di Mariano Bonavolontà
I dati dell’ultimo Eurobarometro sono sconfortanti, se si fa caso ai risultati degli sforzi di coinvolgimento della cittadinanza da parte dell’Unione europea.
Oltre la metà degli italiani non percepisce il sentimento di cittadinanza europea, non si sente cittadino europeo, in Italia (con altri cinque paesi) il sentimento di cittadinanza europea è al di sotto del 50%.
Questa dinamica sottostà a logiche di tipo comunicativo, spiegabili sia attraverso connaturate dinamiche informative che giungono ad una continua disinformazione o mancanza di informazione nei confronti delle istanze europee all’interno del panorama mediale italiano, sia attraverso l’ausilio delle teorie classiche della sociologia della comunicazione. Parallelamente, l’Ue reagisce a questo gap informativo attraverso due grandi strategie tecniche nel campo della comunicazione: strategie linguistico-retoriche e strategie di comunicazione diretta, nel tentativo di porsi come agente comunicativo e di glissare le distorsioni informative, creando panorami di auto narrazione, prevalentemente attraverso prodotti mediali che sfruttano immagini e linguaggi destrutturati nell’ottica strategica di una semplificazione della realtà europea, di per sé particolarmente complessa e, dunque, originariamente difficile nella sua comprensione.
Dai dati dell’ultimo Eurobarometro, inoltre, emerge che l’Italia continua a percepire come elemento unificante e cementificante per la coesione europea l’economia, al contrario della tendenza media della maggior parte dei paesi membri che hanno identificato nella cultura il quid che unifica l’Europa. È un caso, dunque, la prospettiva economica? No, perché questo sentimento si basa soprattutto sulla congiuntura attuale che ha ormai esacerbato i cittadini europei e in specie quelli italiani, soggetti a molte e costanti polemiche indirizzate a guadagnare il consenso per i partiti che si attivano in questo senso.
Tuttavia, non tutte le porte sono chiuse: paradossalmente, ciò che emerge, sempre dall’ultimo Eurobarometro, è anche un preciso sentimento federalista che appare forte anche se spesso sottinteso. Ciò matura la convinzione che il ruolo della comunicazione europea, attraverso una adeguata e meditata autonarrazione di se stessa, può far emergere questo sentimento, che potrebbe così assurgere a strumento strategico per il futuro dell’Unione.
Lo self-storytelling è opportuno per ovviare alla mancanza di informazione, che ha diretta relazione tra mancanza con la perdita di sentimento di cittadinanza europea: il caso dell’Irlanda ha segnalato come la comunicazione sia imprescindibile nel processo di integrazione europea.
La matrice del NO irlandese è ben diversa da quella olandese e, soprattutto, da quella francese. Il NO irlandese ha dimostrato agli occhi di tutto il mondo il potere della comunicazione. Ricorda infatti Ottonello: «[…] la stragrande maggioranza dell’elettorato irlandese, ancora una volta, non è stata coinvolta in un vero dibattito politico sul futuro dell’Europa. Il dato più significativo del «no» irlandese resta, a mio parere, il fatto che ben due terzi dell’elettorato non hanno votato affatto (si è presentato alle urne il 34,79% degli aventi diritto). Da un recente studio commissionato dalla Rappresentanza della Commissione europea in Irlanda, ad esempio, emerge senza mezzi termini che, nonostante un generale (e, potremmo dire, superficiale) atteggiamento favorevole degli irlandesi nei confronti dell’integrazione europea (72% molto al di sopra della media europea), il livello di conoscenza dell’Unione europea e delle sue istituzioni è decisamente scadente: in una scala da 0 a 3, il 63% degli intervistati rivela una completa ignoranza («0»), il 25% arriva a «1», il 10% a «2» e solo il 2% a «3». Altrettanto significativo il fatto che, tra coloro che hanno ammesso di non aver votato al referendum sul Trattato di Nizza, quasi la metà (44%) ha adottato come motivazione proprio la mancanza di informazione”.
Il problema informativo dell’Unione europea ruota attorno a diverse variabili, lo scarso controllo dei media – dove per controllo si intende la capacità di rientrare con proprie fonti di informazionenel bacino di contenuti dei media nazionali – facilita la dispersione dell’immagine europea, che viene continuamente dipinta da parte dei media nazionali dell’Unione europea in relazione a temi economici e diatribe politiche in cui l’UE ha la funzione di capro espiatorio di scelte “difficili”.
A tale scopo l’Antenna Cultura di Europe Direct LUPT organizza il Convegno Croce e l’Europa all’Università Federico II il 26 Marzo, (l’invito sui siti Lupt ed Oscom) rivolto ai giovani studenti della suola e dell’Università ed alla cittadinanza che vuole meditare i temi dell’oggi ricordando la storia ed il contributo che Napoli ed il Mezzogiorno hanno dato alla costruzione dell’Europa. Ricordando come essa sia nata per un intento di pace che è partito nel Rinascimento Italiano, al tempo delle guerre di religione – come essa sia esaltata da Rifkin come un modello che gli altri stati che uniscono più popoli e più costumi dovrebbero saper imitare. In realtà l’Europa unita vive da millenni, anche se le fasi dei conflitti e delle lotte di potere sono più evidenti delle comuni letture e letterature dei dotti, delle Università d’Europa, di cui la Federico II di Napoli è stata una delle prime.
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