Categoria: Recensioni

La filosofia italiana, oggetto di discussione attuale (5)

di Clementina Gily

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J. Connelly, Collingwood, Gentile and Italian neo Idealism in Britain

A. G. Pesce, The Integral Philosophical Experience of actualism

Saggi di B. Haddock (17-43), A. G. Pesce (45-72), J. Wakefield (73-103), A. Vincent (105-136), D. Coli (137-166), R. Peters (167-203), J. Connelly (205-234).

 

Rik Peters (The Actuality of Gentile’s Philosophy of History pp. 167- 204) tratto per ultimo perché ha esposto una visione panoramica dl questa linea di pensiero del 900, rivelandone la piena attualità a chi ne era già convinto, pur senza andare ad una vera e propria ripresa teoretica del tema (parlo per me, ovviamente). Ha saputo costruito una visione sistematica della linea di sviluppo di questo ‘idealismo’ – che si disse però da sé in tanti modi diversi – nel suo volume intitolato History as Thougt and Action, Croce, Gentile, de Ruggiero e Collingwood, dove ha avuto l’onere e l’onore di trattare delle opere maggiori e minori, a mio avviso, con equilibrio, capacità, acume. Un lavoro per altro nuovo nell’impianto e nei risultati, che Wolf recensì già alla sua uscita nel 2014 (nn. 19-20).

Con filologica sistematicità ed intelligenza, Peters ha chiarito le interrelazioni nel loro sviluppo storico e teorico, andando al nocciolo della visione attuale e costruttivista, erede di Vico e della sua metafisica della storia. Ciò Peters riesce a fare perché è uno studioso serio, ma anche perché non è italiano, e quindi salta le polemiche infinite tra tanti – non solo due – giganti della filosofia, che in Italia hanno impedito di tracciare un quadro così efficace. Per me, ad esempio, sono altrettanto importanti per capire il 900 italiano la linea Scaravelli, Antoni, Franchini, oppure Spirito, Bontadini, Severino, o anche Banfi, Cantoni, Paci… altri aggiungerebbero altri ancora, come i neoscolastici. Ma semplificare saggiamente il percorso è un esercizio di concinnitas, è la miglior guida, disse Leon Battista Alberti, per saper costruire architetture. Peters non ha fatto quattro storie, come ce ne sono tante; ha scritto una monografia tetradica. Così facendo, ha saputo cogliere l’essenziale e studiarlo negli scritti di autori che sono stati prolifici per ben un cinquantennio, senza trascurare piccoli scritti: una mole e capacità di lavoro ammirevoli.

Concludo perciò questa lunga recensione in 5 puntate con Peters, perché evidentemente inquadra il volto di Gentile nella giusta posizione nella galleria. Che consiste nell’affermazione unitaria del principio della fondazione teorica – nell’81 anch’io pensai a Parmenide. Ma la via unitaria invece destò infinite polemiche che annebbiarono lo sguardo proprio ai protagonisti maggiori del quadro, Croce e Gentile: che oggi nel testo di Peters gareggiano con i due minori, proprio perché loro non cedettero mai alla polemica, sempre credettero di parlare in nome del vero Gentile e del vero Croce, come dicevano. Così, hanno seguito la via maestra dell’unità distinzione, dell’idealismo costruttivo, della metafisica della storia come intesa da Vico e da Spaventa, autori che ciascuno dei 4 riprendeva a proprio modo: che per noi è chiara, invece, proprio perché si fa dei 4, è tetradica. È questa una via davvero interessante, su cui è bene riflettere, come Peters consiglia anche ai narrativisti: perché il narrativismo con Hayden White ha sviluppato la strada della filosofia che sa misurare l’importanza estetica della retorica nella teoria della conoscenza adeguata al terzo millennio: ma già gli eredi di White imboccano strade confinanti col nichilismo, e quando li ascolta il mondo della comunicazione si supera del tutto il confine dell’estetismo, con rischio di cadere nello story telling che si fa propaganda e negazionismo storico – non è un caso che l’ultimo romanzo di Umberto Eco, Il Cimitero di Praga, fosse una narrazione del negazionismo storico – la storia dei falsari, siano essi vincitori o vinti – la storia di chi non ha fede nella verità storica, dopo la “morte di Dio”. Il consiglio di Peters, giustissimo, è di tornare alla storia, agli storicismi, con esempi gloriosi come questi, intellettuali non traditori, perché la cultura conservi le tesi robuste ed interessanti, non liquide, non postmoderne, come le religioni dimostrano ancora esistenti e robuste. Il laicismo è una fede che troppi hanno tradito: ma non chi considera la vera storia, la storia non solo filologica ma animata dal problema – fuori e dentro le religioni, dov’è insomma la verità. Gentile, tra i quattro autori considerati, è certo quello che fonda il senso ‘ontologico’ della verità in senso vichiano, condensata nella parola chiave Atto Puro.

Il pensiero fonda nell’autoctisi, l’autofondazione. L’io-Io, l’Io empirico e l’Io Trascendentale che non esce da sé né suppone la natura – perché non è più l’Io di Fichte, vuoto sinché non scontra il non-Io. L’Io è già pieno di sé e di natura; non c’è ‘io’ irrelato. Io è la storia viva delle mie relazioni, il mio presente, non un’astratta identità: è la mia presenza che si oppone al passato ch’è diventato problema e lo trascende risolvendolo. La polemica che la tesi di Gentile aveva di mira non è conclusa, è la specializzazione dei saperi quando si fa crisi dell’unità spirituale, e mina l’azione.

Le competenze distruggono i paradigmi della cultura, ognuno diventa maestro del pensare comprendendo un centimetro, di cui solo è responsabile. La valutazione diventa è un trattato di retorica aritmetica che perde il significato della scelta. Gentile oppone a questa deriva, oggi matura, il nucleo dell’identità filosofica: basta questo per capire quanto sia attuale.

Gentile parla di logo concreto, sistematicità filosofica che è identità relazionale, io-tu-altri-situazione, parlando di una unità che le scienze umane affrontano in modo disorganico, analitico; qui prevale lo sguardo rivolto al bello, all’estetica come scienza rigorosa. È la forza di Gentile: la sua debolezza è il Sistema di Logica, quando per determinare l’unità sceglie la via hegeliana – come prima di lui Spaventa. La serie di triadi non può che culminare nel panlogismo, nel vuoto.

Ma per Peters Gentile è da riprendere per l’Atto di vita ricca e autonoma, un attimo fuggente che evita di limitarsi alla poesia, è costruzione forzata di coerenza storica, equilibrio di una visione sistematica. Una filosofia ‘concreta’ (vale a dire gentilianamente senza presupposti) cerca così di dominare l’indomabile divenire: è il problema di Gentile, Hegel, Spaventa e Marx, risolto nella storia – ma in una storia letta a modo proprio. Conviene parlare ancora con Gentile, ma non dimenticare il suo errore, tipico del pensiero moderno, di voler negare il sonno mistero del divenire, che se ha per sé il futuro ha per forza bisogna di una nuova azione ignota.

Hegel lasciò la fenomenologia per la logica; Spaventa reindirizzò la partenza dall’essere al divenire e poi scrisse il cammino triadico come poi Gentile; fu perché la scoperta di Kant di un altro conoscere veniva corretta con l’aristotelismo, come esplicitò Trendelenburg. La soluzione di Giordano Bruno e di Maurice Merleau Ponty fu diversa, ed è quella di lasciare la dialettica triadica per tornare alla diadica di Platone, al pensare estetico che fu la scoperta di Vico e Kant. È quella che restituisce all’azione in figura e parole l’importanza di capovolgere il presente nel futuro. innovando l’abitudine in uno stile vincente.

*

Sistematicamente, Peters parte dall’inizio, vale a dire, non paia un paradosso, dalla causa finale – Bruno insegnò che le 4 cause aristoteliche tato studiate dalla scolastica sono in realtà una, che s’identificano nel principio, vale a dire che ogni volta occorre vedere sia cosa genera sia cosa si genera, causa efficiente e finale, che si sviluppano attraverso la formale e la materiale – è una sola cosa, è unità (De la Causa, Principio et Uno, secondo dialogo teoretico). Conoscere si può partendo dalla causa efficiente, il che vale per molte percezioni di cui ci si vuole rendere ragione, ma si può anche partendo dalla causa finale, metodo giusto per altre percezioni.

Allora, ciò che caratterizza la ricerca di Gentile è all’inizio la storia della filosofia – la tesi su Rosmini e Gioberti, poi il libro su Marx. Così interviene, pensiero-azione, nella questione filosofica politica e religiosa aperta in Italia con la conquista di Roma: donde il suo interesse per il Modernismo. Il Risorgimento, il socialismo che animava la vita parlamentare e sociale, Gentile unisce al problema post kantiano e post hegeliano: l’idea nazionale s’è rivestita con Spaventa dell’Anima Rinascimentale e di Giordano Bruno, ed è questa è la base del suo ‘superamento’ nel senso della circolazione del pensiero europeo di Spaventa. Cambiare il mondo si può, salvando la cultura, Gentile pensa ad una religione aperta e filosofica, fondata sulla fede nella presenza.

Molto bello ma anche molto astratto – non a caso le religioni non si limitano alla teologia. La storia poi insegna al parroco il tocco della comunità, il suo peso – l’astuzia della Ragione e la Provedenza sono difficili da vedere dal punto di vista degli io empirici; l’Io trascendentale così semplicemente li ignora e l’identità quotidiana dell’io-Io consente di mancare il richiamo che insegna la misura.

Gentile e Croce, impegnati nella lotta al vincente positivismo, nel distinguersi dagli storicisti tedeschi e dai filosofi dei valori, cadono negli idola fori, avrebbe detto Bacone. Per Gentile la lotta combatte il ‘fatto’ e combatte a spada tratta il ‘naturalismo’; l’identificazione con l’Io trascendentale diventa il solito gioco della trascendenza nella sua nuova veste immanente.

Rik Peters articola questa lettura qui detta in poco spazio, mostrandola nell’evolversi del suo positivo costruttivismo che diventa Sistema di Logica, conquistando concetti fondamentali come autoctisi e autosintesi, perdendo contatto però con la storia nel solipsismo dell’Io Trascendentale che nega l’altrui e l’imprevisto. Il mistero e il rischio sono l’opposto del soggetto che si auto trascende nella sintesi: la confusione è facile, porta al futuro solo la componente razionale.

Ma giova comunque il confronto: leggere Il concetto della storia della filosofia porta a vedere la diversità delle conoscenze nel rapporto coscienza autocoscienza (p.176), il che aiuta a comprendere come educare l’immanentismo alla creatività, agendo su questa trasformazione mutando i concetti di vero, arte, religione, azione (p.200) – oltre il mondo greco dell’essere è il tempo del mondo in divenire, un “full-blown constructivism”, commenta Peters.

Non è un’intuizione, è la conclusione di un pensare originale, ben strutturato nella conoscenza del passato recente: nell’inverno 1911 Gentile iniziò un vero e proprio programma di lavoro nelle conferenze poi divenute La teoria generale dello spirito come atto puro che argomentano l’autoctisi, termine che Harris definì “creazione dal nulla”: come quella che oggi Maturana e Varela, biologi, chiamano autopoiesis studiando le amebe – è il fine che crea l’evoluzione. La logica degli organismi, fisici e culturali, è nella loro capacità di autoorganizzazione. L’identità di storia e filosofia di Gentile non è intuizione, va alla dimostrazione, diversamente dalle filosofie della vita (Bergson e Blondel): a ciò mira il Sistema di logica – per l’obbiettivo resti fuori bersaglio, specie nel

secondo volume del Sistema, del ’22, il primo del 17 aveva chiuso la fase del primo attualismo iniziati col Sommario di Pedagogia del 12, con la sua interessante identità di filosofia ed educazione (p. 183). La guida della mente non è psicologica, se s’intende la scienza, è l’etica del sapere, circolare: Peters ricorda la convergenza con la fusione degli orizzonti di Gadamer (p. 191) – un solo Atto. La filosofia della mente è unità, Gentile lo esemplifica con un assassinio (p. 185) – argomento di moda, sono i tempi del positivismo giuridico, la rivoluzione socratica del giudizio penale. Perciò poi Peters ricorderà polemicamente a Gentile quanto sia in contraddizione con questa responsabilità globale ed unitario il suo agire politico in favore del totalitarismo, che così si rivela una caratteristica effettiva del suo pensare. Se “we are responsible for thinking the truth” (p. 192)… “may happen, even to the greatest champion of the freedom of thougth; is proven by the moment at which Gentile began to identify the etica del sapere with Fascist action” (p.202).

L’attenzione al sogno, alla sua divergenza dalla realtà, si vale del lungo discorso di Gentile su Ariosto in L’esperienza pura e la realtà storica 1915 (pp. 187-90). Esperire l’estetica del passato è anch’essa una teoria della presenza che fa del ‘that’ il ‘what’ – i due termini di Spaventa che per de Ruggiero e Collingwood diventano una fenomenologia e un problematicismo, in Gentile sono l’identità di res gestae ed historia rerum gestarum (p. 194) – ed è qui in realtà il punto dolente.

Parlare di Gentile, un classico, merita di parlarne non nelle Fondazioni loro dedicate, dove il gioco ha percorsi segnati: sono filosofi non poeti, danno argomentazioni, non si memorizzano, si discutono. Nemmeno gli storici della filsoofia possono dimenticare il problema storico.

Obiettare a Gentile che il suo Sistema esce dalle difficoltà del divenire costruendo un uruboro, un serpente che si morde la coda, un eterno ritorno dell’eguale, è negare il futuro dell’uomo, che è nell’azione a rischio, non nell’Atto Puro. Invece il presente io dell’atto è una concreta realtà circolare che è “a circle which always returns to its strating point” (p. 195).

Partire dalla causa finale consente invece di giungere al principio, che cambia nel tempo, che mira al why, non solo al because: ed ecco il moto dell’autosintesi che non passa per la necessaria ripetizione di momenti di un Sistema di Logica senza rischio: che però lascia in eredità l’importante pretesa di un “systematic whole” che disegni il metodo di lavoro della filosofia. Bsterebbe, suggerisco, che l’autosintesi divenisse fotosintesi, com’è in realtà degli organismi viventi, per cambiare tutto, introducendoci davvero in un cosmo dove Io e il Mondo – la mia presenza – sono in realtà separati solo da uno stretto confine. L’irruzione del sublime e del mistero che riflette la luce nel buio, e crea il silenzio e la parola, in un pellegrinaggio. Non può giovare a questo la luce abbagliante di uno specchio ustorio, quello riflettente di Archimede, che sa bruciare le navi come la vita stessa del filosofo.

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La filosofia italiana, oggetto di discussione attuale (4)

di Clementina Gily

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J. Connelly, Collingwood, Gentile and Italian neo Idealism in Britain

A. G. Pesce, The Integral Philosophical Experience of actualism

Saggi di B. Haddock (17-43), A. G. Pesce (45-72), J. Wakefield (73-103), A. Vincent (105-136), D. Coli (137-166), R. Peters (167-203), J. Connelly (205-2

James Wakefields (Giovanni Gentile as Moral Philosopher, pp. 73-104) affronta il tema della morale in Giovanni Gentile, connettendosi alla visione di teoria politica, dove risulta chiara l’azione del Gentile morale, chiamandolo nei passi della contraddizione Giovanni, per chiarire la differenza che ne deriva quando si passi dalla tesi all’azione. In questo campo infatti si avverte direttamente il problema che deriva dall’identità pensiero e azione. Qui infatti le alternative sono com-possibili, mostrano i pregi e difetti dell’identità tra Io ed io, il problema già indicato come coerente in teoria ma non sostenibile.

L’esempio classico è scelto quando Giovanni si trova di fronte al delitto Matteotti, che esplicita la violenza caratteristica del regime totalitario nei confronti dell’opposizione, e occorre scegliere tenendo presenti le conseguenze relative alla scelta, senza poter fare appello alla ‘Provedenza’, come diceva Vico, al logo concreto che tutti accomuna nell’Io trascendentale. Allora Giovanni ha solo se stesso e la sua volontà cui fare appello, l’agire deve accettare le conseguenze negative dell’opera senza poter fare appello a quella Ragione che Wakefield chiama al femminile, Lei  – cioè all’Io trascendentale. La Ragione, l’Anima del Mondo, la Filosofia: una terminologia come si vede suggestiva e piena di significato in teoria, e anche molto chiara – che rende più facile orientarsi nelle difficoltà linguistiche di Gentile, con i suoi termini di pensiero pensato e pensiero pensante, “io ed Io” crea, identificando elementi diversi solo talvolta uniti nella vita.

La tesi di Wakefield è che manchi in Gentile una trattazione della morale di coerenza paragonabile alle altre parti del sistema. Ciò si deve al fatto segnalato dall’autore, che la teoria di Gentile, centrata nell’Atto, è una teoria-pratica, come disse bene e con successo il Sommario di Pedagogia più ancora che nella Teoria generale dello spirito come atto puro: e furono infatti queste opere, rispettivamente del 14 e del 13 a segnare il travolgente effetto di Gentile sui suoi più attenti allievi e lettori. Molto prima quindi del fascismo Gentile aveva costruito il sistema, concludendolo nel ’22 col secondo volume del Sistema di Logica, agli albori del fascismo: Croce, prima di lui ministro dell’Istruzione, aveva scritto la riforma della scuola poi fu promulgata quando fu ministro Gentile nel primo governo fascista, una riforma che dava tanta importanza all’estetica.

La teoria morale quindi, pur mancando di un trattato specifico, si evince dalle tante parti del discorso filosofico in cui si tratta del tema: l’uomo non è un atomo, ma, dice La Teoria: “ we must estabilish, as the supreme aspiration of our being, a harmony, a unity, with everyone else and with all that is other…we have to recognize the unreality of our being, conceived as an ego opposed to the other people and things that surround us and throught which our lives are actualized” (p.83). Siamo tutti uniti in un’Anima comune, unità armonica che tutti ci comprende ed ognuno è, non un ego contrapposto agli altri. Questa visione universale dell’umanità sostiene le scelte di ognuno e si attua nell’argomentazione: “Language is not thought’s clothing, it is its very body” (il linguaggio non è la veste del pensiero ma il suo vero corpo), dice il Sommario, dove l’unica difesa dal soggettivismo è la presenza negli argomenti di claims, affermazioni degne di fede nel particolare esempio presente – come poi sostenne Ugo Spirito riprendendo l’onnicentrismo di Giordano Bruno. La la coerenza si fonda sulla fede, non necessariamente religiosa nel senso dell’appartenenza ad una chiesa. In questo modo, “We make ourselves universal” dice ne Il problema morale perché “She is free so far as she is autonomous, submitting to laws and norms that she imposes upon herself” (p.88), le fede morale fonda nell’autonomia della ragione nel rispettare leggi autoimposte. L’unico peccato è perciò l’ipocrisia (p.91), realizzando il socratismo dell’autocoscienza nella versione recente dell’autonomia della ragion pratica di Kant – che crea un “inter-subjective ‘space of reason’ ”. Il vantaggio rispetto a Kant è il superamento del come se della Critica del Giudizio e del noumeno, posti per impedire il relativismo ed il soggettivismo che Gentile ritiene di ‘superare’ con l’Atto Puro. Nel ripensare a queste affermazioni dopo il successo negli anni ’60 del Linguistic Turn e del contemporaneo Iconic Turn, che pongono il mondo nell’uomo nel linguaggio e nelle immagini, nelle espressioni cioè che l’uomo sa argomentare con coerenza, la valutazione del discorso di Gentile si avvalora, si presenta come un primo manchevole passo verso queste svolte che oggi sono la base di nuove filosofie.

Gentile quindi aveva già nel ’22 conseguito il suo equilibrio teoretico, di cui non colse mai a pieno le aporie nonostante le critiche – di cui teneva conto Genesi e struttura che per tanti fu perciò (Wakefield lo contesta) la riesposizione matura della sintesi sistematica della politica-morale identiche. Una lettura iniziata col libro su Marx, scritto un anno dopo la pubblicazione della tesi di laurea su Rosmini e Gioberti. La società è quindi l’Atto non solo come Io trascendentale, ma anche intersoggetivo. Ciò perché l’io si forma nella societas in interiore homine, io e Lei (la Ragione) sono un sol pensare, contesto, storia, passato, in cui si parla insieme di io e di tutti che insieme sono la costituzione del pensiero di ognuno.

Ma Gentile si dà a comporre Genesi, una volta caduto il regime italiano ma non la Repubblica di Salò, in continuità col Gentile che scrisse la voce ‘fascismo’ nell’Enciclopedia Treccani’ diretta da Ugo Spirito, il suo allievo teorico del corporativismo: il mondo della cultura, ivi comprese la teoria economica del regime sono frutto della loro politica attiva, anche se la collaborazione al governo di Gentile si fermò poco dopo la riforma della scuola. Una politica culturale che andrebbe rimeditata, come dice giustamente Wakefield, epurandola del difetto totalitario ma cogliendone l’efficacia e i pregi. Poteva forse anche citare l’apprezzamento della gerarchia di Collingwood nella prefazione allo Speculum mentis, un apprezzamento pienamente liberale, visto che è lì è la premessa di dare ordine sociale al merito, sempre tendente ad esorbitare in prepotenza, e l’ordine è certo il fine di tutti i buoni governi – oggi si parla di ruoli nello stesso senso, di vincente spirito di team. Ma la diversità di un singolo punto in comune non può ignorare la diversità, invece di identità di teoria e pratica, Collingwood nel Nuovo Leviatano forniva un’enciclopedia delle distinzioni indispensabili per muoversi senza pretendere alla supremazia degli ideali astratti dal pubblico bene – che necessita di regimi di polizia. Ed è perciò dottrina del potere assoluto.

Se quel che è vero in teoria può non esserlo in pratica non doveva ignorare Gentile, che sottovalutando l’importanza di tecnica e intelletto nella mente, s’illuse che come la Ragione si potesse non badare ai mezzi: ignorando così sia gli idola fori di Bacone che la boria della ragione di Vico – che erano nella sua piena competenza culturale. Gentile nella bella affermazione dell’Ego, del soggetto pensante universale, cadde in quel che sarà la malattia del Novecento, l’assenza di punti di riferimento stabili, i valori che sono sempre da ripensare nei nuovi tempi, e cioè la morale, che priva di punti di riferimento stabili. Non basta Lei, il vero se stesso che a tutti s’unisce, l’Io trascendentale, a dare indicazioni di futuro, sostenuto dalla forza di una fede priva di contenuti, problema che è anche dell’etica della speranza di Ernst Bloch. Né basta l’onnicentrismo che Spirito riprende da Bruno, che pure insegna ad aver fede in una ottica. Quindi, c’è una morale in Gentile, Wakefield ha ragione, ed è la morale del tempo nuovo, del postmoderno liquido: che non guida l’azione quando resta solo il dubbio. La morale di Gentile educa l’uomo al suo tempo e lo lascia immediatamente libero di ascoltare Lei; diverso sarà Croce a dargli come maestra la storia.

Certo, dice bene Wakefield, che non si può costringere l’attualismo ad una precettistica, che tra l’altro non pare dare grandi prove nel pragmatismo e nella filosofia analitica. Ma per dire che l’uomo morale sa da sé cosa fare, non occorre parlare di etica. Wakefield sottolinea l’importanza del tema del linguaggio in Gentile: ma appunto occorre comunicare in modo adeguato. L’Io Trascendentale parla a pochi con equilibrio, agli studiosi dediti alla verità, il cui compito è anche scrivere la morale del tempo, nel linguaggio, per insegnare a cogliere e discutere le alternative.

Wakefield stesso mostra l’efficacia di un simile metodo quando, come accennavo, parla di Giovanni di fronte al delitto Matteotti; anche se dimentica la storia del dopoguerra e suppone che solo nel ‘24 Gentile conoscesse la violenza fascista.[1] La questione della violenza bene pose invece nello stesso anno Croce, distinguendo da essa la forza necessaria allo Stato. Gentile la considerò un eccesso inevitabile in tempi di rivoluzione – ricordando bene Marx, cui Popper rimproverò proprio l’equivoco sulla violenza in politica. Di fronte alla violenza esplicita, al delitto arrogantemente rivendicato da Mussolini in Parlamento, Giovanni dovette risolvere il dubbio considerando i pro e i contro: accettare la situazione – voleva dire avere il suo ruolo nella trasformazione e poter operare, rifiutarsi – come Croce, significava perdere anni importanti. Giovanni scelse la prima alternativa e Gentile non scrisse la sua morale: ma certo realizzò un’impresa culturale, con ipocrisia, per lui è l’unico peccato dell’uomo attuale. Se si sostiene che si è in toto responsabili del proprio pensiero- azione, Giovanni sconfisse Gentile.

Ciò va detto, pur accettando che la morale di Gentile, portando a compimento la kantiana autonomia della ragione, è la teoria della morale contemporanea detta in parole coerenti. Non una precettistica ma un’argomentazione problematica teorica e pratica, storica, che giorno per giorno medita i valori in situazione. I valori consentono di inquadrare l’essenziale cui dare risposta, di capire il ‘che fare’ da attuare. Meditare questi problemi e discuterli tra ‘lui’ e ‘Lei’, cercando la soluzione personale o politica più adatta.

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Daniela Coli (Gentile and Modernity, pp. 137-166) considera la modernità di Gentile ambientandolo tra i discorsi europei  di Husserl, Heidegger, Arendt, Strauss, tutti tendenti a tornare con vie diverse ad una visione della filosofia come sapere rigoroso e scienza in progresso. Gentile ne differisce perché sviluppa da Hegel un processo che ne avvalora la fede nell’universale: perché il mondo diversamente articolato della storia e del progresso ha un comune credo, l’unità del mondo che la filosofia coglie facendone un sapere come scienza della logica, capace di dire dialetticamente la ragione del divenire. Gentile tutto ciò condensa nella sottolineatura di una soggettività integrale, capace di godere della specializzazione delle scienze mentre conserva la propria ottica filosofica. Senza porre la soggettività come essere e sostanza, conserva il divenire, ne argomenta il costante sviluppo senza cadere nel vortice maelström della fondazione: l’atto, il logo concreto creatore del logo astratto, è autopoietico.

Con La riforma della dialettica hegeliana l’hegeliano Gentile ripropone il problema base di Cartesio ed Hobbes alla luce dell’ottica nuova di Bertrando Spaventa, di cui pubblica contestualmente il Frammento inedito. Cartesio ricorre alla fondazione con la fede con la risposta ultima al dubbio metodico, Hobbes fonda invece nella ricerca e nell’ipotesi – ed entrambi non riescono, l’uno perché congiunge la filosofia alla religione, l’altra perché non sa superare la distinzione del soggetto e dell’oggetto nell’ipotesi. Il pensiero pensante di Gentile, che s’avvicina vichianamente più a Hobbes che a Cartesio, supera entrambe le difficoltà: non si confonde con la religione né lascia l’unità senza parola – la molteplicità delle scienze, l’esperienza e la storia hanno per il Logo Concreto solo efficacia dimostrativa, didattica. Come disse Galileo, la conoscenza umana è limitata, ma quando sa mantenersi nel giusto limite raggiunge conclusioni – e sono esse i punti fermi che diventano mattoni per costruzioni poderose, le concezioni che nelle scienze e nella storia sono il logo astratto. Non sono il Logo concreto, la Verità storica, ma sono ciò con cui occorre confrontarsi per attualizzare le conquiste e sviluppare nuovo pensiero.

Il soggetto così non si colloca in una realtà esterna al pensare. Si riprendono le categorie di Hegel per la loro funzione didascalica di argomentazione del processo: arte religione e filosofia sono i campi in cui la coscienza del pensiero pensato è colta bene, introspettivamente ma con la capacità di ricostruirla, capace di vivere di nuovo il presente. Perciò Del Noce in polemica con Ugo Spirito definì Giovanni Gentile teologo del nichilismo: una simile concezione che vede l’autopoiesi del Logo Concreto in pratica argomenta quella morte di Dio che era stata poco più che un grande grido poetico, sebbene di tanta efficacia. Ma a Nietzsche e ad Heidegger il filosofo Gentile oppone la societas in interiore homine, vale a dire il mondo dei valori rinnovati nella storia.

Ciò lo ricongiunse al Marx della prima giovinezza. Nel 1904 Gentile diceva di sé che non poteva dirsi neohegeliano ma piuttosto cultore di Hegel, in quanto la sua teoria della storia non ha il carattere escatologico poi evidenziato da Marx: la sua è una nuova logica, storicamente determinata, che si appella all’esperienza e s’intrinseca alla vita del pensare. È quindi non una logica formale bensì trascendentale – e qui sta è la grande differenza da tutti i pensatori precedenti. Perché è una logica che non ha a che vedere con gli attori opposti, natura e pensiero, ma nemmeno si limita, come Croce, a porre questioni di metodo. Gentile tende molto fortemente a rivendicare le unità della storia, dice Garin, perché “speculative history must be an elaboration of the empirical history. Of course, real history is speculative, which is the empirical elaborated” (p.158), parole tratte da una lettera scritta a Benedetto Croce: con ciò la storia ‘speculativa’ si lega all’ ‘empirica’ senza soluzione di continuità – astraendo dalla fatica del pensiero nello studio necessario a realizzare questa identità. Come spesso accade, Gentile non considera la possibilità di fraintendere che quel che è troppo ovvio per lui e per i contemporanei, uomini nati nell’800 dove ancora la ‘cultura’ aveva un significato inconfondibile con l’immediatezza della vita sociale, come poi la sociologia affermò. La cultura per definizione per lui non era confondibile con l’immediato, come oggi twitter impone.

Per Gentile la filosofia è la scienza per eccellenza, l’unica scienza che tutto comprende in sé. Essenzialmente libera perché si pone per autoctisi, sviluppa l’essere e l’autocoscienza nel metodo dell’immanenza che non fu mistico (l’accusa di Croce). Piuttosto continua il processo che da Cartesio a Kant ed Hegel, passando per Hobbes, ha costruito un mondo fondato nel linguaggio, nelle affermazioni di cui occorre discutere e contestare, perché questo è il mondo dell’uomo di cui è possibile avere scienza e coscienza, per costruire il mondo nuovo, andando anche contro il progresso, che se è storico non ha la certezza dell’illuminismo ma piuttosto l’umiltà di Vico: va difeso perché la barbarie è sempre in agguato.

Perciò Gentile fu grande storico, che pur tendendo a cercare precursori che andassero nel senso delle sue convinzioni, era capace di costruire in una grande storia filologicamente meditata ed approfondita, la forza del pensiero italiano, come suo contributo politico alla storia d’Italia, come fu di quelli che si ritennero gli ultimi uomini del Risorgimento. Seppe tracciarne le figure esemplari che soprattutto oggi non sono certo apprezzate come dovrebbero, tranne che nelle fondazioni, gli attuali conventi medievali di saggezze irrelate.

GF RECENSIONI Gily La filosofia italiana, oggetto di discussione attuale (4)

[1] Preceduta dal biennio rosso, che aveva già dato spazio alla prosecuzione della guerra nello stato di pace, la violenza fascista era cosa giornaliera e spaventosa – come la fase precedente. Oggi che i morti del terrorismo in Europa hanno prostrato lo spirito europeo, si può capire che ‘gli anni del consenso’ italiano furono generato dalle piccole stragi, numerosissime, di estremisti, come oggi i terroristi. Tutto ciò non poteva ignorare Gentile, bastava leggesse gli articoli durissimi di de Ruggiero, liberale militante, su importanti giornali nazionali.