di Stefano Ulliana
Aristotele Metafisica, 990° 18 – 993° 27
Aristotele, Metafisica. A cura di Giovanni Reale. Milano, Rusconi, 1998 (1993¹). Pp. 51 e segg.
critica di Aristotele alle posizioni di Platone e dei Platonici 990a 18 – 993a 27: in che senso si deve intendere che le proprietà del numero e il numero sono cause delle cose che sono nell’universo e delle cose che in esso si producono dall’origine fino ad ora, e che d’altra parte non c’è altro numero fuori di questo numero del quale è costituito il mondo?
Infatti, quando essi dicono che in questo dato luogo dell’universo si trovano l’opinione e il momento giusto e un poco al di sopra e un poco al di sotto si trovano l’ingiustizia e la separazione o la mescolanza e come dimostrazione affermano che ciascuna di queste cose è un numero (ma poi accade che in questo luogo del cielo si trovi già una moltitudine di grandezze riunite, per il fatto che queste proprietà del numero che le costituiscono corrispondono a particolari regioni dell’universo): ebbene, si deve forse intendere che questo numero che è nell’universo coincida con ciascuna di quelle cose, oppure che si tratti di un altro numero oltre questo?
Platone afferma che è un numero diverso. Eppure, anch’egli ritiene che siano numeri e queste cose e le loro cause; egli, però, ritiene che le cause siano i numeri intelligibili, e che gli altri siano invece numeri sensibili. Perciò lasciamo da parte i Pitagorici e passiamo invece ai filosofi che pongono come principi le Forme e le Idee.
In primo luogo costoro, cercando di cogliere le cause degli esseri sensibili, hanno introdotto entità soprasensibili in numero eguale dei sensibili: come se uno, volendo contare oggetti, ritenesse di non poterlo fare se sono poco numerosi, e invece di poterlo se li raddoppia. Le Forme, infatti, sono di numero pressoché uguale rispetto agli oggetti dai quali questi filosofi, con l’intento di ricercarne quali ne fossero le cause, hanno preso le mosse per risalire a quelle. Infatti per ogni singola cosa esiste una corrispettiva entità avente lo stesso nome; ed è così, oltre che per le sostanze, anche per tutte le altre cose la cui molteplicità è riducibile ad unità: tanto nell’ambito delle cose terrestri, quanto nell’ambito delle eterne.
(Aristotele critica Platone, che sulla scorta dei Pitagorici accetta, con la sua teoria dei numeri ideali, la distinzione fra l’astratto ed il concreto, rendendo dipendente il concreto dall’astratto. Platone, infatti, rende l’astratto concreto, nel momento in cui attraverso l’attribuzione del medesimo nome separa enti soprasensibili ed enti sensibili, riducendo entrambi a collettori univoci di determinazione (unità del molteplice).
In secondo luogo, l’esistenza delle Idee non risulta da nessuna delle argomentazioni che ne adduciamo a prova. Da alcune argomentazioni, infatti, l’esistenza delle Idee non scaturisce quale conclusione necessaria; da altre invece consegue l’esistenza di Forme anche di quelle cose delle quali non ammettiamo che ci siano Forme. Infatti, (a) dalle prove desunte dalle scienze risulterà l’esistenza di Idee di tutte quelle cose che sono oggetto di scienza; (b) dalla prova derivata dalla unità del molteplice, risulterà l’esistenza di Forme anche delle negazioni; (c) e dall’argomento desunto dal fatto che noi possiamo pensare qualcosa anche dopo che si sia corrotto, risulterà l’esistenza di Idee delle cose che sono già corrotte (infatti di queste rimane in noi una immagine).
(Ma la prima attribuzione – quella agli enti soprasensibili – è infondata, perché le scienze presuppongono il loro oggetto e non lo possono considerare come il risultato di un ragionamento sillogistico (universale e necessario). Inoltre l’attribuzione avverrà non solo per i discorsi positivi, ma anche per quelli che contengono una negazione (e così il non-essere sarebbe, contraddittoriamente). Infine l’immaginazione soggettiva rende reale ciò che non lo è più (ciò che si è già corrotto), in maniera ancora contraddittoria (non è più, ma è ancora).
In terzo luogo, alcune delle argomentazioni più rigorose portano ad ammettere l’esistenza di Idee anche delle relazioni, mentre non ammettiamo che delle relazioni esista un genere per sé; altre di queste argomentazioni, invece, portano all’affermazione del <<terzo uomo>>.
(Il riferimento costruito con l’immaginazione – il termine univoco di determinazione – fa sì, poi, che anche della variabilità della relazione si istituisca un genere sommo, estremamente riduttivo, rispetto al quale tutto viene ordinato e catalogato. Senza variazione nell’apertura di riferimento – senza molteplicità possibile – la relazione verticale istituita rischia di cadere sotto i colpi della moltiplicazione immaginativa stessa, che concretizzando la relazione stessa crea prima un terzo elemento fra i due iniziali e poi un elemento che sempre si frappone fra quello nuovo e quello iniziale. L’argomento di Zenone spacca l’applicabilità reale della relazione, che non può così istituirsi. E le stesse idee scompaiono quali termini di riferimento superiore, che devono poter essere applicati nel giudizio e nella determinazione ulteriore.)
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.