di Alessandra D’Ambrosio
V Indossa le vesti di quella che per Nietzsche è la filosofia: “nuocere alla stupidità”.
Lo stesso Deleuze afferma che avere un’idea non è mai dell’ordine della comunicazione, poiché essa si limita a far circolare informazioni: l’idea è tale perché riesce a schiudere un nuovo campo di possibilità.
V è dunque un’idea.
Abbiamo dunque visto in che modo i due protagonisti dell’opera di Moore si incontrano, avvicinati per ragioni diverse dal regime: una come vittima, l’altro come salvatore. Da questo momento in poi le loro strade correranno sempre parallele, a volte intrecciandosi saldamente in un gioco di simbiosi, altre volte allontanandosi ma continuando a guardarsi da lontano. V si presenta subito per quel che è a dispetto della maschera che indossa: un terrorista, un sabotatore che distrugge quei simboli distorti dal potere vigente.
V è la filosofia a colpi di martello, l’immagine del pensiero che illustra ad Evey il Fuori. Il nostro eroe conduce poi la giovane ragazza, bendata, presso il Teatrino delle Ombre, la sua dimora, un luogo in cui sono custoditi arti e saperi: la conoscenza, ciò che più fa tremare il potere coercitivo. Inizia dunque il lento trapasso di Evey, una morte lenta e dolorosa ma per niente tragica: sotto i colpi del pensiero perisce la mente assonnata e sopita per lasciar spazio alla Vita.
Ecco quindi la Nuova Eva. Così, infine, si può iniziare dunque a pensare altrimenti attraverso «forze che agitano l’essere intrinsecamente»[1]. Tali forze risiedono in ciò che Deleuze, e in Cusano prima di lui, chiama Possest: in Cusano il nome di Dio. Per Deleuze l’essere è composizione concettuale che nasce dall’incontro tra l’infinito del verbo Potere (posse) e la terza persona singolare presente del verbo Essere (est). Dunque l’essere è possest, ogni cosa è potenza, ed ogni potenza è sempre in atto: esso «identifica potenza e atto, ossia è in sé sintesi di possibilità e realtà»[2].
La risignificazione del concetto di Dio è una interessante via per capire. É dunque il possest quella forza intrinseca che scuote l’essere di Deleuze, tanto da poter affermare spinozianamente che l’essenza stessa dell’essere è potenza («La potenza di Dio (o il suo potere) è la stessa sua essenza»[3]).
Per sciogliere le catene che mantengono Evey ben salda al suo torpore, V la prende per mano e la conduce lungo gli eventi che la renderanno poi libera. Ella si trova ora rinchiusa in una prigione, sottoposta ad indicibili torture e solo alla fine si renderà conto che si tratta di una messa in scena: i carcerieri sono dei fantocci e le loro minacciose parole delle registrazioni su nastro.
[1] Ivi, p.18
[2] Ibidem
[3] Baruch Spinoza, Etica, Parte I Proposizione 34, p. 23, in http://www.webethics.net/testi/Spinoza_Etica.pdf
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