di Gily Reda
Quest’anno tutti parlano di ’68. Io sono convinta che come disse McLuhan il ’68 ha realizzato solo quel che era già nei fatti, ma senza coscienza di sé: la società del tu, iniziata quando Eleanor Roosvelt era entrata nelle cucine degli americani a pranzo, distruggendo la lontananza degli idoli dalla vita quotidiana. Tutto ciò ha portato ai populismi di oggi, alle democrazie volgari, dove è il più basso a decidere i costumi, così compra di più: ciò imbarbarisce politica e popoli.
Nel 68 non fu così: basta rivedere Forrest Gump… o i film di allora tipo Fragole e sangue: quanta gioia di avventura, quanta conquista di civiltà c’era, si discuteva di tutto con fiducia, ci si impegnava a capire – le televisioni sostituite ai libri hanno regalato quest’era di analfabetismo pernicioso.
Chi visse quell’anima e ne ricordando la conquista di libertà – che non era di tutti, si mescolavano a NOI i solito LORO – non ha voglia di commemorare quanto di ricordare – lasciando perdere i tanti potenti di oggi commemoranti – ormai anziani – sulle ‘barricate‘ costruirono sé con astuzia.
Ricordare il rito degli anni ’70 la forza, i cortei del 25 aprile e del 1 maggio. Lunghi, ordinati e gioiosi, nella primavera nascente. Pian piano le Brigate Rosse rovinarono ogni conquista, uccisero Moro, resero difficile la vita a Berlinguer, che oggi tutti esaltano per gente di poca memoria. Adriana Faranda, l’assassina, fa lezione sulla memoria di Moro e scrive la sceneggiatura del film… allora, dire che le Brigate erano tutte tranne che rosse, trovava commenti ironici ovunque.
E quindi, nella memoria di quel rito fecondo che ricordava agli Italiani che non sono un popolo ignavo, wolf ha ricordato spesso le quattro giornate di Napoli e, il 9 maggio, la morte di Moro, ha commentato il libro di Ambrosoli: ricordo di guardare la mia intervista con Adolfo Giuliani, allora testimone della guerra a Napoli, e l’articolo intervista di Salvatore Forte ad uno scugnizzo napoletano sopravvissuto, ancora residente in Contrada Pagliarone, al Vomero, accanto alla Chiesa di Santa Maria della Libera (4 giornate: INTERVISTA A GIULIANI, fondatore dell’esasperatismo https://www.youtube.com/watch?v=eQPmRrx3S3M in video
e https://www.clementinagily.it/wolfonline/gdifi/saggi/163-50o-anniversario-delle-quattro-giornate-di-napoli-intervista-a-raffaele-arena.html – oltre agli articoli su Moro, quasi ogni anno).
Oggi Gianni Oliva (La grande storia della Resistenza (Utet, euro 25) sottolinea che si aprì a Napoli l’offensiva vincente: dobbiamo proprio ridiventare orgogliosi di essere napoletani – non solo per il Napoli Calcio, nonostante Gomorra. Perché se alla proposta di decimazione risposero quelli che si armarono, ce ne furono altri trentamila di napoletani, che non si presentarono alla coscrizione obbligatoria…
La città risponde, anche se spesso la politica nazionale e locale non sanno che pensare a sé. Le Quattro giornate di Napoli furono un episodio importante nel destino della città, ma anche l’inizio dell’insurrezione armata dei popoli, nell’Italia dove regnava Giustizia e Libertà, sostenuta dal Partito d’Azione, il partito che riprendeva ideali e nome da Giuseppe Mazzini. E finalmente con Giovanni Oliva – finalmente – la Torino della UTET nega quel che per anni ha sostenuto il salernitano savoiardo Giovanni De Luna, riconosciuto storico del Pd’a, diversamente da chi scrive. Contarono molto come sempre i meridionali nel disegnare il liberalsocialismo, nella stessa direzione dell’amico Gobetti, una delle prime vittime del fascismo come Giovanni Amendola che aveva l’ufficio al Ponte di Tappia. E per tutto il ventennio ebbe chi resistette come de Ruggiero e Craveri, come ad Avellino Guido Dorso, che aveva pubblicato La Rivoluzione Meridionale, riprendendo anche nel nome quella Rivoluzione liberale di cui aveva parlato Gobetti. Uno spirito rivoluzionario che non hanno mantenuto i potenti uomini della Repubblica che ne ereditarono casa e biblioteca e agirono come potenti politici italiani, ben lontani dalla Campania. Come avevano già fatto gli Spaventa e fecero dopo tanti altri.
Come già nel 1799, Napoli anticipò i tempi con una rivoluzione – come nel ‘500 Bruno e Campanella con la loro Città del Sole. Nel ’99 Napoli aveva creduto in una piccola rivoluzione francese da attuare con Championnet, un generale che profittando dell’essere Napoleone relegato in Egitto dall’incendio della flotta, sperava di prenderne il posto.
Tutti ricordano questa rivoluzione durata sei mesi: ma non sottolineano che essa fu la squilla di tromba del Risorgimento: come raccontarono Dumas e De Roberto, il fuoco a Napoli continuò a bruciare – i Carbonari nel 1820-21 ridiedero fuoco alle polveri con Guglielmo Pepe, uno dei rivoluzionari del ’99. La loro miccia accese i fuochi del Risorgimento, ma Garibaldi fece recuperare ai Savoia quel che avevano speso nelle guerre d’indipendenza – ma con la loro pochezza di sovrani piccoli piccoli, non seppero curare la ricchezza del Mezzogiorno, lo ridussero in povertà: lo dimostrarono Guido de Ruggiero e Benedetto Croce, tentando di costruire una lettura alternativa dei fatti italiani. Vedi del primo Il pensiero politico meridionale e La Storia del liberalismo europeo, del secondo Storia del regno di Napoli.
Adolfo Omodeo, azionista come Craveri, de Ruggiero, Garosci, Ragghianti e tanti altri crociani, cercò di convincere Croce a dare una svolta seria al paese: ma purtroppo preferì evitare di dare ragione al marito di Elena, la figlia prediletta, Raimondo Craveri… e a tutti quegli allievi grandi e ben noti. Croce diede ascolto ad Alfredo Parente, il mite critico musicale, che volle invece rifondare il PLI.
Ma il destino del PLI in Italia era stato diagnosticato nei primi anni ’20 da Guido de Ruggiero: era in Italia il partito conservatore. Essendo impossibile agli eredi dei vari staterelli monarchici di riunirsi in un sol partito, erano tutti confluiti nel PLI, che quindi non aveva certo l’anima di sinistra, fabiana, quella poi ripresa da Blair, che convince de Ruggiero già allora, quando andò a conoscere i coniugi Webb a Londra. Altroché anima liberaldemocratica un po’ socialista, il PLI era la Destra più destra, potenzialmente eversiva – che poi prese corpo nel fascismo che appoggiarono sino al ’24. Questo movimento poi seppe ben acconciare i ragionamenti gerarchici ed aristocratici con quanto rosso basò a confondere le acque e acquistare la fiducia delle masse, che non studiavano politica. Ed ecco la ricetta del populismo, teoria ben confusa e buone capacità comunicative.
Le quattro giornate ebbero così un aspetto simbolico, che allora fu sottolineata da Radio Londra, che insegnò agli Italiani a costruire le radio a galena, diffuse da tempo altrove, dove non esisteva il monopolio dell’informazione come in Italia. La ribellione si diffuse e vinse, appoggiata dalle truppe americane – Benedetto Croce profittò della propria fama internazionale e della vitalità di Napoli per dare all’Italia il suo primo presidente della Repubblica, il napoletano Enrico De Nicola.
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