di Anna Savarese, Architetto di Legambiente Campania
L’ambientalismo, nella sua strutturazione ed espansione dagli anni ‘70 del secolo scorso, ha indubbiamente avuto contiguità, nelle elaborazioni teoriche e nei modelli organizzativi e di radicamento nella società, col femminismo. Entrambi i movimenti hanno teso a svilupparsi al di fuori ed oltre le composizioni partitiche e le rigide strutture spesso verticistiche ed auto referenziali di tante organizzazioni preesistenti, pure in parte sensibili alle tematiche trattate. Allo sfruttamento della natura facevano da contraltare millenni di oppressione delle donne, generati entrambi da una visione del mondo inaccettabile e da cambiare.
Il patrimonio di esperienze e i traguardi raggiunti da entrambi i movimenti, sia pure con fasi alterne rispetto al grado di impatto e al tipo di ricaduta registrati sulla Politica, hanno prodotto risultati significativi in tutti i campi, inducendo trasformazioni anche nei modelli di produzione, di consumo e relazionali, oltre che dettando nuovi criteri nella selezione della classe dirigente, con progressi che continuano a manifestarsi grazie alla solidità e alla corposità dei temi connessi all’ambientalismo e al femminismo.
Va sottolineato, però, per onestà intellettuale, che purtroppo, nel corso degli ultimi quarant’anni, passando dalla liberazione, all’emancipazione, al pensiero della differenza, tante figure femminili che pure hanno avuto un ruolo di leader, dalla Thatcher, alla Rice, alla Merkel, alla May, per citarne solo alcune, non hanno certamente dimostrato la sussistenza di una visione al femminile che fosse in grado di orientare verso politiche di equità e di giustizia sociale, oltre che di sviluppo sostenibile, le loro azioni di governo e le proprie scelte socio-economiche e politiche.
Di contro, sono tante le figure di donne che con ruoli forse meno verticistici, ma radicandosi e diffondendosi nei contesti territoriali e negli specifici ambiti di attività, hanno orientato il loro sapere scientifico e il loro impegno professionale sociale e culturale verso lo sviluppo socio-economico sostenibile e duraturo e a garanzia della solidità democratica delle istituzioni. Donne di scienza e di cultura che hanno basato il loro ambientalismo, e direi anche il loro femminismo, sulle solide basi della ricerca e che con il loro sapere e il proprio operato hanno saputo interloquire con le istituzioni e con il mondo dell’economia a favore di un modello di sviluppo basato sull’equità sociale, sulla salvaguardia delle risorse naturali, sulla conservazione della biodiversità naturale e rurale, sulla tutela della salute dei cittadini. Basti citare a solo titolo di esempio figure come l’indiana Vandana Shiva o la peruviana Mara Alejandra Rodriguez Acha, che sono diventate un riferimento per l’ambientalismo, contribuendo anche a caratterizzare l’ecofemminismo dei nostri tempi.
Grazie all’operato di queste tante donne, infatti, lo sguardo al femminile ha arricchito il dibattito attuale sulle nuove frontiere della sostenibilità dello sviluppo che oggi passano attraverso l’economia circolare, la green e la blu economy, attraverso il sempre maggiore ricorso alla ricerca e all’innovazione, come fattori imprescindibili dell’ambientalismo scientifico. Il tutto in un’ottica inclusiva contro le derive nazionalistiche e protezionistiche, a favore invece di una globalizzazione che sia finalmente dei diritti e non dei profitti.
Questo scenario trova ulteriore ragione d’essere e nuova linfa vitale anche nel rinnovato interesse per la questione ambientale e nell’accelerazione che stanno subendo la trattazione di alcune tematiche, grazie alla spinta propulsiva e virale data dalla giovane Greta Thumberg che ha prodotto il moltiplicarsi nel mondo dei Friday for Future e l’accrescersi della partecipazione giovanile e non solo ai Global Strike for Future.
È interessante seguire e supportare questi nuovi fermenti soprattutto se richiederanno e comporteranno, come è da auspicarsi, anche l’individuazione di nuovi paradigmi sia dell’ambientalismo che del femminismo, partendo dalla consapevolezza dei successi, ma anche dei fallimenti prodottisi finora, per affrontare la sfida del nuovo millennio con umiltà, rigore e coerenza con gli obiettivi, all’interno di una nuova cornice di etica ambientale e sociale che delinei e postuli un nuovo Umanesimo.
Questo diviene il vero cimento verso cui orientare l’impegno futuro, nella consapevolezza che non è possibile affrontare gli effetti della crisi ambientale solo con un approccio tecnicistico o anche individuando soluzioni che non tengano conto del problema dell’aggravarsi delle disuguaglianze socio-economiche e del rapporto tra queste e il degrado ambientale, visto che gli effetti dei cambiamenti climatici colpiscono maggiormente le popolazioni e i soggetti in condizioni di svantaggio economico e sociale.
I “profughi ambientali” che si sommano ai tanti rifugiati politici e cittadini in fuga dalle guerre oggi, purtroppo, nella definizione delle nuove compagini di governo, sono il capro espiatorio dell’incapacità di uscire dalla crisi che attanaglia soprattutto il mondo occidentale e in particolare l’Europa, con punte ancor più gravi nel bacino mediterraneo. Questo approccio volutamente miope, che prescinde dai nessi tra questione ambientale, crisi economica ed emergenza migratoria, si registra plasticamente nei fallimenti delle COP, successive alla 21esima del 2015 dove si produsse l’Accordo di Parigi sul clima.
Il rischio palesato dall’ultimo rapporto del 2018 dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, di raggiungere l’aumento di 1,5 °C entro il 2040, toccando molto prima la soglia prevista dall’Accordo di Parigi per la fine del secolo, impone che si agire rapidamente, diminuendo drasticamente le emissioni di gas ad effetto serra, incrementando la quota di rinnovabili nel mix energetico globale, abbandonando il carbone per i consumi energetici e aumentando la superficie forestale globale.
La soluzione è puntare ad un’economia de-carbonizzata e circolare come occasione di innovazione e coesione territoriale e in tal senso un ruolo importante sta svolgendo l’imprenditorialità promossa da tante donne che fanno sviluppo locale sostenibile in agricoltura, artigianato, servizi, spesso coniugando sapientemente tradizione e innovazione. Per contenere il riscaldamento globale e le emissioni di CO2 in atmosfera occorre, infatti, agire sulla conversione ecologica del ciclo produttivo e sui cambiamenti degli stili di vita dei cittadini, rivedendo il modello produttivo e dei consumi e riducendo le disuguaglianze sociali, economiche e di genere.
Ciò anche facendo tesoro dell’enciclica Laudato sì nella quale Papa Francesco giustamente sottolinea che in un mondo globalizzato, l’interdipendenza è la modalità con cui approcciare e tentare di risolvere tutti i problemi della modernità, con la piena coscienza che la soluzione ai danni connessi ai cambiamenti climatici e alla crisi ambientale non può essere solo tecnica, ma anche connessa con il necessario avvento di un nuovo Umanesimo.
W Savarese Ambientalismo, femminismo, etica sociale – per un nuovo Umanesimo
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