Alla ricerca del significato. Il 5 giugno ha chiuso gli occhi Jerome Bruner

di Anna Irene Cesarano

Jerome Bruner
Jerome Bruner

Il cinque giugno 2016 è morto Jerome Seymour Bruner, uno dei più grandi psicologi e ricercatori statunitensi. Conosciuto per il suo enorme e importante contributo nell’ambito della psicologia culturale e della psicologia dell’educazione, nel 1952 diede un profondo impulso al rinnovamento della psicologia accademica americana con il progetto cognizione. Conobbe l’opera dei suoi altrettanto rinomati colleghi europei Jean Piaget e Lev Vygotskij, e tornato in America fondò il Centro Studi Cognitivi, affermando l’importanza del cognitivismo rispetto alla tradizione comportamentistica allora predominante. Impegnatosi in nuove ricerche in ambito psicopedagogico, presiedette al alla conferenza organizzata dall’Accademia Nazionale delle Scienze, per il rinnovamento del sistema scolastico americano, e famoso in tutto il mondo fu il suo rapporto con il titolo “The Process of education”. E’ del 1983 la sua opera più famosa, un’autobiografia intitolata In search of mind: essay in autobiography.

La psicologia cognitivista di Bruner risulta innovativa e all’avanguardia in un contesto culturale, come quello americano fortemente condizionato dal comportamentismo, teoria divenuta paradigma grazie agli esperimenti in laboratorio di Burrhus Skinner. Il comportamentismo aveva una concezione recettiva dell’individuo, considerava la mente se non come una tabula rasa come una lavagna dove si incidono comportamenti che l’apprendimento rende abitudini spesso inconsapevoli. Ciò riduceva l’efficacia di un’azione ad un ruolo passivo, da parte della soggetto, che veniva sollecitato al comportamento in seguito a degli stimoli a cui seguiva una risposta dello stesso. (schema S-R ovvero stimolo-risposta), più evidente negli animali, come nel citatissimo caso del cane che saliva alla campanella del pasto (Pavlov). Non mancarono però, in quegli anni, forti venti innovativi provenienti da teorie nuove in ambito filosofico e psicologico, come quella della psicologia della Gestalt (psicologia della forma) di Koffka e Kohler e della teoria universalmente conosciuta di Sigmund Freud, che gettando una nuova luce sul soggetto e sulle sue pulsioni ne schemi mentali intrinseci, restituirono nuova dignità e coscienza all’individuo, facendo così vacillare definitivamente le fondamenta del comportamentismo.

Quando Bruner inizia a studiare il set cognitivo, la ricerca è ancora in fase sperimentale sull’argomento, che risulta ancora oscuro. Il concetto di set cognitivo ha il suo focus nel dinamismo della mente ad apprendere e percepire il mondo esterno. La mente dinamica concepita da Bruner si contrappone fortemente a quella statica delle teorie precedenti, che pur costituendo un forte lascito alla psicologia apparivano ora inadeguate a spiegare i meccanismi di conoscenza dell’individuo. Il set cognitivo sarebbe, infatti, nient’altro che uno strumento o artefatto (come lo chiamerebbe Vygoskij), un meccanismo di percezione selettiva degli elementi della realtà, in continuo divenire. La selezione avviene in base a strutture mentali interne all’individuo che già la psicologia della gestalt aveva messo in luce, ma queste strutture non sono ora concepite come dei semplici meccanismi innati e statici ovvero come un mero sistema auto-riproduttivo di organizzazione delle percezioni e dell’apprendimento. Ma bensì, come dei meccanismi e forme mutevoli, risultato e prodotto del background che ogni persona si porta dietro, esperienze passate, ricordi, bisogni, interessi. Il soggetto è ora attivo, è fautore della propria conoscenza, interagisce con il mondo esterno che a seconda della struttura mentale e intrinseca dell’individuo, è ora percepito e interiorizzato da quest’ultimo, che esperisce il mondo, ma un mondo dinamico, una realtà in continua evoluzione,          un “divenire    sensoriale”.

Il grande influsso di Bruner sulla pedagogia e psicologia mondiale è stato quindi benefico, anche per il suo muoversi tra le due dimensioni filosofica e psicologica, cioè pedagogica, in modo attivo e sperimentale, capace di dare nuove idee alla didattica, precisandone i ruoli ed i compiti: senza entrare direttamente nella campo della formazione, l’ha arricchita molto più di altri – forse proprio per questo suo atteggiamento di porre un limite alla specializzazione, pur specializzando il proprio discorso. Parlare cioè di problemi, lasciarsi condurre da quel che essi impongono: perciò la grande importanza data all’autobiografia, alla capacità di costruire un proprio modo di arrivare alle cose… e poi a volte cambiarlo, perché un nuovo problema, un nuovo autore, una nuova persona, interviene a cambiare il nostro modo di vivere e pensare.  Ciò restituisce al sapere un carattere di avventura, che pochi sanno tutelare.

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