Mese: Maggio 2019

Il “Leonardo” e Bergson

di Redazione

Il “Leonardo” uscì dal gennaio 1903 all’agosto 1907, con periodicità irregolare, per complessivi 25 fascicoli. In occasione del centenario del primo numero è comparsa su internet una rivista, E-Leonardo, contenente un articolo di Antonio D’Amicis che la Redazione riproduce per dare pubblicità alla nuova rivista ed all’antica: 

Un «giornale assolutamente necessario»: il Leonardo 1903-1907

Ogni volta che una generazione s’affaccia alla terrazza della vita pare che la sinfonia del mondo debba attaccare un tempo nuovo. Sogni, speranze, piani di attacco, estasi delle scoperte, scalate, sfide, superbie – e un giornale. […] questo giornale assolutamente necessario che dev’esser come lo stiramento de’ muscoli di un prigione appena desto e disciolto, come il primo canto spiegato di una bocca che dovette fin’oggi mormorare soltanto; questo giornale che doveva essere, che voleva essere e poteva essere la prima vendetta di tutte le malinconie, lo sfogo invocato di tutti gli sdegni, l’arma di tutte le sfide, il diario dei nostri sogni, la cartuccia delle troppo attese demolizioni, il getto e lo zampillo arcobalenante dei pensieri più temerari – questo famoso giornale finalmente si fece.

G. Papini, Un uomo finito

E’ il 4 gennaio 1903 – Papini compirà 22 anni tra pochi giorni, Prezzolini è un anno più giovane – e il primo numero del Leonardo è pronto. Per cinque anni, la rivista presenterà filosofi e idee provocando polemiche e suscitando dibattiti, porterà la filosofia fuori «dai circoli ristretti dei competenti» senza mai sottrarsi al confronto – secondo le parole del suo fondatore – «[con] nessuno di coloro che l’hanno lett[a]», per finire ‘assassinata’ dal proprio stesso fondatore con la motivazione paradossale del troppo successo. Continue reading “Il “Leonardo” e Bergson”

Il pericolo dell’estetizzazione della violenza

di Vincenzo Curion

Nel 1991, Joel Black, professore di letteratura dell’Università della Georgia, affermò che: «Se, tra tutte le azioni umane possibili, ce n’è una che evoca l’esperienza estetica del sublime, di certo si tratta dell’omicidio». Black notò che «Se l’omicidio può essere una forma d’arte, allora l’omicida è una sorta di artista — o un anti-artista — la cui arte si manifesta quale “performance” e la cui specificità non consiste nel “creare”, ma nel “distruggere”». Quest’idea dell’esaltazione estetica dell’omicidio quale manifestazione di elementi estetici è di vecchia data, e risale al 1890. Di poco successiva la traccia nel Manifesto Futurista di Marinetti in cui”La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno” o anche “Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo”. Sembrerebbe dunque che, l’idea di indagare il malvagio attraverso l’estetica non sia tanto recondita. Ai giorni nostri il mondo dell’arte in senso lato e, in particolare, le arti visive e la letteratura hanno estetizzato la violenza al punto da renderla una forma d’arte autonoma. Questo fatto non è da poco giacché il processo di estetizzazione comporta conseguenze sociali non banali. Il primo autore a evidenziare le conseguenze sociali dell’estetizzazione fu, alla fine dell’Ottocento, Georg Simmel, il quale era convinto che solamente comprendendo pienamente la sfera sociale dell’estetica fosse possibile cogliere la vera natura delle società moderne. Che cioè analizzando come i linguaggi artistici si applicano nella quotidianità a molteplici forme d’espressione si potesse adeguatamente interpretare il sistema sociale. Analizzando l’aspetto sociale dell’estetizzazione della violenza staremmo dunque esaminando il nostro sistema sociale. Continue reading “Il pericolo dell’estetizzazione della violenza”