di Franco Lista
‘E “malamente”, cioè gli infami, i perfidi, asseriscono che il napoletano, “campa a jurnata” e dunque stando immerso sempre nel presente, sarebbe privo di coscienza storica.
Pura cattiveria questa poiché il napoletano (e ce ne sono tanti di napulitane peliente che vendono calzini e accendini) sta dentro la jurnata, in quanto va a faticà ‘a jurnata, pe’ abbuscà ‘a jurnata.
È evidente, d’altra parte, come il passato e la memoria, insieme alle tradizioni e alla lingua, siano gli elementi che assicurano, nel tempo, al popolo napoletano la sua coesione sociale e anche la sua fisionomia e il suo carattere.
Va riconosciuto il valore antropologico-culturale di questi elementi che, nella vita di ognuno di noi, progressivamente assunti e interiorizzati, costituiscono il motivo del nostro radicamento, della nostra autentica identità. Se in una comunità memoria ed esercizio diacronico sono presenti, ne deriva, di conseguenza, il dato coscienziale; per questo i napoletani (per adoperare una locuzione con la quale Levi-Strauss definiva le società primitive) non possono in alcun modo essere assimilati a una “società sincronica”, cioè di persone che “vivono alla jurnata”.
Ancora, i maligni con la loro cazzìmma e zuzzimma fanno riferimento soprattutto al nostro connettivo social-popolare, che lacerato dalle tante difficoltà e zeffunnate ‘e malepatènze si reclude nel quotidiano, còmme a dinto ‘o mastrillo.
Mi viene in mente, in proposito, quella canzone che si cantava nell’immediato dopoguerra napoletano, nel 1944, “Simmo ‘e napule paisà” di Fiorelli – Valente.
Il paroliere Fiorelli scrisse un vero manifesto programmaticamente liberatorio dalle pene della guerra che pure esprimeva, in pochi versi, la necessità di affrancarsi dalle angosciose vicende belliche, appena superate:
“Nun vale cchiù a niente ‘o ppassato a penzà” e allora “Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto … scurdàmmece ‘o passato, simmo ‘e Napule paisà!”
Poiché ai napoletani basta unicamente ’o sole, ‘o mare e na nénne a core a core!
E questo a ben guardare è cosa antica, legata alla gioia di vivere che invita terapeuticamente ognuno di noi a: “Scòrdate affatto de li guaie passate”, come scrisse Giambattista Valentino nel settecentesco “La Mezacanna”.
Sta di fatto che Napoli, con la sua grande storia e con attaccata, come una patella allo scoglio di Mergellina, la nostra individuale, modesta microstoria, è pur sempre un’esperienza fantastica e sorprendente da vivere con l’intensità che merita.
E’ chiaro, d’altra parte, come la Napoli d’oggi, aporeticamente oscillante tra “progetto e destino” (Argan), appare più adeguata alla contemplazione estetica, monumentale e paesaggistica, alla ecfrastica archeologica e urbanistica del suo bel centro antico (Gily), alla riflessione sociologica della sua storica e strutturale “porosità” (Benjamin) quale condizione di crescita senza sviluppo, che adatta a una moderna proiezione di civiltà urbana che conservi però, come un’opera d’arte, tutta “l’incarnazione di senso” (Danto) partenopeo.
Napoli non può rassegnarsi alla tragica ineluttabilità del disegno di un Flatus collettivo. Deve reagire, ribellarsi al destino, ‘a ciorta!
Forse per questo uno straordinario cantore di Napoli, Pino Daniele, ha scritto: “Napule è ‘na carta sporca e nisciuno se ne importa e ognuno aspetta ‘a ciorta. Perché ‘a ciorta è la sorte, è il destino, è il fato che hanno sempre un doppio segno: possono determinare una condizione fortunata ma anche il contrario. Napoli, carta sporca, come ha scritto Aldo Masullo, è “lasciata marcire dalla malvagità di chi l’ha sporcata e dall’indifferenza di tutti gli altri”.
Allora, alla Napoli tra ‘a mammòria e ‘o scurdà, ossia tra passato, memoria e oblio, alla Napoli che cambia e si trasforma, alla “Napoli che se ne va”, per dirla con il titolo del bel libro di Aniello Costagliola (è qui davanti a me, sul mio tavolo, con la bella dedica indirizzata al mio maestro, nonno di Elena, mia moglie: ”A Ciccio Galante, fraternamente. Aniello 12-VI-19.”), allora dicevo e continuo, alla Napoli eterodiretta nella nuova condizione, sociale e territoriale, di città metropolitana vale la pena di indirizzare, col forte affetto dei suoi figli, un augurio di ampia comprensione internazionale: Better city, better life!
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