Categoria: Arte

Pompei: Mito e Natura

di Anna Irene Cesarano
Pittura di Giardino, intonaco dipinto età giulio-claudia, affresco altezza cm 200, larghezza cm 275, 30 – 35 d.C.  Da Pompei, Casa del Bracciale d’Oro
Pittura di Giardino, intonaco dipinto età giulio-claudia, affresco altezza cm 200, larghezza cm 275, 30 – 35 d.C. Da Pompei, Casa del Bracciale d’Oro

Mito e natura. Dalla Grecia a Pompei, questo il titolo di una mostra meravigliosa che da Milano al Palazzo Reale (si è tenuta a Milano fino a gennaio 2016) è arrivata nella splendida cornice degli scavi di Pompei e al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il titolo sembra già rievocare l’intensa magia di un’epoca passata quando la natura e le sue grandiose manifestazioni nelle sue molteplici apparizioni erano “arte”, espressione più profonda dei moti dell’anima, macchina motrice di rappresentazioni sociali, produzione di immaginario collettivo. Il mito, la natura venerata come una dea, nei suoi vari aspetti in stretto rapporto comunicativo con l’uomo, la fa da padrona in questa mostra che ci racconta di quando arredare giardini era considerato frutto del più fine dei talenti. Vasi, affreschi, decorazioni domestiche, oggetti di uso comune, terrecotte, statue, oggetti lussuosi come monili e argenterie tutto ma proprio tutto intende narrarci di quel sottile filo che lega l’uomo e il suo ambiente circostante, dall’antichità fino ai nostri giorni. Il paesaggio nel mondo classico viene raffigurato in una moltitudine di immagini e rappresentazioni come vedute marine, fiori, foreste, animali, personaggi mitologici, indagando soprattutto il suo intrecciarsi con le vicissitudini umane e il forte rapporto che si che si è evoluto nei secoli. Natura, dal greco physis dalla radice phyo, che sta a significare “genero cresco”, dunque un qualcosa che raccoglie tutte le cose che vivono, nascono, crescono e muoiono. Nel mono greco la natura è intesa come un mezzo di comunicazione tra l’uomo e le divinità, giacché è fortemente radicata la concezione che la realtà non era fine a sé stessa ma portatrice di un rapporto più profondo e intenso, segno della presenza divina che tutto muove e dirige dall’alto. Attraverso essa l’uomo può dialogare con il suo Dio, ad esempio quando riceve in dono l’abbondanza dei raccolti per la sua fede adamantina o viceversa una punizione tramutata in carestie per un comportamento scorretto. La natura che agisce e reagisce per volere degli dèi sembra essere una costante nella letteratura greca, chi non ricorda la terribile pestilenza che si abbatté su Tebe e la sua popolazione in riferimento alla vicenda di Edipo e Giocasta, madre e figlio, che per uno scherzo del destino compiono un atto immorale sposandosi? Ancora Apollo, nell’Iliade, punisce gli Achei con una pestilenza, per il comportamento sfrontato di Agamennone che osa sfidare uno dei suoi sacerdoti. Ma al di là di questi episodi narratici dagli scrittori greci noi possiamo rinvenire da queste storie la natura soggiacente della concezione del loro modo di osservare la realtà sociale, del loro modo di riassumere e valorizzare gli aspetti sociali, religiosi, culturali, politici. Non è forse vero che la riflessione, il pensiero occidentale nasce insieme allo studio della natura? La filosofia non nasce da una riflessione sulla realtà circostante?

La natura, nella società greca, ha influenzato l’uso della ragione. I primi filosofi hanno guardato la realtà che li circondava e si sono posti delle domande cruciali circa l’origine dell’uomo e dell’universo, la vita e soprattutto circa il principio regolatore di tutte le cose (archè). Era proprio questo che facevano i naturalisti, ovvero i primi filosofi della storia, quando si lasciavano guidare dalla natura nella loro spiegazione della fenomenicità, nella conoscenza e scoperta della realtà. Talete, Anassimene, Anassimandro, Eraclito, anche se con profonde divergenze, partono tutti nello sviluppo della loro filosofia, da un elemento naturale che può essere l’acqua o l’aria, e approdano a forme di pensiero superiori che la semplice osservazione di un fenomeno potrebbe indurre. E’ la natura che instilla in loro il seme della conoscenza. Appare evidente allora il fatto che la filosofia e l’arte siano una testimonianza efficace del delicato ruolo che ha svolto la natura nella storia dell’uomo, nello sviluppo delle sue percezioni e delle sue facoltà superiori quali il pensiero, esercitando una diretta influenza su quel patrimonio culturale occidentale inesauribile.

E il mito nell’antichità, non svolge anch’esso una funzione fondamentale per l’essere umano?  Creare il mito significa anche creare una visione più o meno unificata dell’intero cosmo, dell’ordine che abbiamo dato al mondo, della vita sociale e individuale. Il mito obbedisce ad una funzione primigenia e piuttosto universale quella cioè di dare un senso alla propria vita costruendo una storia, un racconto e rintracciando quel senso in una storia cosmica e sociale più ampia, di cui fa parte. Il mito nasce dalla proiezione nel soprannaturale di ciò che esiste nella realtà come istituzioni, caratteristiche del paesaggio, relazioni tra gruppi, ecc. In senso sociologico stretto il mito è una rappresentazione collettiva che si applica ad ogni realtà soprannaturale o terrestre, esercita un’influenza sulle attività, credenze e nozioni di gruppo. Non è un racconto ma un prodotto del gruppo, il suo oggetto è una credenza collettiva. Il suo valore intrinseco sta nella sua forza di coesione, nel ravvivare la comunione del gruppo, nell’animare l’istinto sociale, la comunità partecipa delle stesse emozioni, della stessa fede.

Il mito non è quindi puro frutto della fantasia: l’uomo osserva la realtà e, usando le proprie facoltà mentali, ne fornisce una spiegazione. Si tratta naturalmente di un modo di procedere lontano dalla logica scientifica: ma l’obiettivo non è quello di scomporre la realtà e conoscerla negli elementi che la compongono, ma è la comprensione generale dell’universo – e una “comprensione non solo generale, ma anche totale”

Claude Lévi-Strauss, Mito e significato, 1977

GF ARTE cesarano Pompei Mito e Natura

Per tutti i riferimenti utili alla mostra e alle relative informazioni rimando al sito: www.mostramitonatura.it/it/press.html

Street Art – Bansky e Co – 18 marzo-26 giugno 2016

di Anna Irene Cesarano
Sane Smith, Untitled, 1990 ca. Inchiostro su carta. Museum of the City of New York, Gift of Martin Wong
Sane Smith, Untitled, 1990 ca. Inchiostro su carta. Museum of the City of New York, Gift of Martin Wong

Palazzo Pepoli – Museo della Storia di Bologna

COMUNICATO STAMPA http://bit.ly/_STREET_ART
Ufficio stampa Arthemisia Group
Sul finire degli anni Sessanta del ‘900, nuove pratiche artistiche urbane sono apparse in diverse città del mondo occidentale, con l’intento di ridefinire la nozione di arte nello spazio pubblico. Sotto l’etichetta street art, riuniamo oggi diverse forme di arte pubblica indipendente, che riprendendo i codici della cultura pop e del graffittismo, utilizzano il dialogo tra la strada e il web per dare vita a forme decisamente innovative.

Dopo dieci lustri, il fenomeno socio-culturale del graffitismo urbano ha guadagnato una rilevanza unica nel panorama della creatività contemporanea: le opere di artisti come Banksy hanno invaso le maggiori città del mondo, e dagli anni Ottanta a oggi la stessa Bologna si è affermata come punto di riferimento per molti artisti – da Cuoghi Corsello a Blu, passando per Dado e Rusty – che hanno scelto proprio la città Felsina per lasciare il loro segno sui muri.
Dal 18 marzo questa forma d’arte è raccontata nella sua evoluzione, interezza e spettacolarità nelle sale di Palazzo Pepoli – Museo della Storia di Bologna con una grande mostra intitolata Street Art – Banksy & Co.
L’evento porterà inoltre per la prima volta in Italia parte della collezione del pittore statunitense Martin Wong donata nel 1994 al Museo della Città di New York, presentata nella mostra City as Canvas: Graffiti Art from the Martin Wong Collection, a cura di Sean Corcoran curatore di stampe e fotografie del Museo.
Come mostra dentro la mostra, la sezione vuole individuare la New York del 1980, nella quale si potranno ammirare lavori dei più grandi graffiti writers e street artists statunitensi come Dondi White, Keith Haring e Lady Pink.

La mostra, prodotta e organizzata da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Genus Bononiae. Musei nella città e Arthemisia Group, curata da Luca Ciancabilla, Christian Omodeo e Sean Corcoran, intende spiegare il valore culturale e l’interesse artistico della street art.
Il progetto nasce dalla volontà del Professor Fabio Roversi-Monaco, Presidente di Genus Bononiae, e di un gruppo di esperti nel campo della street art e del restauro con l’obiettivo di avviare una riflessione sui principi e sulle modalità della salvaguardia e conservazione di queste forme d’arte.

Il progetto di “strappo” e restauro, una sperimentazione condotta dal laboratorio di restauro Camillo Tarozzi, Marco Pasqualicchio e Nicola Giordani su alcuni muri bolognesi di Blu – uno dei dieci street artists migliori al mondo come riporta una classifica del The Guardian del 2011 -, quali il grande murale delle ex Officine di Casaralta (Senza titolo, 2006) e il murale della facciata delle ex Officine Cevolani (Senza titolo, 2003) destinati altrimenti alla demolizione, è parso come un’occasione propizia per una mostra che vuole contribuire all’attuale dibattito internazionale: da anni, infatti, la comunità scientifica pone l’attenzione sul problema della salvaguardia di queste testimonianze dell’arte contemporanea e della loro eventuale e possibile “musealizzazione” a discapito dell’originaria collocazione ma a favore della loro conservazione e trasmissione ai posteri.

La mostra Street Art – Banksy & Co. racconta per la prima volta le influenze sulle arti visive che la street art ha avuto e continua ad avere, passando per quell’estetica che nacque a New York negli anni ‘70 grazie alla passione per il lettering e il name writing di giovani dei quartieri periferici della città. Espone le opere di autori associati al graffiti writing e alla street art, per creare lungo il percorso le assonanze tra le diverse produzioni e spiegare il modo in cui sono state recepite dalla società.
Il patrimonio artistico è protagonista dell’inedita esposizione ospitata a Palazzo Pepoli, che con la sua corte coperta riproduce quella che potrebbe essere una porzione di città, luogo ideale per raccontare una tappa importante della storia di Bologna.
Il fine utopistico e l’intento sono proteggere e conservare questa forma d’arte e portare le attuali politiche culturali a riconoscere l’esigenza di una ridefinizione degli strumenti d’intervento nello spazio urbano perché i graffiti – oggi più di ieri – influenzano il mondo della grafica, il gusto delle persone, l’Arte intera di questo secolo.

GF arte Cesarano Street Art – Bansky e Co – 18 marzo-26 giugno 2016