Anno: 2016

Pompei e l’Egitto: il Nilo tra noi

di Anna Irene Cesarano

nilo-pompeiTorino, Pompei e Napoli: che c’entrano queste belle città con l’Egitto e il Nilo con tutto il fascino esotico ed esoterico che la terra egiziana emana? Sono tutt’e tre sedi espositive di una mostra a dir poco meravigliosa, “Egitto Pompei”, organizzata grazie alla collaborazione tra il Museo Egizio, la Soprintendenza di Pompei e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, supportati dall’ organizzazione di Electa.

La rassegna è partita prima da Torino il 5 marzo (fino al 4 settembre 2016), per poi scendere, arrivando a Pompei dal 16 aprile al 2 novembre 2016 e infine approdare dal 28 giugno a Napoli. L’intento espositivo è quello di ripercorrere il filo che unifica tre culture apparentemente tanto diverse, ma legate da una storia più che bimillenaria e da un fascino esoterico che si respira tra le acque del Mediterraneo e le sponde del Nilo. Dai faraoni agli imperatori romani ci incammina un viaggio che ripercorre il tragitto con una narrazione fatta di oggetti e immagini che raccontano di un tempo passato in cui popoli e culture si mescolavano su nuove terre dando vita a nuovi linguaggi sincretici. Stranamente, un modello per il presente, visto che lo scontro culturale accendeva più la curiosità e l’imitazione che l’irritazione e la guerra: potere della cultura!
Il culto egizio e i motivi iconografici rivivono in questa mostra va da Alessandria d’Egitto e approdando a Pozzuoli in Campania, poi a Cuma e Benevento e infine Pompei, passando dalla greca Delo.

Quanto la cultura egizia ha influenzato l’Italia romana? E quali sono stati gli effetti di questa contaminazione artistica su tutti gli aspetti della vita a partire dall’epoca ellenistica fino alla Roma imperiale? La mostra presenta opere di maestosa bellezza, un percorso di grande fascino e a tratti misterioso che attraverso pitture, sculture e vasellame mostrerà in oggetti, reperti, opere d’arte, la grande influenza dell’Egitto tra le civiltà del Mediterraneo.

La prima tappa torinese al museo Egizio ha inaugurato in grande stile questa mostra con l’apertura al grande pubblico di uno spazio di 600 mq con 330 pezzi, di cui la maggior parte prestati dalla soprintendenza di Pompei e dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, mentre altri erano provenienti da musei italiani e stranieri.  Il Museo Egizio è tanto ricco da aver fornito a queste ad esso esterne il giusto complemento con la sua esposizione stabile. Così sarà a Napoli, dove sono raccolte tanti resti dei culti di Iside, che non sono ovviamente entrati nella mostra.

La seconda tappa, a Pompei, alla Palestra Grande recentemente restaurata. Vi saranno statue che appartengono al nuovo regno (XVI- XI sec. a.C.), l’imponente statua del faraone Thutmosi I (XV sec. a.C.), e le sette statue raffiguranti la divinità egizia Sekhmet (XIV sec. a.C.) dalla testa di leone. Grazie all’estro creativo dell’architetto Francesco Venezia, la mostra presenta tutto ciò con un tocco di costante originalità. Si possono ammirare le meravigliose statue di granito prestate dal museo Egizio di Torino, che connotano la tanto famosa iconografia egizia e la relativa mitologia.

Il percorso si snoda attraverso l’esposizione nelle sale della mostra dei cosiddetti Aegyptiaca, i manufatti artigianali e preziosi usati in Campania come amuleti e talismani dell’antico Egitto, per scongiurare la malasorte. Direi quasi magico l’accompagnamento di un video originale di Studio Azzurro intento ad evocare e far rivivere gli scambi culturali, religiosi ed economici avvenuti tra Pompei e l’Egitto dalla fine del II sec. a.C.

Per finire, sono in mostra anche affreschi pompeiani raffiguranti scene con pigmei e animali esotici. Esternamente la mostra si apre al pubblico con un itinerario egizio che va dal Tempio di Iside alle domus abbellite da motivi e decori egizi, come la casa dei Pigmei. Ciò fa immergere lo spettatore pienamente nel fascino di una cultura senza tempo. Molto importante a Pompei ed a Napoli il culto Isiaco della dea egizia della maternità, fertilità e della magia: infatti il tempio di Iside è stato oggetto di particolare attenzione con minuziosi allestimenti atti a riprodurne l’arredo e gli affreschi, in parte staccati e portati al MANN al tempo della scoperta: d’altronde, la sede fu adibita a Museo da re Carlo essenzialmente per la Collezione Farnese che lui portava a Napoli ed i reperti di Pompei, che iniziavano ad attrarre folle di visitatori, ampliando a Napoli il Tour.

L’ultima tappa, quella napoletana dal 28 giugno al Museo Archeologico di Napoli MANN, si concentrerà sui culti orientali che dall’antico Egitto sono arrivati a noi trovando ampia diffusione, integrando e completando il discorso iniziato già negli altri due percorsi espositivi.  Qui il cammino del turista potrebbe poi proseguire seguendo le tracce del culto isiaco presenti nella città, dove nel centro antico si trova ancora il Corpo di Napoli, raffigurante il Nilo, per l’essere quella parte dei decumani abitata da Egiziani e sede del Tempio di Iside, che pare sia il terreno su cui ora poggia la Cappella Sansevero.

W ICONOLOGIA Cesarano Pompei e l’Egitto il Nilo tra noi

Docimologia e valutazione nella scuola

di Alessandro Savy – C.Gily

docimologiaLa Docimologia è il ramo più noto della pedagogia, ma si deve sempre ricordare che è un insieme di tecniche sperimentali, che ogni docente modifica di quando in quando per approssimarli con più efficacia. Perché lo studio dei sistemi di valutazione, delle prove di verifica è sempre una difficile traduzione in numeri e giudizi che si configura come lo snodo fondamentale per capire come numeri e giudizi vadano considerati non in sé, ma come simboli tendenti ad esplicitare le competenze accertate di ciascuno. Docimologia etimologicamente significa la scienza delle prove di esame dei saperi, la pagella ne è l’epifenomeno che si collega al problema del riconoscimento, ch’è sempre aperto per tutti, e che insiste fortemente sull’autostima, essenziale elemento della motivazione al conoscere e agire. Oggi la valutazione deve muoversi su molti versanti, da un lato i sistemi di valutazione generalizzati, nazionali ed internazionali, da un lato la dinamica dell’apprendimento, conciliando le opposte direzioni in una valutazione che sappia essere stimolo efficace e non spauracchio lesivo, che può portare risultati presenti ma che aspirano ad interrompere quanto prima la ricerca. È una dimensione autentica della pedagogia l’educare mediante l’interesse e non le punizioni, Amos Comenio fondò l’autonomia della pedagogia dalla filosofia con la Didactica Magna (1630) per opporsi al mancato rispetto dell’allievo nelle pene corporali, che contribuivano a rendere poco piacevole lo studio. Fine dell’educatore sempre ribadito da quei tempi è il saper trasformare l’ignoranza in cultura conquistandosi l’interesse e la motivazione allo studio – e da allora le didattiche sono state molte, dal ritorno alla natura di Rousseau all’educazione mediante lo studio disciplinare di Herbart, due secoli fa alle didattiche attive del secolo scorso. Eppure lo scopo è conseguito nella scuola solo per l’abolizione delle pene corporali, la dinamica vitale di quegli esempi luminosi si è persa nel tempo, il rispetto del discente spesso è diventato rispetto dell’ignoranza. Il problema della didattica oggi è di elaborare prove che correggano il difetto del lassismo che penalizza il sapere, senza tradire il rispetto del meglio che c’è in ogni uomo e che richiede formazione per essere sviluppato a pieno. Spingere a nuovi apprendimenti insegnando con nuove didattiche è la via cui oggi offrono nuove possibilità le nuove tecnologie. Seguendo e sviluppando le vie della tradizione.

La valutazione e la programmazione sono due utili risorse che la scuola offre al docente, che possono validamente aiutare il suo compito, oggi che i linguaggi del sapere sono tanto trasformati dalle nuove tecnologie e dai problemi cognitivi da creare problemi di autodidattismo nel parlare linguaggi di cui la scuola alfabetizza solo la parte in parole e musica: il discorso delle immagini, erroneamente ritenuto pari alla sensazione (errore incredibile, vista la contemporanea insistenza sulla tecnica delle riprese, del look,  dell’attorialità…). Non si educa all’immagine in una scuola dove i libri, soprattutto nel metatesto digitale, parlano linguaggi di parole ed immagini.

È un problema sottovalutato nella sua difficile complessità, cui il mondo della valutazione può dare risposta trovando le giuste vie per valutare la competenza dei saperi non verbali, mentre s’interessa solo a porre l’attenzione sulla comunicazione non verbale (CNV), psicologicamente. La valutazione può realizzare la giusta attenzione didattica, perché il processo è sistematico e continuo, fonda su criteri ed è elaborato collegialmente. Il suo compito è misurare le prestazioni dell’alunno, l’efficacia degli insegnamenti e la qualità dell’offerta formativa; di fornire le basi per un giudizio di valore che consenta le migliori decisioni sul piano pedagogico (valutazione diagnostica e valutazione formativa) e sul piano personale, unendo alla valutazione sommativa quella certificativo- comunicativa. Questo potrà dare la possibilità di discernere in questi quadri lo stato di saperi, abilità e competenze, i tre lati della formazione che sono il perno dell’educazione europea, senza dimenticare la ragione emotiva, che regola la motivazione e l’interesse, molla di ogni sapere di ricerca. l’UE infatti raccomanda di educare ad una conoscenza problematica – ma la valutazione ha difficoltà ad entrare nel campo di queste abilità relazionali e motivazionali, altrimenti che con giudizi individuali. La ricerca ha posto il problema, ma le soluzioni sono lontane, essendo gli sforzi della pedagogia concentrati sulle nuove tecnologie, per la rivoluzione che portano immediatamente nei saperi, nei libri, nel modo di insegnare. La didattica invece può avviare in questa direzione momenti sperimentali, che si affianchino ai tradizionali per completare il lavoro della valutazione sui versanti che il nuovo millennio addita al ricercatore.

La valutazione formativa o continua si configura come un monitoraggio dei processi di apprendimento ed ha una funzione regolativa dell’attività educativa e didattica, sia da parte del docente, sia da parte dell’alunno. Ciò vale certo per le didattiche tradizionali, ma ha un ruolo essenziale nelle nuove, che si misurano con una tecnologia in perenne accelerazione, richiedendo un continuo riscontro del progresso e del regresso: è indubbio ad esempio che la memoria si indebolisce grazie alle nuove tecnologie, e la funzione della memoria, insegnano la teoria e la scienza della conoscenza, non è solo di ricordare ma anche di progettare. La valutazione può orientare il processo didattico e costituire una risorsa dell’educazione se, invece di presentarsi come ‘pagella’, sa articolare in modo costruttivo una serie di valutazioni diverse nella sostanza, in cui nel verificare gli obiettivi didattici tiene conto dell’educazione nella sua complessità:

  • La valutazione iniziale è orientata ad avere informazioni sulle conoscenze in entrata dell’allievo prima di un intervento didattico per assicurarsi che abbia, o non abbia, le precondizioni che consentono le attività che seguiranno; questa valutazione richiede un accertamento analitico con prove strutturate e semistrutturate. Il risultato porta alla valutazione predittiva, basata sul concetto di sviluppo prossimale di Vigotskij: l’espressione designa la valutazione del risultato possibile in un dato tempo per un dato studente; la congruità di questa valutazione può sfruttare le sue capacità senza indurlo in difficoltà emotive chiedendo troppo; l’ansia è nociva alla motivazione allo studio.
  • La valutazione in itinere, che è detta anche formativa o intermedia, è la risorsa che il docente deve apprendere ad usare. Essa ha lo scopo esplicito ed eminente di far emergere le difficoltà di alcuni e attivare processi di soluzione del problema (corsi di recupero)dei saperi e abilità, sostenendo la formazione delle competenze aiutando la presa di coscienza delle superficialità presenti; ma ha poi anche lo scopo di mettere in opera azioni di stimolo, premi e punizioni, di affiancamento alla comunità di apprendimento con visite di studio, con lavori in team e relativi colloqui nell’ambito dei laboratori: tutto ciò per stimolare l’apprendimento e risolvere il problema più comune, la scarsa motivazione ad apprendere. Essa si origina dai più diversi motivi, la scuola la cura didatticamente, rimandando cure d’altro genere alle istituzioni sanitarie e psicologiche. Nel segno di Herbart, l’educazione all’equilibrio, al gusto, alla ricerca – compito della scuola – si compie attraverso le materie: imparando a scrivere correttamente, oppure a leggere ad alta voce una poesia, si apprende il gusto delle cose belle, come ha dimostrato ogni bravo professore anche prima che la didattica fosse scienza; ma questo non va lasciato alla genialità dei docenti, va invece studiato in modo specifico, come tutte le arti. Perché educare è un’arte, e tutti gli uomini vi si esprimono anche se non sono docenti, perché educare è l’arte della comunicazione. Questa valutazione regolativa si attua rilevando informazioni progressive nel tempo, misurando gli apprendimenti, con misure di rilevazione statistica e progettuale, oppure con colloqui di osservazione partecipata registrati in una delle forme standard (diari di bordo). Questa valutazione può rimodellare il processo dell’istruzione, inserendo la necessaria storicità del giudizio tra le necessarie valutazioni in misura stabile.
  • La valutazione finale o sommativa è orientata a “tirare le somme” di quello che si è appreso nel corso dell’intervento didattico; deve essere analitica (prove strutturate, semi strutturate, non strutturate), per consentire, specie nei nuovi cicli, di non dover ripartire da zero nella valutazione. Il percorso scolastico si considera anno per anno ma in una linea di sviluppo che mostra un bilancio con una direzione da considerare per capire se il lavoro fatto conferma la valutazione predittiva dell’inizio. Ciò consente l’autovalutazione, ma anche la possibilità di indirizzare gli allievi nello studio quando si presentano delle scelte, come è sempre dopo l’esame di terza media. Il compito sarà affrontato meglio se il percorso verticale di laboratori disciplinari e meta disciplinari sia stato iniziato nella scuola primaria: questo percorso attivo e costruttivista di valutazione ed autovalutazione, singola e comunitaria, è tipica del lavoro di team, dalle falegnamerie alle ricerche di gruppo.

Per quanto attiene alla misurazione analitica, numerica, necessaria per l’efficiente comunicazione di un giudizio complesso, essa deve sopperire alla sua insufficienza unendo alla validità ed attendibilità il giudizio articolato ricavato nelle diverse valutazioni. Così si possono notare sia le eccellenze, che i motivi didattici delle insufficienze, che le differenze tra inizio e fine percorso.

Se in termini generali una misurazione è valida se l’oggetto misurato corrisponde all’oggetto da misurare, la validità deriva dalla congruenza tra oggetto da misurare e strumento di misura: deve intendersi così l’importanza di mettere a punto strumenti di valutazione efficaci. Questa valutazione si considera attendibile se, ripetuta in tempi diversi dallo stesso osservatore, o eseguita nello stesso tempo da osservatori diversi, fornisce risultati uguali o simili, o comunque con scarti di entità contenuta.

La docimologia si è evoluta nel corso del secolo XX rivendicando l’autonomia della didattica come scienza, cosa ormai riconosciuta ed istituzionalizzata. L’evoluzione non significa però che i problemi siano superati, ma solo che è possibile vedere ed utilizzare il sistema valutativo da una prospettiva diversa. Negli Stati Uniti nei primi anni ’90 è nato il movimento della valutazione autentica o alternativa contrapposta alla valutazione tradizionale ed alla docimologia classica. Il limite della valutazione tradizionale, emerso dall’evoluzione dei concetti di base della pedagogia scolastica degli ultimi trent’anni, sta nel fatto che essa tende a valutare quello che l’alunno conosce, verificando la “riproduzione” ma non il processo del suo apprendimento, non la “costruzione” e lo “sviluppo” della conoscenza e neppure la “capacità di applicazione reale” delle conoscenze possedute. 

Comoglio[1] ripropone il pensiero di Grant Wiggins (1993) di una “valutazione alternativa” in sostituzione di quella tradizionale, una valutazione che non solo verifichi ciò che uno studente sa, ma se quel che “sa fare con ciò che sa”: ciò osservando e partecipando alla prestazione reale e adeguata dell’apprendimento. La valutazione autentica è un accertamento della prestazione (nei laboratori, del prodotto), perché è da essa che si capisce se gli studenti sono in grado di usare in modo intelligente ciò che hanno appreso. In sintesi si passa dalla dimensione di valutazione degli obiettivi della conoscenza, dei contenuti, alla valutazione della comprensione, delle competenze. Valutare la competenza dell’alunno, il suo saper agire nella teoria e nella pratica dimostrando costanti capacità di risolvere problemi, sfugge alla normale verifica scolastica, richiede di saper mobilitare risorse interne ed esterne, abilità e conoscenze, da adoperare nella vita reale, viene quindi superata la concezione comportamentista, tipica dello stimolo risposta per dare spazio ad una visione circolare nel processo didattica per l’apprendimento del discente. Essa dà i suoi migliori risultati nei laboratori, basati su prestazioni teoriche o pratiche che richiedono continue fasi di autovalutazione e di valutazione: basta tenerne conto della valutazione finale ed è possibile correggere l’errore data dall’idea della possibilità di una pura aritmetica come scienza della valutazione.

GF FORMAZIONE Savy Docimologia e valutazione nella scuola

[1] http://elearning-let.unicas.it/lsrf/arduini/docimologia/pdf/valutazione_autentica.pdf