vico, dimenticato nell’epoca della vittoria dello story telling, nuovo nome della propaganda, che come tutte le imitazioni cerca il suo nome nella firma più nobile. La storia celebrata da Vico e praticata da Gentile e dalla sua scuola con una solerzia e forza troppo dimenticata, ha ragione Haddock, dimostra che l’insegnamento di essere buoni storici non fu il solo che Gentile e Croce trassero dalle parole di Vico, vista la loro convinzione della necessità di non trascurare la politica della storia presente.

GF RECENSIONI Gily La filosofia italiana, oggetto di discussione attuale (3)

La filosofia italiana, oggetto di discussione attuale (2)

di Clementina Gily

mo-phi

Connelly, Collingwood, Gentile and Italian neo Idealism in Britain

G. Pesce, The Integral Philosophical Experience of actualism

Saggi di B. Haddock (17-43), A.G. Pesce (45-72), J. Wakefield (73-103), A. Vincent (105-136), D. Coli (137-166), R. Peters (167-203), J. Connelly (205-234).

Nell’entrare nella discussione viva che il libro offre alla riflessione attuale, una novità che merita esposizione attenta e critica – nel senso vero del termine: il volume è fuori discussione suggestivo, attento e ben argomentato, come dimostra la lunghezza della recensione – è opportuno staccarsi dall’ordine dei saggi componendoli in una esposizione lineare, pensando a chi ha poca conoscenza del pensiero idealistico inglese e gentiliano, cui consigliamo oltre ai testi citati di Gentile e altri, anche a LIdealismo Britannico, (“I problemi della pedagogia”, XLI, 1995, nn.2-3 diretta da Hervé Cavallera).

Cominciamo quindi dal panorama delineato da James Connelly della ricezione dell’idealismo italiano in Inghilterra (Collingwood, Gentile and Italian Neo Idealism in Britain, pp. 205-234) : paese che aveva il suo idealismo hegeliano – ne parlò de Ruggiero nel disegno del suo Modern Philosophy del ‘12, tradotto negli anni ’20 da Collingwood e Hannay e recentemente riedito. Ma l’idealismo italiano si presentava diverso: centrato com’è nel concetto vitale del divenire, contrapposta da Bertrando Spaventa all’aristotelico Trendelenburgh: non dall’essere occorre partire ma dal divenire se si vuole come Hegel trattare una logica metafisica. Il giusto di partenza è perciò la Fenomenologia e non la Logica hegeliana. È il centro dell’attenzione speculativa di tutto l’idealismo italiano.

Infatti, la tesi degli autori del volume è di definire questo ideal-storicismo ‘costruttivismo’, termine non usato ma ovvio, quando s’intende il divenire come fondazione della mente, nella sua polarità di percezione e concetto. Oltre alla citata polemica di Spaventa diretto influsso generò il concetto di forma/contenuto di Francesco De Sanctis, che sposta il problema di Hegel nell’orizzonte del linguaggio. Tutti convergono nel partire dal concreto: il Logo in Gentile, la Storia in Croce. Insieme, Croce e Gentile iniziano la polemica col positivismo che aveva influenzato tutti, Spaventa, De Sanctis e Marx: e fondano la “Critica” nel 1903 per costruire la cultura nazionale sui due versanti filosofico e linguistico-letterario. Il fruttuoso dialogo tra i due filosofi diede tanto ad entrambi, l’Estetica crociana del 1902 aveva già detto la sua tesi opposta all’hegeliana, che nel 1906 si precisò in Ciò ch’è vivo e ciò ch’è morto della filosofia hegeliana. Si ricorderà che prima di Gentile il contatto con Hegel di Croce erano stati Labriola e Marx – non Spaventa, suo zio; fu Gentile ad avviarlo alle letture dirette, che culminarono nella traduzione crociana dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio di Hegel nel 1907.

A questo colloquio intenso occorre riferirsi per capire il resto, e per intendere ognuno di loro, quando i due veleggiarono nella polemica, prima filosofica e poi politica, che raggiunse toni tanto esasperati che vietarono ad entrambi i frutti della linea comune: perciò giova perciò considerare lo sviluppo tutto insieme, come ha fatto Rik Peters (WOLF, 2014, n.20), considerando anche chi non dimenticò mai il fulcro comune, de Ruggiero e Collingwood. Perciò, Peters lasceremo per ultimo, e iniziamo dall’ultimo, la migliore introduzione per il lettore italiano.

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James Connelly (Collingwood, Gentile and italian Neo-Idealism in Britain) è da sempre studioso di Collingwood perché fu leader di questa interpretazione originale dell’ideal-storicismo italiano, un costruttivismo ante litteram, che sviluppa il concetto centrale di Hegel in una metafisica della storia che pensa il divenire nei suoi concetti e nelle epoche della cultura, non nelle specie come Darwin. Molti in Europa ed oltre furono influenzati dall’ideal-storicismo italiano molti – Croce polemizzò con Dewey notando il suo grande e non citato influsso; il costruttivismo parla di situazione, che è un quadro della storia. Anche Collingwood non lo citava, argomentando che ogni filosofia si fa di molte letture angolate, che l’esperto riconosce da sé: l’inesperto invece si perde, ed è inutile complicare il testo con l’eccesso di filologia, meglio tracciare conclusioni originali. Riconosceva i tanti debiti di cui ognuno è grato alla storia tutta, ma la filosofia è unità.

Quanto ha convinto l’ideal-storicismo in Inghilterra? certo è forte ad Oxford, non a Cambridge, dove Russell e Wittgenstein meditavano altre linee di riflessione, cui Collingwood fu sensibile nel Nuovo Leviatano. La ricostruzione di Connelly è attenta pur nella sua necessaria brevità, e dà notizie utili a capire, dettaglia ad esempio l’incontro del ’30 di Croce, de Ruggiero e Collingwood nel convegno dell’Aristotelian Society sui temi del solipsismo e del misticismo; la Society con “The Hibbert Journal” è la fonte più ricca per descrivere il rapporto. La tesi si avvicina ad una delle prime e più rilevanti interpretazioni di Gentile in lingua inglese, Harris, per cui Collingwood è un gentiliano in pectore, che si allontanò da lui sempre più per via dell’adesione gentiliana al fascismo: ma restò fortissimo l’influsso, generato soprattutto dall’aspirazione di Collingwood a sottolineare soprattutto l’unità della mente, anche nel versante della scienza, che è sempre valutazione di ipotesi. Su quest’ultimo punto divergeva certo da Gentile e Croce, non da de Ruggiero: ma lo Spirito in Atto, l’identità di Gentile, è la parola chiave, più della Storia di Croce – due fuochi di una visione che ricava da quella sfaccettatura del centro una differenza sostanziale, come ben avvertirono i protagonisti: ma sono solo i fuochi dell’analisi a differire, non il senso, come concluse Scaravelli già nel 1946 con una forte argomentazione, poi ripresa da Antoni e Franchini. Ma ormai la stagione delle polemiche idealiste in Italia era chiusa: marxismo, fenomenologia e neotomismo accendevano nuove polemiche di scuole ed università.

Collingwood in realtà era già nel 1924 nella convinzione di Scaravelli. Non dava troppo peso alla polemica tra i due filosofi rispetto all’unità comune, il ‘sistema’ dello Speculum mentis non era fatto né di distinti né di sistema di categorie: era una sorta di autobiografia dello spirito in sviluppo attraverso 5 categorie, arte e religione (come in Hegel e Gentile) e poi la filosofia, tripartita però in una configurazione del tutto nuova, comprendendo scienza storia e filosofia – la vita del pensare circola, non si giunge alla cuspide finale del panlogismo che ingloba la diversità nella gerarchia di quel che rimane più un Essere, che un Divenire. Partiva così dall’organismo della mente sviluppandone una fenomenologia che non si faceva interrompere dalla storia, come in Hegel; la vita, principio comune di Hegel, Croce e Gentile, chiamata Spirito perché l’hegelismo vuole evitare confusioni con Bergson e Blondel. Ma è una vita palpitante che supera i vecchi problemi di soggetto e oggetto, di natura e spirito: il ‘realismo’ era stata la sua prima scelta, traducendo il Vico di Croce lo aveva connotato di storia, ma la progressiva esplicazione di categorie che fu di Hegel e poi di Spaventa e Gentile non lo convince. La vita vivente si può guardare in uno specchio (come disse Schelling parlando di Bruno) una stasi che dura il tempo di una definizione per poi divenire ancora, mai eterna – e la brevità del percorso è la sua circolarità sono assicurati solo dall’essere sempre sensibili al ‘realismo’ e non alla chiarezza finale della filosofia, uccello di Minerva che chiude le epoche: come si vede, non sono sottigliezze accademiche. È il voler capire la mente viva o pensarne la ‘vera’ determinazione nella sola filosofia, negando l’autonomia dell’arte.

Connelly sostiene la tesi di Harris argomentando quanto conti per Collingwood Giovanni Gentile. Cita una lettera di Collingwood a de Ruggiero, in cui narra la visita di Gentile in Inghilterra nel 27: Gentile lo interrogò su cosa pensasse del fascismo, lui rispose che in tre settimane passate in Italia (con de Ruggiero) non se ne era fatta un’idea (p. 212) – falsissimo, evidentemente, visto che di De Ruggiero aveva appena tradotto la Storia del liberalismo europeo. Se il rapporto era forte, i rapporti col Gentile filosofo semplicemente evitavano il contenzioso politico, non era qui la polemica, piuttosto sul ruolo della scienza. Questo separa Collingwood sia da Croce che da Gentile – ricordavo prima la loro polemica contro il positivismo anche per dare la misura dell’asprezza raggiunta nella difesa dell’umanesimo, che li aveva portati a varcare il limite, perché lo scientismo da allora impera con le mirabilie della scienza e tecnologia del 900.

Quando il divenire riassorbe in sé i momenti della vita che solo nella visione finale dell’autocoscienza culminano nella filosofia, la Verità trascende la Storia, l’umanesimo sottovaluta la scienza, i metodi, le tecniche, la comune umanità. Gentile tra l’altro ebbe successo nella politica scolastica, informò la scuola di panlogismo, ponendo le basi del tramonto dell’idealismo alla fine del totalitarismo politico –  che è a la traduzione politica del panlogismo.

Connelly in questo saggio su Gentile ovviamente argomenta la sua importanza sugli inglesi e su Collingwood. Ma ricordo che sinora invece ha sempre sostenuto l’importanza di de Ruggiero (che si situa sempre e con grave difficoltà tra Croce e Gentile, nel fulcro) per capire Collingwood, proprio per la convinzione che la filosofia comprenda la scienza – in più, Collingwood vuol fare spazio anche alla religione – ed è in questo tratto che si riconosce quella predilezione per l’unità, la coerenza, sottolineata qui da Connelly.

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Per Antonio Giovanni Pesce (The Integral Philosophical Experience of Actualism), la filosofia di Gentile merita oggi attenzione non-filologica, “the response is so strong that we can learn from it all over again today”. Il costruttivismo e l’esistenzialismo si sostanziano del concetto di esperienza integrale tipica dell’ideal-storicismo italiano dove tutto è connesso nel tutto, il soggetto si sostanzia di oggetto e viceversa – come riconobbero il costruttivista Dewey e l’esistenzialista Pareyson. La ricerca continua e vitale esplicita il Croce della Filosofia della pratica del 1908 “nessun sistema è definitivo, perché la Vita, essa, non è mai definitiva”. La Teoria della Storia e l’Atto puro sono risposte forti da cui il postmoderno ha ancora da imparare.

L’Atto Puro è la chiave d’oro di cui ognuno è in cerca, come diceva il giovane Gentile (“Almanacco del Cenobio” 1902). Gentile centra, come fece Parmenide (non a caso Emanuele Severino è allievo di Bontadini) il concetto fondante di un’epoca. Il divenire hegeliano ha influenzato tutte le filosofie a lui seguenti: Gentile va a scriverne il nome nella sua Opera che noi leggiamo come specchio del 900 dove moderno, arte, positivismo, marxismo, nichilismo, postmoderno, tecnologie… si condensano in una parola, l’Atto Puro, il protagonista eccelso della storia. Nato nel Rinascimento e nella Querelle des anciens e des modernes, ha ribaltato il mito dell’età dell’oro nel mito del progresso – l’eccesso che ha poi determinato il nichilismo ad abolire il sacro non era l’unica possibilità. La logica hegeliana del divenire vede gli opposti coincidere in un succedersi della storia, dei costumi ed istituzioni (vita morte, bello brutto); la non contraddizione Aristotele teorizzava in logica, non in metafisica, i contrari reali hanno identità di fondo – perciò non sono logici. Pur di non diventare panlogismo, quindi, la dialettica è un’altra possibilità: ma la tentazione è sempre forte, imbrigliare il caos con identità forti realizza il nesso – ed è la sfida dell’uomo, dice Toynbee.

Antonio Pesce sostiene che da Gentile possiamo imparare il nucleo fondante del pensiero contemporaneo; basta interpretare a dovere visioni sorpassate come la teoria della scienza del positivismo, oggi che la scienza del 900 l’ha distrutta, prima ancora dell’epistemologia. È un bagno di gioventù teorica per la filosofia d’oggi che rinnega spesso anche il suo nome, perché s’accorge d’essere caduta in letargo elaborando scolastiche attuali ma incapaci di dire parole nuove.

Gentile fece un passo importante – certo non lo si può riprendere, ma ripensarlo è proficuo, egli seppe fondare nel quadro hegeliano un sistema aperto. Il Sistema di Logica è un’opera superata da tante altre scritture di Gentile, che invece di seguire le mosse di Spaventa, tornavano al nucleo fulgido da lui suggerito. L’Atto nella Teoria generale, nella Riforma della dialettica hegeliana, nel Sommario di Pedagogia aveva creato la scuola vera di Gentile, ancora non potente cattedratico. Fu l’affermazione piena e rigorosa dell’unità fondante il sistema; anche se si crede nella specializzazione, anche se si pongono regole dell’interpretazione ed ermeneutica – ogni originalità e specie la teoretica la storia non s’intendono senza la calda corrente del pensiero pensante.

Pesce racconta l’attualismo oltre lo spesso citato Garin – che certo non amò l’idealismo, se scrisse le Cronache di Filosofia Italiana – sottolineando come lui l’esplosione, se così si può dire, dell’Atto nella storia del suo tempo. Era l’epoca dell’irruzione delle masse nella storia e nella cultura, anticipata da Hegel e Comte, che fu raccontata con straordinaria attualità in diverse letterature da Dostoevskij, Tolstoj, Proust, Musil, Mann, Svevo, Pirandello… Gentile la vede irrompere in filosofia col positivismo, che dilagò con la forza di una religione. Ad esso contrappone la sua visione colta e ben costruita, originale, storicamente legata all’idealismo ed alla storia nella sua visione della mente e della società: Genesi e struttura della società, l’opera postuma che gli allievi più cari pregiarono, si riallaccia al giovane studioso di Rosmini, Gioberti e Marx, nonché sodale di Croce contro il materialismo – conclude che l’elemento sociale è il primum stabile, come il mondo è il primum stabile nella fenomenologia. Non esisto nemmeno, io, se non come senziente e percipiente persone colori suoni parole cose – io mi definisco negli altri e nella società, che vive in me in interiore homine, senza essere plagiato, manifesto la mia originalità nel non ripeterla ut sic. Ma dov’è finito tutto ciò nel totalitarismo? Pesce trae da questo giusto riconoscimento di grandezza l’idea che il totalitarismo non sarebbe altro che la classica pezza peggiore del buco, la botte vecchia per il vino nuovo perché una filosofia dell’Atto non può essere totalitaria, la libertà è l’Atto stesso. Ma non è un inciampo, anche se è molto più che giusto smetterla di condannare Gentile perché filosofo e fascista. Ma il totalitarismo è derivazione del panlogismo, manca l’elemento di contrasto che la visione della storia potrebbe risolvere e non lo fa perché Gentile per ‘storia’ intende ‘storia della filosofia’.

Pesce del pari critica l’accusa di solipsismo all’Io trascendentale: perché comprende in sé tutta la storia e tutto il pensiero, come logo astratto; nel presente logo concreto c’è la nuova creazione, l’Atto, che però comprende tutto in sé. Ora, se è ovvio che la storiografia di Gentile non è immaginazione né è superficiale egotismo la sua opera teorica e pratica – ciò è sia per la grandezza di Giovanni Gentile, sia perché – accade ai grandi – dà per scontata la generalità di certezze storiche che non lo sono affatto (la conoscenza, la solidità della tradizione, la cultura classica, l’umanesimo rigoroso). Le sue parole potrebbero persino dirsi realizzate nella fantasia al potere teorizzata nel ’68, così improntato dalla rivoluzione e da Marx – ma l’immaginazione fonte della politica si è rivelata povera di eredi di qualche valore – ed è certamente l’esatto contrario di quel cui aspirava Gentile, una società ordinata nel merito (come Marx e Mussolini): realizzatrice dell’eguaglianza naturale. Ma appunto qui si dimostra il carattere utopico spacciato per storia. Uno storico non può ignorare la diseguaglianza naturale – genere, altezza, mente rendono un individuo cosmico storico (Hegel dice così di Napoleone) diverso dagli altri. L’eguaglianza naturale, che è diseguaglianza, realizza sempre la somma ingiustizia: gli atti di forza. Pensare all’eguaglianza naturale e concepire di seguito un Io Trascendentale cui non occorrano metodi ed educazione, cui basti la parola e il senso critico per orientarsi, mostra quanto il logo concreto sia in realtà astratto, usando stavolta la parola nel suo senso più comune.

Perciò, se bisogna tornare alla filosofia di Gentile nella sua parte positiva, al suo senso profondo, bisogna non salvarlo di solipsismo ma cambiare questo nodo; e così il panlogismo totalitarismo. Perché è vero che Gentile afferma con forza e rigore l’unità che si coglie nella fenomenologia dell’Atto che pone se stesso, compiendo Spaventa: ma poi cade indietro scegliendone la stessa soluzione già fallita, il sistema delle categorie. Disegnare lo sviluppo enciclopedico del progresso della mente dall’inizio alla fine, è annullare il futuro. Considerare l’autocoscienza presenta come il punto di arrivo del processo. Che per l’ego presente è la verità: non per l’Io trascendentale. Quindi, chi è che scrive questa storia? E questa storia è logo concreto o logo astratto? In pratica a ben vedere se non si pecca di naturalismo si ritorna all’adaequatio intellectus et rei, avendo però dato una diversa definizione dei termini: mentre il divenire è imprevisto e futuro.

Si resta nella descrittiva, il sistema non riflette l’ansia del vivere che si accompagna al divenire perché esso è mistero, non solo progetto. La conoscenza, il capire confuso tra Io e Altro, tra logica e mondo, nella percezione, Piaget descrive questa psicologia nell’in-fans, il bambino che ancora non parla e non distingue sé dalla mamma – crea il pensare simbolico in un continuo alternarsi di esclusioni che creano l’area analogica che circonda le conoscenze. Andare al sistema delle categorie definendo, è annullare tutto questo alone di mistero da cui viene la vita nuova. È la pretesa del panlogismo dire tutto in forma logica.

Quindi, occorre interpretare Gentile perché, ha ragione Pesce, le parole di Gentile esaltano oggi più di ieri: “Philosophy.. is the leaven, the very soul of life” (p. 46, tratto da Genesi e struttura della società, p. 46). Nel Logo Astratto e Concreto, nell’Atto, ricompare la rinascimentale Anima del Mondo, quella che oggi è l’interconnessione del mondo: “the world, the spider’s world, exist in its totality as long as this spider’s web exist” (p. 60, tratto dal Sistema). È una rete di conoscenze e di affetti, perché “to love someone is not to repel them from us but to enclose them within us” (p. 66 frammento del 18), “We live with others and they with us… but the Ego is perpetually imposing unity on disparate experience… faith in a reality that is both one and many at the same time… unification with and absorption into the eternal life is our duty” (p. 69, tratto dal Sistema di Logica). Parole bene scelte, ma Gentile ne dice molte, il suo Lifeworld è sempre lo stesso, nelle opere dei diversi tempi: “The Ego is spiritual reality. It identifies the self with itself, not as an identity that is posited in its immediacy but an identity that we posit” (p. 63 tratto dalla Teoria

Geerale dello Spirito come Atto Puro). Un esistenzialismo, disse Pareyson, la sua negazione, dissero Abbagnano e Carlini… perché nel flusso dell’Atto si può riconoscere e disconoscere ognuno, libero nel dare agli scogli che fermano il pensiero spiegazioni diverse, visto che si articolano in punti fermi che difatti anche Pesce chiama di volta in volta Claims, Tenents, Convinctions, Groundpoints – ciò perché non si sa bene, non si riesce ad avvertire, quali siano gli inderogabili momenti essenziali di un pensiero che si volle fluido, ma si definì al di là del dialogo – non solo con Croce, ma anche col suo fidato Ugo Spirito, con Bontadini, con tutti gli allievi che gli obbiettarono quel che anche qui si è rilevato: l’avere il Sistema di Logica tradito il Sommario di Pedagogia, che nell’empito dell’animo educatore aveva riassunto l’anima stessa di Gentile – a mio avviso più di Genesi. Critica che forse trova espressione compiuta in Il pensiero negazione dell’essere nella dialettica e nella vita, titolo del cap. IV del Sistema di Logica (pensiero, non pensare). Questo pensiero che si concretizza negando, ne prende spunto (l’adaequatio che si diceva) senza ammettere altre fonti: la teologia negativa caratterizza l’Atto gentiliano, la negazione diventa la fonte per continuare la polemica con l’irrazionale da distruggere, perché la filosofia con la sua meraviglia, meglio si direbbe con la sua ironia, ha intravisto un’altra coerenza. Se l’irrazionale è sconfitto – il logo astratto – la nuova coerenza è vuota: l’irrazionale è il futuro, quel che non è logico ma che accadrà. È la storia, in cui il caso è forte come la logica.

GF RECENSIONI Gily La filosofia italiana, oggetto di discussione attuale (2)