Anno: 2016

Che cos’è il narcisismo (1)

di Dario Romeo
Caravaggio (attrib.), Narciso, 1597-99
Caravaggio (attrib.), Narciso, 1597-99

Ogni soggetto, ogni argomento, ogni evento possono essere osservati da vari punti di vista. Se, ad esempio, chiedessimo ad un medico di rispondere alla domanda che “cos’è l’uomo?” secondo la sua disciplina, forse ci risponderà “E’ un organismo vivente con determinate caratteristiche, soggetto a determinate patologie”. Se lo chiedessimo ad un sociologo che ci risponderà secondo la sociologia, ci darebbe una risposta del tutto diversa, così come se lo chiedessimo ad un teologo o, ancora, ad uno psicologo. Insomma: il soggetto di indagine è il medesimo, ma la prospettiva dalla quale lo si esamina può variare. Dunque, anche nel nostro caso, è necessario chiarire la prospettiva di indagine. Se il soggetto è il narcisismo, il punto di vista dal quale verrà esaminato è un punto di vista filosofico.

  1. Il punto di vista filosofico.

Cosa significa osservare filosoficamente qualcosa? Credo che, chi ha la volontà di raggiungere il punto di vista filosofico, usufruisce del punto di vista più bello… Già! Perché? Perché il punto di vista filosofico è il punto di vista pan-oramico.  E’ il punto di vista che guarda (orào) il tutto (pan). Non si ferma allo sguardo dei particolari in se stessi. Non guarda il mare e null’altro, o la barca che sta attraversando il mare e null’altro, o il sole che sta tramontando e null’altro, o i monti e null’altro, ma coglie il sole, il mare, i monti, la barca in uno sguardo che mette in relazione tutte queste parti. Cosa ne risulta? L’armonia del tutto! Un panorama mozzafiato che si chiama essenza. Esattamente è il che cos’è della cosa che lo sguardo filosofico afferra.

Il che cos’è di una cosa non è da immaginare come una sorta di nucleo racchiuso nella cosa, ma come qualcosa di aperto. Il che cos’è della cosa si scopre nella relazione che quella cosa ha con l’altro da sé. Nell’esempio di prima, il che cos’è della barca lo si coglie in relazione al mare. Ciò che ci dice il che cos’è è la definizione. De-finire una cosa, significa applicare un finis, un confine. Il confine separa ma unisce. Separa, ad esempio, l’Italia dall’Austria, ma rende indispensabile all’Italia, per essere definita, confinare con un’altra nazione. Ecco il punto di vista filosofico: quello che scoprendo la relazione tra le parti ne coglie il tutto che costituiscono.

Vi sono degli strumenti propri che permettono alla filosofia di avverare il suo sguardo di essenza. Essi sono il genere e la differenza specifica. Dico: che cos’è l’uomo? L’uomo è animale (genere) razionale (differenza specifica). In tal modo ho applicato due confini. Uno un po’ più largo, il genere, nel quale l’uomo rientra assieme al cavallo, all’ippopotamo, al cane etc., uno più stretto che, a rigore, è il vero e proprio confine, quello che distingue l’uomo da ogni altro animale, che indica la differenza, appunto, che c’è tra l’uomo e gli altri animali.

Il narcisismo dal punto di vista filosofico. Sicché, venendo al nostro tema, dovremmo trovare il genere e la differenza del narcisismo, così da poterlo definire. Dico che il narcisismo è una specie di individualismo. L’individualismo è dunque il genere nel quale il narcisismo si colloca. Dunque, prima di conoscere la differenza specifica e tutte le caratteristiche proprie di questo peculiare tipo individualismo dovremo prima porci la domanda “che cos’è l’individualismo?” così come, se non lo sapessimo, dovremmo porci la domanda “che cos’è l’animale?” per capire che cos’è il cavallo. Ciò ci porterà dentro ad una avvincente indagine metafisica che spero il lettore voglia intraprendere con me. Gli prometto che dall’alto della cima, si godrà di un panorama meraviglioso e lo invito a non scoraggiarsi laddove la salita possa sembrare faticosa. Io provvederò, per quanto mi è possibile, a condurlo per i sentieri meno ripidi e anche, di fornirgli un po’ di ristoro lungo il percorso.

  1. Che cos’è l’individualismo?

L’individualismo è una nozione costituita tramite la riduzione della totalità ad una parte. Nella fattispecie è la riduzione della totalità dell’essere umano, al suo mero aspetto individuale. Per capire ciò dobbiamo riferirci alla lezione di Maritain e della filosofia tomista in generale. Per chiarezza si terrà in considerazione il testo La persona e il bene comune di Maritain, testo nel quale sono compendiate queste nozioni.

Nell’essere umano vi sono due principi: uno materiale che chiamiamo individualità ed uno spirituale che chiamiamo personalità. Insieme sono l’uomo nella sua totalità e per questo sono detti “com-principi”. L’individualità è principio di distinzione. Nelle cose di quaggiù, non vi sono le pure forme, bensì, composti di forma e materia. Principio di individuazione è la materia: è essa che occupa uno spazio ben preciso, che stabilisce un confine tra l’uno e l’altro ente. E’ dunque principio di differenziazione, di chiusura, di distinzione e separazione: «Si potrebbe dire che essendo in me tutto ciò che esclude da me tutto quel che sono gli altri uomini, è la strettezza dell’ego, sempre avida e sempre minacciata di prendere per sé»[1]. Capiamo così, che all’individualità afferiscono tutte quelle dimensioni dell’essere umano che dicono la sua materialità e possono genericamente essere chiamate bisogni.

Vi è poi il principio personale. Esso afferisce alla forma, principio che dà specificazione alla materia e la fa esistere propriamente. Essa è ciò per cui l’uomo è in grado di trascendere i suoi bisogni immediati in vista di un valore: «Le persone non esisterebbero appieno senza i valori, come i valori non esistono per noi se non in virtù del fiat veritas tua che dicono loro le persone.»[2].

E’ ciò attraverso cui l’uomo, possedendo se stesso, ovvero, non essendo schiavo dei suoi bisogni, può decidere di donarsi. Lo stesso Maritain afferma che «Per andare alla scoperta filosofica della personalità, la via privilegiata, a quanto sembra, è di considerare la relazione tra la personalità e l’amore»[3]. Infatti: «Per il solo fatto che io sono una persona e dico me stesso a me, io domando di comunicare con l’altro e con gli altri, nell’ordine della conoscenza e dell’amore. […] Ciò che si trova nel più profondo della dignità della persona umana, è che essa non ha solamente con Dio una somiglianza comune che hanno tutte le creature, essa gli rassomiglia in proprio, essa è ad immagine di Dio perché Dio è spirito ed essa procede da Lui avendo per principio di vita un’anima spirituale, uno spirito capace di conoscere, amare ed essere elevato dalla grazia a partecipare della stessa vita di Dio per conoscerlo ed amarlo alla fine come Egli stesso si conosce e si ama»[4].

Si può ora agevolmente capire cosa si intende metafisicamente per “individualismo”. L’individualità è un principio presente nell’uomo e non è da rinnegarsi come qualcosa di trascurabile o, addirittura, impuro. Tuttavia ridurre la totalità dell’uomo a questo mero principio è un errore che ha nome individualismo.

Ecco il primo dei momenti di ristoro promessi. Presento la canzone Vorrei di Francesco Guccini come sintesi dilettevole del concetto di persona come principio di apertura verso l’altro (video), di comunicazione di amore e conoscenza e di quello di individualità come chiusura dell’io in se stesso. In questa canzone il cantautore mostra come, senza l’apertura provocata dalla comunione con la persona amata, la comunicazione con lei di esperienze, di pensieri, di conoscenza e di affetti, in un certo modo, smette di essere: “perché non sono quando non ci sei”[5] e si richiude in quella che viene chiamata da Maritain (come sopra abbiamo riportato) ristrettezza dell’ego: “e resto solo coi pensieri miei ed io”.

GF SAGGI Romeo Che cos’è il narcisismo (1)

[1] Maritain, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 1963, pp. 22-23.

[2] E. Mounier, Il personalismo, Garzanti, Milano, 1952, cit., p.  43.

[3] Ibid. pag. 23.

[4] Ibid. pag. 26

[5] E’ da segnalare che, metafisicamente parlando, la pura materia è propriamente nulla! Solo la materia signata quantitate è ente, e l’individualità è principio materiale. Stupisce come, l’artista quando esprime un’opera di qualità, sappia cogliere profondissime verità filosofiche pur senza essere consapevole di esse.

Ma la realtà è numero? O sono le idee? (5)

di Stefano Ulliana
LE DIECI COPPIE DI CONTRARI
LE DIECI COPPIE DI CONTRARI

Aristotele Metafisica, 990° 18 – 993° 27

Aristotele, Metafisica. A cura di Giovanni Reale. Milano, Rusconi, 1998 (1993¹). Pp. 51 e segg.

I passi di Aristotele e il commento

(23) In generale, ricercare gli elementi degli esseri senza aver distinto i molteplici sensi in cui si intende l’essere, significa compromettere la possibilità di trovarli, specialmente se ciò che si ricerca in questo modo sono gli elementi di cui gli esseri risultano costituiti. Non è certamente possibile ricercare di quali elementi sia costituito il fare o il patire o il dritto, ma, se mai questo è possibile, lo è unicamente per le sostanze. Sicché, cercare gli elementi di tutti gli esseri o credere di averli trovati è un errore.

Mentre, quindi, Platone è il filosofo della chiusura, Aristotele diventa il pensatore che salvaguarda una sorta di apertura, anche se certamente e con grande attenzione non quella precedentemente affermata dai Presocratici, che invece si perita quasi sempre di cancellare dal novero delle possibili alternative. Così l’apertura delle differenze aristotelica conserva una certa dose di restrizione privilegiata: la regolazione primaria costituita dalla serie delle principali categorie non può infatti essere assoggettata al sopraggiungere della determinazione, così come avrebbe invece voluto un filosofo, che seguisse la metodologia d’intervento razionale platonica.

(24) E come si potrebbero apprendere, poi, gli elementi di tutte le cose? In effetti, è evidente che in precedenza non si dovrebbe possedere alcuna conoscenza. Infatti, nello stesso modo che chi impara geometria può ben avere altre conoscenze, ma di quelle cose di cui tratta questa scienza e che egli vuol imparare non ha in precedenza conoscenze, così avviene anche per tutte le altre scienze. Di conseguenza, se ci fosse una scienza di tutte le cose, quale alcuni affermano, colui che la impara dovrebbe, in precedenza, non sapere niente. Invece, ogni tipo di apprendimento ha luogo mediante conoscenze che precedono totalmente o parzialmente; e questo, sia che si proceda per via di definizione (occorre infatti che gli elementi di cui consta la definizione siano in precedenza conosciuti e noti); e così avviene anche per la conoscenza per via di induzione. Se, poi, questa conoscenza fosse innata, sarebbe cosa ben strana, perché possederemmo, senza saperlo, la più elevata delle scienze.

Così la determinazione d’essere – che anche Aristotele accetta – deve provenire dall’applicazione dei due principi d’identità e di non-contraddizione e deve risolversi nella delimitazione e definizione di sostanze singole e non universali. Gli universali infatti restano fuori da ogni determinazione d’essere, perché prioritariamente funzionali – come categorie – alla determinazione astratta dei modi di esistenza delle sostanze singole. Senza questa prioritaria funzionalità non si potrebbe parlare della possibilità di un apprendimento, ovverosia del passaggio da una condizione di ignoranza ad una di conoscenza. In questo senso l’apprendimento aristotelico muove per primo dall’applicazione lineare e consequenziale dell’ordine delle categorie, per procedere al successivo uso dello strumento linguistico di nominazione e di primo giudizio (il genere e la specie nella “definizione”) e per concludersi – attraverso l’uso intermedio dell’induzione – nell’applicazione fondata e ragionata del meccanismo sillogistico. Non può dunque esistere una sapienza superiore e prima, univocamente determinante nei confronti di tutte le altre discipline scientifiche, proprio perché questa forma di sapienza avrebbe i connotati e le caratteristiche della sapienza platonica e, soprattutto, della sua modalità univocizzante. Resta in Aristotele la richiesta dell’universalità e della necessità per la conoscenza, ma decade la necessità di una forma primaria e cogente, costringente, per la conoscenza in generale. Ciò non impedirà che Aristotele stesso argomenti intorno ad una Sostanza prima (Dio), o che la qualifichi – al termine del Libro Λ – attraverso l’immagine e la figura dell’unico comandante dell’esercito. Anche se, anche qui, il valore dovrebbe forse essere attribuito all’orizzonte di scopo ed alla sua potenza direttrice e regolativa, più che all’atto di un’unica invariabile determinazione.

(25) Inoltre, come sarà possibile conoscere gli elementi di cui le cose sono costituite, e come ciò potrà risultare evidente? Anche questo è un problema. Si potrà sempre discutere su questo punto, così come a proposito di certe sillabe: alcuni dicono, infatti, che la sillaba ZA è composta da D, S, A: altri sostengono, invece, che si tratta di un suono distinto e che non è riducibile ad alcuno dei suoni conosciuti.

Mentre i Platonici parlano, poi, di elementi, essi li devono intendere inclusi e nascosti nella relazione determinativa. Ma in questo modo essi li sottraggono all’apprensione ed alla verifica. Al confronto d’opinioni fra i saggi o gli esperti. Mentre la loro conoscenza sarà dogmatica, perché imposta secondo una pregiudiziale univocizzante di determinazione, quella suggerita da Aristotele conserverà l’apertura di un confronto sul giudizio e sull’argomentazione successivamente sviluppata.

(26) Inoltre, come si potranno conoscere gli oggetti dati dalla sensazione, senza avere la sensazione stessa? Eppure dovrebbe essere così, se gli elementi di cui sono costituite tutte le cose sono gli stessi, così come tutti i suoni composti risultano dai suoni elementari.

Essendo soprattutto una conoscenza che muove insieme al movimento stesso della sensazione e che lo accompagna nel suo venire ad essere in modo determinato, essa manterrà sempre aperta la relazione osservativa e la dialettica sussistente fra il piano distinto delle definizioni e conclusioni e quello egualmente distinto delle sostanze singole e particolari (sensibili propriamente dette). Al contrario lo sviluppo diairetico e dialettico platonico conserva un carattere previamente inclusivo, che impedisce lo sviluppo e la trasformazione della conoscenza, così come degli enti esistenti.

Conclusioni

Dunque, da ciò che sopra si è detto, risulta evidente che tutti i filosofi sembrano aver ricercato le cause da noi stabilite nella Fisica, e che non si può parlare di alcun’altra causa all’infuori di queste. Ma essi hanno parlato di queste cause in maniera confusa. E, in un certo senso, tutte da loro sono state menzionate, mentre in un altro senso non sono state affatto menzionate. La filosofia primitiva, infatti, sembra che balbetti su tutte le cose, essendo essa giovane e ai suoi primi passi.

Così Empedocle afferma che l’osso esiste in virtù di un rapporto (formale). Ora, questo non è altro che l’essenza e la sostanza della cosa. Ma, similmente, è necessario o che anche la carne e ciascuna delle altre cose sia in virtù di un rapporto, oppure che non lo sia nessuna. Allora, e carne e ossa e ciascuna delle altre cose saranno in virtù di questo rapporto, e non in virtù della materia che Empedocle ammette, ossia fuoco, terra, acqua e aria. Ma Empedocle avrebbe di necessità accettato questo, se altri glielo avessero detto; egli, però, non lo ha detto chiaramente. Intorno a questo si sono già dati chiarimenti sopra.

Ma dobbiamo tornare nuovamente su alcuni problemi che si potrebbero sollevare su queste stesse dottrine delle cause: forse, dalla soluzione di questi problemi potremo trarre qualche vantaggio per la soluzione di ulteriori problemi, che porremo più avanti.

GF saggi Ulliana Ma la realtà è numero O sono le idee – Aristotele (5)