di Clementina Gily, Editoriale
La differenza tra l’essere condizionati dal DNA – oppure dalla situazione ambientale immutabile – sembra a chi scrive ineffabile. La conclusione è comunque la stessa: agisca il Vesuvio su Napoli, come da tempo suggeriscono i Barbari del Nord Est. Contrariamente agli antichi invasori, questi di oggi mancano di rispetto – sono i lanzichenecchi non addomesticati del Sacco di Roma. Se una cosa insegna lo scemenzario di questi giorni, è quante poche voci hanno accompagnato il sindaco. Che avrà difetti, ma non ha mancato di parlare per difendere un popolo che non s’indigna e non sa rispondere a tono a chi avendo avuto per anni la città in mano, ha messo sigilli e prodotto sfasci dalle banche al porto ai rifiuti – e parla, invece di fare autocritica. Si tratta dello stesso gruppo di potere della parlamentare che oggi giudica Napoli. Scemenze della politica è il termine giusto per definire questo straparlare diventato logos nei talk show. Gente che dice e contraddice cose senza senso – e non trova il contraddittore che lo sbugiardi, dimostrando le parole inutili per quel che sono, il miserabile bolo delle sempre stesse tristi cosette.
Ad esempio l’outing odierno di una parlamentare che non avverte la responsabilità di guadagnare un giudizio equilibrato e s’infila libera nel luogo comune della camorra “problema napoletano”, al di là delle inchieste di Roma e Milano: ma chi dice che occorra una visione integra per giudicare?!? E che diamine signora Bindi! Solo al bar si parla così!
Le parole sono però subito condivise dal Buon Saviano, l’osannatissimo, sempre pronto a baciare le pile: il cui successo mostra la superlativa bravura. Tutto è puro per i puri, tutto camorrista per Saviano, professore del difetto di ottica della Bindi: vede solo il male. Parla della Napoli che i Napoletani odiano, quella dei ladri assassini che li assalgono di sera. È cittadino chi rispetta la legge di Napoli; chi obbedisce al codice di Camorra anche se canta in napoletano è al massimo un simpatizzante, Gomorriano e non Napoletano, a casa e in America.
La politica che non sa fare questa elementare distinzione è il male di Napoli; impoverisce i Napoletani e vende i loro beni alle attività di grassazione. Ad ogni elezione alzano la cortina fumogena che crea la selva oscura da cui escono solo ominidi. Eppure la città produce meraviglie di uomini colti, competenti e capaci, che in esilio sono capi eminenti: è un’emorragia continua, e i migliori ovviamente restano, lavorando in città non sono costretti all’esilio. Ma la politica li abbatte, preferisce gli ominidi; se non li trova li fabbrica. Poco Napoletana anch’essa, non rispetta le leggi che favorirebbero Napoli. Scendere in campo significa cimentarsi con loro e con lo scemenzario dei discorsi superficiali: molto poco bello davvero.
Questa vicenda odierna ha illustrato quel che dico: andate a guardare la prima pagina del Mattino del 14.9: in alto le parole dell’illustre parlamentare, in basso la notizia dell’epistolario del Re di Spagna e del figlio Re di Napoli. Ferdinando, il Re che amò Napoli, cercava di potenziare la flotta per rendere potente l’unica capitale italiana che l’Europa considerasse capace di offrire ricchezze e bellezze all’altezza della sua storia. Quel ch’era in alto sta in basso e viceversa – ed è così per la politica di Napoli: quando non si rispetta la misura delle cose, non si attirano le persone che amano lavorare e produrre le acque pulite e le bellezze dell’arte.
W editoriale 17-15 Bindi No, mi correggo… Le scemenze della politica