di Viviana Molino |
“Jede Zeit hat die Renaissance der Antike, die sie verdient”
“Ogni epoca ha la rinascita dell’antichità che si merita.”[1]
Chloris eram, Nymphe campi felicis, ubi audis
Rem fortunatis ante fuisse viris.
Quae fuerit mihi forma
grave est narrare modestae.
Sed generum matri repperit illa deum.
Ver erat, errabam.Zephyrus conspexit; abibam.
Insequitur, fugio. Fortiori ille fuit.
Et dederat fratri Boreas jus omne rapinae,
Ausus Erechthea praemia ferre domo. […][2]
Il 13 giugno del 1866 Aby Warburg nasce ad Amburgo, primo di sette fratelli, da Charlotte Oppenheim e Moritz Warburg, una benestante famiglia di banchieri ebrei. Da subito dimostra inclinazione per le discipline umanistiche e una forte passione per la lettura, propensioni che, all’età di tredici anni, lo portano alla decisione di rinunciare al diritto di primogenitura in favore del fratello Max, a condizione, però, che gli fossero assicurati a vita i sovvenzionamenti per l’acquisto di libri. Libri, che, nel corso della sua esistenza, raccoglie e organizza nella Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg, alla sua morte composta da oltre 50.000 volumi. Max Warburg riporta questo episodio caratterizzante della vita di Aby nel suo discorso commemorativo del 5 dicembre 1929.
Quando aveva tredici anni, Aby mi offrì la sua primogenitura. Come primogenito era destinato a entrare nella ditta. Allora io avevo dodici anni, ero ancora piuttosto immaturo per riflettere, e così accettai di acquistare il suo diritto di primogenitura. Non me l’offrì comunque per un piatto di lenticchie, ma in cambio dell’impegno che avrei comprato sempre tutti i libri che voleva. Dopo una brevissima pausa di riflessione, acconsentii. Mi disse che dopotutto, una volta entrato negli affari, avrei potuto trovare semplicemente il denaro per pagare le opere di Schiller, Goethe, Lessing e forse anche Klopstock, e così, fiducioso, gli diedi quello che oggi devo riconoscere come un assai cospicuo assegno in bianco. L’amore della letteratura e dei libri… fu la sua prima grande passione[3].
Dopo aver frequentato il Realgymnasium di Amburgo decide di seguire la sua vocazione e di dedicarsi, quindi, allo studio della storia dell’arte, affermando la propria autonomia e indipendenza culturale, ma, soprattutto, religiosa e andando contro il volere della famiglia, bigotta e conservatrice, che cercò, invano, di dissuaderlo da quella decisione.
La sua formazione sarà contrassegnata dal pensiero e dalle ricerche degli studiosi che seguì negli anni universitari.
Nel 1886 decide di trasferirsi a Bonn per studiare storia dell’arte con Carl Justi e Henry Thode, archeologia con Reinhard Kekulé von Stradonitz, storia della filosofia con Karl Lamprecht e storia delle religioni con Hermann Usener[4].
Le fonti disponibili riconducibili al periodo universitario della vita di Warburg sono particolarmente cospicue, è possibile infatti ritrovare ancora gli appunti che lui prendeva durante le lezioni, appunti da cui si è potuta ricostruire la storia e la derivazione del suo pensiero e dei suoi approfondimenti.
Le lezioni di Thode, che, prima dell’arrivo di Warburg a Bonn, aveva pubblicato un testo su Francesco d’Assisi e la rinascita dell’arte, lo conducono alle prime riflessioni sull’importanza della riscoperta dell’antichità. Durante il corso di Carl Justi, che, come si evince da quanto scrive Warburg stesso, era un docente rigoroso e riservato, viene iniziato alla filologia classica e a Winkelmann e approda al problema sulla relazione tra realismo nordico e i prestiti che l’arte italiana aveva contratto con l’antichità[5], attraverso lo studio dell’arte fiamminga, problema quest’ultimo che non smetterà mai di tormentarlo. Ma, sono soprattutto le lezioni di Usener a lasciare il segno in questo studente entusiasta e appassionato.
Psicologia e antropologia si legano indissolubilmente allo studio dei classici e la mitologia viene intesa come Vorstellungen, studio delle idee di un popolo riguardanti il trascendente[6]. È proprio sulla scia del pensiero di Usener che Warburg si interessa e approfondisce il tema delle Sopravvivenze o, come lui poi le definirà, Nachleben, che caratterizzerà tutto il suo lavoro futuro. Su consiglio del docente, durante il semestre invernale del 1886, legge e fa sua la teoria esposta dell’evoluzionista italiano Tito Vignoli nel libro Mito e scienza.
Il libro rappresenta un’importante testimonianza dell’epoca dell’affermazione del progresso scientifico e tratta l’importante questione, pienamente appoggiata da Warburg, sulle barriere interdisciplinari che rappresentavano solo ostacoli da abbattere, “antropologia, etnologia, psicologia e biologia devono unire le forze”[7]. Sviluppa così una particolare tendenza nei collegamenti interdisciplinari che lo avvicina al pensiero di un altro studioso del tempo, lo storico svizzero Jacob Burckhardt, specialmente per ciò che riguarda il ruolo dell’arte figurativa nella storia della civiltà[8], rifacendosi in particolar modo alla Kulturgeschichte (storia della cultura), un approccio storiografico inaugurato dallo studioso svizzero che si focalizza sulle diverse dimensioni del fenomeno storico (politico, spirituale e culturale) all’interno di un quadro unitario.
Warburg impronta, quindi, le sue ricerche sulla concezione della storia appresa da Burckhardt, per cui non è la successione cronologica degli eventi ad interessarlo, bensì la loro contestualizzazione da un punto di vista storico-culturale. É così che in lui va rafforzandosi quella particolare struttura mentale e culturale, che sarà poi evidente nella sua ultima opera L’Atlante Mnemosyne, fatta di associazioni interdisciplinari lontane da ogni logica cronologica e sequenziale[9].
Nell’ottobre del 1888, insieme ad un gruppo di studio guidato dal professore di Storia dell’arte dell’università di Breslavia A. Schmarsow, intraprende un viaggio a Firenze in occasione della fondazione del Kunsthistorisches Institut in Florence. Con Schmarsow, Warburg approda agli studi sulla Firenze del Quattrocento, ai rapporti tra gotico e Rinascimento, a Botticelli e a Donatello. Il professore di Breslavia, promuove un approccio metodologico alla storia dell’arte molto aperto alla psicologia e all’antropologia e influenza profondamente il giovane Warburg con un suo studio sui gesti, per il quale aveva elaborato una teoria dell’empatia corporea delle immagini spiegata attraverso il binomio di “mimica” e “plastica”[10].
Durante il soggiorno, Schmarsow assegna a Warburg e ai suoi compagni il compito di esaminare il rapporto di due autori fondamentali nella storia del Rinascimento a Firenze, ovvero Masaccio e Masolino nell’opera della Cappella Brancacci e valutarla secondo un canone naturalistico. È qui che ha inizio lo studio che porta Warburg all’elaborazione delle teorie sull’arte del primo Rinascimento fiorentino. Successivamente, viene incaricato di svolgere delle ricerche sullo stile dei rilievi nella scultura fiorentina rinascimentale e, in quest’occasione, nota una particole propensione degli artisti di quel periodo agli ornamenti floreali e decorativi che non sono relazionabili a canoni naturalistici, ma che lui associa ad elementi della classicità analizzati già in uno studio assegnatogli il primo anno di università da Kekulè von Stradonitz per una relazione di archeologia classica riguardante la forza espressiva dei drappeggi sui bassorilievi Greci raffiguranti la battaglia dei centauri. Quest’associazione lo conduce a riconsiderare una tesi appresa nel testo di Lessing, Laokoon: oder über die Grenzen der Malerei und Poesie del 1766, in cui la scultura viene intesa come la resa dei motivi statici in contrapposizione alla poesia, capace di rendere fugacità, movimento e passioni.
La scultura può raffigurare un atteggiamento di tranquilla maestà: le arti visive non hanno altro scopo che di procurare piacere attraverso la bellezza. Ve le lascio tutte ma a me lasciate quel mondo di passioni, di azioni, di movimento che è l’anima della poesia e per il quale io sto conducendo la battaglia nell’ambito della letteratura tedesca[11].
Ma non è solo la scultura a tradire questa tesi. La pittura, che con le opere di Botticelli ne offre un inestimabile esempio, si fa interprete di movimento, mutevolezza e fugacità attraverso continui richiami all’antichità classica. Si delinea, quindi, un’idea di Rinascimento lontano da un indirizzo naturalistico; ciò che Warburg osserva è un Rinascimento che si rifà ad elementi dell’antichità classica animato da figure in movimento che permettono all’immagine, non più emblema della staticità, di essere accostata al linguaggio poetico.
Warburg approfondisce, quindi, il tema delle immagini, trascurandone l’interesse estetico e concentrandosi sul loro aspetto morfologico e semantico. Il rapporto che per Warburg lega linguaggio verbale e immagini è evidente anche nell’uso che fa del termine iconologia con cui indica gli schedari (Zettelkästen) in cui conservava appunti su testi poetici o letterari ricollegati a tematiche visualizzabili in immagini[12].
Tornato a Bonn, nel maggio del 1889, legge al corso di Justi una relazione, Abbozzo di una critica del Laocoonte alla luce dell’arte del Quattrocento fiorentino, elaborata sulla scia dell’esperienza in Italia. In questo testo esprime il suo pensiero critico riguardo alla tesi proposta da Lessing ma tale dissertazione non viene apprezzata dal docente, troppo conservatore per poterla accogliere positivamente. Il 24 maggio 1889 Warburg scrive: “Justi è una natura troppo inflessibile per vedere prontamente con gli occhi di un altro”.[13]
Nel preciso quadro storico del Rinascimento italiano prende, quindi, vita il concetto di Nachleben, la ‘sopravvivenza’, riferita a tutto il mondo di immagini provenienti da culture lontane e da un tempo che non è quello presente dell’opera d’arte in cui si manifestano. Il concetto porta a rivedere il concetto di tempo: il tempo dell’immagine non può essere quello della storia; non vi è coerenza temporale nei dettagli delle opere Rinascimentali echeggianti l’antichità lontana.
Quei dettagli, quelle sopravvivenze sono sintomi che generano disorientamento temporale, sono testimonianza di un passato rimosso e indizi fuorvianti in relazione al principio dell’evoluzione.
Con ciò intende che la storia dell’arte, e in questo si discosta irreparabilmente dai racconti delle Vite di Giorgio Vasari e dal metodo storico di Winckelmann, non può più essere considerata come un divenire lineare di generi e di stili che nascono e muoiono, come un susseguirsi di grandezza e declino[14]. Warburg annulla in questo modo il senso della storia e propone un tempo anacronistico specifico per le immagini.
L’idea del Nachleben è in sé un’eterocronia, una manifestazione atemporale strettamente legata alla percezione del tempo e influenzata dallo studio dei testi di Burckhardt e di Nietzsche. I due studiosi sono per Warburg come dei sismografi capaci di percepire, di registrare movimenti impercettibili, invisibili, della vita storica, geschichtliches Leben. Lo storico-sismografo è infatti colui che, a differenza dello storico che coglie semplicemente i movimenti visibili del flusso della storia, riesce a captare, e quindi, come un sismografo, a trasmettere anche i movimenti invisibili che sopravvivono nascosti e che si manifestano all’improvviso proprio come le immagini del Nachleben. Burckhardt parla di patologia e sintomatologia del tempo e lo storico della cultura ha secondo lui il compito di rimanere in ascolto di tali sintomi[15].
Questo tema della sopravvivenza dell’antico rappresenterà per Warburg l’Hauptproblem, il problema fondamentale di tutta la sua ricerca e caratterizzerà, in modo quasi ossessivo, anche la sua Kulturwissenschaftliche Bibliothek. Insieme al concetto di Nachleben, prende forma anche l’idea di Pathosformeln, formule di pathos, che per la prima volta elabora durante le lezioni del semestre estivo del 1887 di archeologia classica con il professor Kekulè von Stradonitz analizzando il Laocoonte e i Centauri antichi.
La forza animale con cui il centauro afferra la sua vittima, e la selvaggia bramosia di questa, che nemmeno la morte imminente può soffocare, sono resi splendidamente … eppure in questo universo formale è assente il meglio: la bellezza.[16]
L’idea di Pasthosformeln, in questi anni ancora embrionale, diviene elemento onnipresente della sua ricerca e soprattutto del suo ultimo progetto, Mnemosyne.
Queste formule di pathos sono caratterizzate dai così detti bewegtes Beiwerk, accessori in movimento, come veli, tessuti, o anche il vento che muove i capelli, espedienti questi utilizzati dagli artisti rinascimentali per risolvere il problema dell’espressività perfino drammatica del gesto.
Per il dottorato, Warburg decide di trasferirsi all’università di Strasburgo dove continua a frequentare corsi di storia dell’arte, di storia della pittura, di architettura, di archeologia classica e filosofia seguendo le lezioni di docenti come Hubert Janitschek, Adolf Michaelis e Theobald Ziegler. Nel dicembre del 1891 presenta la sua tesi sui dipinti mitologici di Botticelli, la Primavera e la Nascita di Venere, testo che nel 1893 viene pubblicato ad Amburgo con il sottotitolo: Ricerche sull’immagine dell’antichità nel primo Rinascimento italiano. Quando inizia il lavoro, Warburg è orientato ad un fine decisamente più semplice da quello a cui giunge alla conclusione dell’opera, egli, infatti, era partito dall’analisi di quello che può essere definito un problema di stili,[17] ovvero l’inclinazione degli artisti del tardo Quattrocento a riprodurre drappeggi ornamentali.
Approda, invece, a questioni più intense e complesse, scopre come Botticelli e i suoi mecenati desumevano l’antichità dai testi che leggevano e si concentra sulla persistenza dell’antico e l’influenza che essa ha esercitato sull’arte fiorentina, indagando il rapporto che intercorre tra opere d’arte e testi poetici, nei quali ritrova descritte a parole le scene che vede trasposte in immagini da Botticelli, che, probabilmente, ascoltava le indicazioni di qualche dotto umanista.
Da questo lavoro emerge, inoltre, l’esigenza di fondare un’antropologia storica dei gesti in grado di esaminare la costituzione tecnica e simbolica dei gesti corporei in una data cultura.[18]
La rilevanza di questo lavoro su Botticelli non risiede, infatti, solo nei raffronti tra opere d’arte e testi letterari, ma nell’aver rintracciato un principio antropologico per cui i movimenti del corpo, i gesti, i saluti e gli atteggiamenti, sono tracce di una naturale unità tra parola e immagine, Wort und Bild, unità questa che sarà poi esplicitata nel suo ultimo progetto Mnemosyne.
Nelle opere di Botticelli Warburg osserva quei “movimenti intensificati”, gesteigert Bewegung, quelle tracce d’antichità che danno la resa del movimento e che spesso vengono intesi come danza.
Questo testo, che Warburg dedica a Hubert Janitschek, suo relatore, e ad Adolf Michaelis, docente di archeologia classica, si ispira alle ricerche di due studiosi, Julius Meyer che aveva messo in relazione La Nascita di Venere con l’inno ad Afrodite di Omero, e Anton Gaspary che invece l’aveva messa a confronto con la Giostra di Poliziano.[19] Warburg propone un continuo raffronto tra testi ed immagini e, sulla scia di Meyer, cita dell’inno omerico ad Afrodite:
La veneranda, la bella dell’aureo serto, Afrodite
io canterò, che tutte le cime di Cipro marina
protegge, ove la furia di Zefiro ch’umido spira
la trasportò, sui flutti del mare ch’eterno risuona,
sopra la morbida spuma. L’accolser con animo lieto
l’Ore dai veli d’or, le cinsero vesti immortali […][20]
Ecco descritta la dea nascere dal mare, sospinta dallo zeffiro verso la riva e accolta dalle Ore, (figlie di Zeus, divinità delle Stagioni il cui nome deriva dalla traduzione latina di Horae).[21]
La scena è ripresa da Botticelli che ne apporta solo alcune modifiche, le Ore sono ridotte ad una, la Primavera, e a soffiare su Venere con le gote gonfie vi sono Zefiro e Clori anziché, come descritto da Omero, solo Zefiro. Per la resa del movimento delle vesti, dei capelli e dei corpi Warburg fa notare il chiaro rimando al testo di Leon Battista Alberti De Pictura citando un passo in cui tratta appunto il movimento.
La nascita di Venere, Sandro Botticelli, 1482 – 1485, Galleria degli Uffizi, Firenze |
Dilettano nei capelli, nei crini ne’ rami, frondi et veste vedere qualche movimento. Quanto certo ad me piace nei capelli vedere quale io dissi sette movimenti: volgansi in un giro quasi volendo anodarsi ed ondeggiano in aria simili alle fiamme, parte quasi come serpe si tessano fra li altri, parte crescano in qua et parte in là. […] Ma dove così vogliamo ad i panni suoi movimenti sendo i panni di natura gravi et continuo cadendo a terra, per questo starà bene in la piuctura provi la faccia del vento Zeffiro o Augusto che soffi fra le nuvole onde i panni volteggiano. Et quinci verrà ad quella gratia, che i corpi da questa parte percossi dal vento sotto i panni in buona parte mostreranno il nudo, dall’altra parte i panni gettati dal vento dolce voleranno per aria, et in questo ventoleggiare guardi il pictore non ispiegare alcuno panno contro il vento.[22]
L’intento di Warburg, quindi, è quello di chiarificare il rapporto tra linguaggio visivo e linguaggio poetico ricercando quelle sopravvivenze, quegli elementi dell’antichità classica che interessavano gli artisti così come gli scrittori del Quattrocento. Nelle osservazioni preliminari al lavoro, infatti, egli sostiene:
Questo raffronto consente, infatti, di vedere passo per passo come gli artisti e i loro consiglieri vedessero negli “antichi” un modello richiedente un movimento esterno intensificato e si appoggiassero a modelli antichi ogni qual volta si trattasse di raffigurare il moto fisico attraverso accessori come fogge e capigliature.[23]
L’elemento patetico nei dipinti di Botticelli è trasfigurato non nei personaggi, ma negli ornamenti, negli accessori in movimento come i capelli o le vesti,[24] il panneggio diviene infatti per Warburg un “utensile patetico”, inteso come superficie sensibile.[25] I raffronti tra immagini e testi poetici continuano con lo studio dell’altro capolavoro di Botticelli, La Primavera, nel quale egli intravede, nel gruppo sulla destra, l’inseguimento erotico tra Zefiro e Clori descritto da Ovidio nei Fasti.
Estrapola ancora dei versi di Ovidio citando anche le Metamorfosi analizzando alcuni passi a proposito del movimento dei capelli e del panneggio delle vesti.
Entrambe le opere citate rappresentavano, nella Firenze del Quattrocento, un tema principale del lavoro di Poliziano che aveva ripreso nelle sue opere i temi trattati dall’autore latino.
Warburg giunge, quindi, all’identificazione di Poliziano come consigliere di Botticelli, come l’umanista che lo guidava dai racconti antichi all’esecuzione delle immagini divenute il simbolo del Rinascimento.[26]
L’analisi di Warburg dei due dipinti attraverso i continui richiami letterari, attraverso lo studio di testi antichi, da Ovidio a Claudiano fino a Lorenzo de’ Medici e Poliziano, e attraverso il suo interesse per le immagini come richiami al mondo dell’artista, lo conducono non solo a rintracciare il principio del movimento nel riaffiorare dell’antichità, ma lo fanno approdare ad una visione di Botticelli lontana dalla consuetudine.
Al concludere della sua tesi, Warburg, come già Justi nello studio del 1888 su Diego Velasquez, accusa, il Botticelli di “arrendevolezza”, per aver ceduto alle indicazioni di chi lo consigliava, descrivendo l’antichità senza iniziativa, ma attraverso gli occhi della sua epoca.
Il Botticelli era proprio fra coloro i quali erano di temperamento troppo malleabile. […] “Per esprimermi scolasticamente, quegli elementi generali di stirpe, scuola ed epoca che egli ha avuto da altri, con altri divide e ad altri tramanda, sono soltanto la sua natura secondaria […], l’elemento individuale, idiosincratico costituisce la sua sostanza primaria. Caratteristica del genio è dunque l’iniziativa”.[27]
Conclusi gli studi giovanili si apre per Warburg un nuovo campo di grande interesse, la psicologia.
Nel 1892 si trasferisce a Berlino per il semestre estivo, dove segue corsi di psicologia preliminari allo studio della medicina tenuti dal professor Hermann Ebbinghaus.
La propensione per la psicologia era da sempre stata presente in lui già dai suoi appunti sulla storia dell’arte e sugli umanisti fiorentini; è possibile riscontrare una particolare attenzione ai dettagli e ai meccanismi di tipo psicologico che lo aiutavano a spiegare “l’esistenza della religione, dell’arte e della scienza nel contesto dell’evoluzione umana”.[28]
Quello stesso anno viene chiamato per il servizio militare nel reggimento di artiglieria a cavallo a Karlsruhe.
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[1]Ernst H. Gombrich, Aby Warburg una biografia intellettuale, Campi del sapere, Feltrinelli, Milano, 1983, p. 206
[2] Aby Warburg, La rinascita del paganesimo antico, Contributi alla storia della cultura raccolti da Gertrud Bing, La nuova Italia, Firenze, 1966, p. 33
[3]Ivi, p.27
[4]C. Cieri Via, Introduzionea Aby Warburg, Editori Laterza, Bari, 2011, p.137
[5]Ernst H. Gombrich, Aby Warburg una biografia intellettuale, Campi del sapere, Feltrinelli, Milano, 1983, p.32
[6]Ivi., p.33
[7]Ivi., p.68
[8]G. Bing, Introduzione all’ed. it. degli scritti di AbyWarburg, La rinascita del paganesimo antico (1966), La Nuova Italia, Firenze 1987, p. XIV
[9]C. Cieri Via, Introduzione a Aby Warburg, Editori Laterza, Bari, 2011, p.7
[10]Cit. Georges Didi – Huberman, L’immagine insepolta, Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e della storia dell’arte, Bollati Boringhieri, 2006, Torino, p.38
[11]Lessing, Laocoonte cit., p.45 in C. Cieri Via, Introduzione a Aby Warburg, Editori Laterza, Bari, 2011, p. 12
[12] Ivi, p. 23
[13]Ernst H. Gombrich, Aby Warburg una biografia intellettuale, Campi del sapere, Feltrinelli, Milano, 1983, p. 53
[14]Georges Didi – Huberman, L’immagine insepolta, Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e della storia dell’arte, Bollati Boringhieri, 2006, Torino, p. 19
[15]Ivi, p. 117
[16]Ernst H. Gombrich, Aby Warburg una biografia intellettuale, Campi del sapere, Feltrinelli, Milano, 1983, p. 42
[17] Ivi., p. 56
[18]G. Didi – Huberman, Ninfa moderna, saggio sul panneggio caduto, Abscondita, Milano, 2013, p. 237
[19] C. Cieri Via, Introduzionea Aby Warburg, Editori Laterza, Bari, 2011, p. 25
[20] Aby Warburg, La rinascita del paganesimo antico, Contributi alla storia della cultura raccolti da Gertrud Bing, La nuova Italia, Firenze, 1966, p. 7
[21] Pierre Grimal, Enciclopedia dei miti, Garzanti, Brescia, 1987, p. 458
[22] Aby Warburg, La rinascita del paganesimo antico, Contributi alla storia della cultura raccolti da Gertrud Bing, La nuova Italia, Firenze, 1966, pp. 9, 10
[23] Ivi., p. 3
[24]G. Didi – Huberman, Ninfa moderna, saggio sul panneggio caduto, Abscondita, Milano, 2013, pp. 21, 22
[25]Ivi, p. 25
[26] Ivi., p. 37
[27] Ivi., p. 58
[28]Ernst H. Gombrich, Aby Warburg una biografia intellettuale, Campi del sapere, Feltrinelli, Milano, 1983, p. 66
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