Anno: 2016

Rosario Assunto e la poesia dei giardini (1)

di Serena Gianpietro
Cesare Brandi, Elsa Morante, Rosario Assunto e la moglie
Cesare Brandi, Elsa Morante, Rosario Assunto e la moglie

Ventidue anni fa, il 24 gennaio del 1994, si spegneva Rosario Assunto, negli stessi giorni in cui veniva ripubblicato dalle edizioni “Novecento” il suo saggio fondamentale Il Paesaggio e l’Estetica edito a Napoli nel 1973 per i tipi di Francesco Giannini & Figli, nella collana diretta da Raffaello Franchini.

Figura assolutamente unica nel panorama culturale italiano, Rosario Assunto – nato a Caltanissetta nel 1915, Professore di Estetica (fu la sua prima cattedra a Urbino) e di Storia della filosofia italiana (Università di Roma), membro dell’Accademia dei Lincei ed amico dei massimi intellettuali italiani ed europei – fu filosofo sensibile e raffinato, dallo stile spesso difficile e sottile con cui articolava un pensiero denso, ricco di riferimenti filologici e documentali e compiutamente addentro nelle problematiche sia filosofiche che artistiche.

Tra i maggiori studiosi di giardini e di storia del paesaggio, ha per molti versi anticipato riflessioni e tematiche che solo dopo gli anni Ottanta del secolo scorso sarebbero diventate di ampia e diffusa circolazione, specialmente in ambito ambientalista e riguardo al  dibattito sul futuro del pianeta.

Dalla lettura del citato saggio del 1973, emerge infatti chiaramente l’evoluzione, quasi la lunga rincorsa, con cui nel pensiero occidentale è maturata l’autocoscienza del Paesaggio come orizzonte della libertà umana (è il promettente titolo del primo paragrafo della sua opera): dall’intreccio dell’analisi dei reperti artistici dall’antichità al  Medioevo, al Rinascimento fino ad oggi, incrociata con i contributi della filosofia (a partire soprattutto da quella romantica tedesca, di cui aveva una padronanza assoluta e raramente eguagliata e via via fino ai più recenti contributi del pensiero sia metafisico che politico a lui contemporaneo), Assunto fa emergere la complessa rete di relazioni tra cultura e società, tra etica e scienza, tra estetica e politica, il che fa della sua opera una vera e propria “summa” del pensiero occidentale riguardo al rapporto tra Uomo (con tutta la sua complessa storia) e Natura (con tutta la sua complessa struttura).

Altre sue opere sono Forma e destino (1957), “L’integrazione estetica (1959), La critica d’ arte nel pensiero medioevale (1962), Stagioni e ragioni nell’ estetica del Settecento (1967), La città di Anfione e la città di Prometeo (1983).

L’uomo non fu scevro da tratti di pensiero elitari, quando non aristocratici, sebbene la sua fosse più una sorta di ’intolleranza al brutto’ che non una posizione ‘politica’, restando egli una persona sempre attenta e delicata nei rapporti con l’altro, cosa ampiamente riconosciutagli in vita anche da parte di suoi competitori. Fu, ad esempio, il suo stesso carattere forte e la sua coscienza della complessità del sapere che lo spinsero a contrastare duramente le dinamiche collettivistiche e la contestazione partita dal ’68 e furono queste stesse virtù però anche a fargli guadagnare la stima dei suoi contestatori, che mai lo videro come un ‘barone’ quanto piuttosto come un raro luminare portatore di una reale e complessa cultura.

La sua idiosincrasia per la stupidità umana o, meglio, per talune manifestazioni della stupidità umana, era mercata: egli, del giardino coglieva soprattutto l’essenza contemplativa che consente all’uomo di riflettere sulla vita e su di sé; eppure, ormai i giardini (come gran parte dei paesaggi italiani) erano lontanissimi da tutto ciò, destinati a “qualche periodica kermesse populistico-collettivistica, di quelle che con il loro rumoreggiare, con il loro vocio e con il gracidare di comizievoli altoparlanti offendono la silenziosa maestà di certe nostre ville secolari, sporcandone il suolo con ogni sorta di volantini, di cartacce, di rifiuti e avanzi di cibo”.[1] Tutto ciò rendeva impossibile “riconoscere nel ‘Giardino-Idea’ il configurarsi della relazione ‘Uomo-Natura’ come una modalità della relazione ‘Soggetto-Oggetto’ nel suo momento più alto e definitivo, sottostante a tutti gli altri e tutti gli altri legittimamente”.[2]

Nel corso della tesi cercherò di fare emergere come da questo ‘sentimento del bello”’ sia possibile ricostruire un discorso etico fortemente incardinato anche con il dibattito attuale sui destini del Pianeta, a dimostrazione che il ‘bello’, l’ arte e la contemplazione non sono lussi effimeri di classi sociali abituate al superfluo ma l’essenza stessa dell’umanità, quel principio di individuazione della nostra specie in cui si intrecciano inestricabilmente emozioni, sentimenti, idee ed azioni.

I due volumi del testo di Assunto del 1973 mi saranno in ciò da guida e mi forniranno la traccia, il filo di Arianna, da seguire nel mio sforzo di comprensione, seppure sommaria e lacunosa, di un tema tanto affascinante quanto complesso ed arduo.

GF TESI DI LAUREA Giampietro Rosario Assunto e la poesia dei giardini (1)

[1] Rosario Assunto, Ontologia e teleologia del giardino, Guerini, Milano, 1994 (II edizione), pag. 26

[2] Ivi,  pag. 28

L’incredibile luglio dell’Europa

di C. Gily Reda

morte-tattooIncredibile luglio, bene sottolineato da articoli sulla morte di italiani, intellettuali, masse. La Nizza di Garibaldi, così italiana, è l’ultima terribile irruzione della Falce nel quotidiano. Giusto per evitarne il protagonismo non si citano altri episodi di quella che Papa Francesco definì già tempo fa una guerra in corso. L’ultima innovazione sul colpo di stata è un’altra vittoria della morte. Come scelta consapevole.

Saul Bellow scriveva il 12 settembre 2001 “Non voglio puntare il dito. Tuttavia ritengo che l’evoluzione storica della nostra nazione abbia fatto sì che una minoranza davvero esigua si interessi di problemi reali piuttosto che di quisquilie. In questo Paese dei Balocchi non c’è posto per sogni irrealizzabili. La libertà di movimento è illimitata e basta pigiare un bottone per realizzare la magie più strabilianti. Ciò ha creato nella gente un senso illusorio di immortalità e privilegio, distorcendone contemporaneamente le priorità”.

A proposito di questa distrazione a scopo di lucro degli intellettuali, ormai star televisive senza tempo per leggere, può dare luce il libro che Zigmunt Baumann ha appena consegnato al suo editore inglese: le idee sul futuro, le ideologie, dice, oggi sono nostalgie del bel tempo antico, i populismi cercano i Germani, i Cincinnati, il buon tempo antico da riportare alla luce. Ed è quel che ha fatto la Brexit cercando con Teresa May nuovo colonialismo, forse, nel rinnovare la politica dello Splendido Isolamento di Disraeli. Così promettono da tempo Le Pen e Salvini. Baumann dice: l’ideologia non è utopia né distopia – è il ritorno al passato, quando la velocità non era l’essenziale.

Il normale discorso politico non progetta il futuro, è l’Angelus Novus di Benjamin (autore tanto pieno di utopia marxista da rimanere un genio pensante nonostante stesse per morire, ebreo, all’inizio della guerra nazista). L’Angelus Novus era un dipinto di Klee, allucinato come l’urlo di Munch, guarda al passato silente, mentre è trascinato dalla forza del progresso. E la profezia si autoavverò: guardare al passato è farlo tornare. Per chi sa la storia, è aprire le porte alla barbarie. Invece di combattere, si lanciano colombe nel vento: ma ciò si fa dopo il diluvio, se si vuole sopravvivere.

Perché accade tutto ciò: la risposta è semplice. Se l’intellettuale per comparsare in TV non legge, tanto meno lo fa il politico, abituato da tempo a scuole di partito e propaganda (oggi, story telling). Golkorn che intervista Baumann sull’Espresso gli chiede: “c’è anche l’elogio dell’ignoranza. Un tempo i politici cercavano di mostrarsi come persone colte. Non molti anni fa invece l’ex ministro Tremonti disse “siamo gente che raramente prende in mano un libro”. Il premier Renzi si fa fotografare mentre gioca alla playstation e mai assorto nella lettura di un classico della letteratura. Perché l’ignoranza è diventata un valore?”.

Baumann risponde: “una volta (fino a poco tempo fa) una grande e non scrivente maggioranza dell’umanità leggeva ciò che gli altri scrivevano. Questa divisione del mondo è stata abolita… in cambio di questa libertà l’esercizio della scrittura è slegato dal dovere della lettura. L’uomo che scrive, oggi, non ha tempo per leggere… (non sono d’accordo che) l’ignoranza sia diventata un valore. La verità è che l’ignoranza non è più un ostacolo alla carriera, all’ambizione di diventare famosi e all’appagamento della propria vanità… (mentre) anche per argomentare ci vuole una certa preparazione e qualità non indifferenti”. Per non arrendersi alla guerra, non basta farsi un tatuaggio. Non basta ignorare che all’Occidente manca la motivazione culturale da opporre a quella propria della fame, che subito s’intende. Gli eccessi opulenti dell’Occidente maledicono DAESH come i giovani apatici che non ne apprezzano la vita. Chi fugge per diventare una bomba umana, dimostra l’importanza dei valori, rinnegando la vita virtuale, impotente, che li intreccia ai media, mentre il mondo esplode.

W editoriale 13-16 L’incredibile luglio dell’Europa