Anno: 2016

La Pedagogia della Bellezza: Il virtuale e la favola

Il Piccolo Principe al Convitto in Piazza Dante

di Ferdinando Muscariello

elePPSaper rispondere al mondo dei media è oggi un oggetto necessario per la didattica. Come webmaster del sito OSCOM, riassumerò in breve – in conclusione – alcune delle direzioni didattiche di media education, che è possibile scaricare in e-learning, frutto di una sperimentazione collaudata nei risultati. Come tutor del corso della Pedagogia della Bellezza ho seguito i lavori dei ragazzi che sulle tracce del Piccolo Principe avevano intrapreso percorsi avventurosi, anche, come dirò la prossima volta, nel regno del 3D e delle stampanti 3D. percorsi in cui si deve imparare a tener di conto le proprie ricchezze, coll’allegria.

Nel pianeta del piccolo principe ci sono, come su tutti i pianeti, le erbe buone e quelle cattive. Di conseguenza: dei buoni semi di erbe buone e dei cattivi semi di erbe cattive. Ma i semi sono invisibili. Dormono nel segreto della terra fino a che all’uno e all’altro pigli la fantasia di risvegliarsi, allora si stira e sospinge da principio timidamente sotto il sole un bellissimo ramoscello inoffensivo. Se si tratta di un ramoscello di ravanello o di rosaio, si può lasciarlo spuntare come vuole. Ma se si tratta di una pianta cattiva, bisogna strapparla subito, appena la si è riconosciuta. C’erano dei terribili semi sul pianeta del piccolo principe: erano i semi del baobab. Il suolo se ne era infestato. Ora, un baobab, se si arriva troppo tardi, non si riesce più a sbarazzarsene. Ingombra tutto il pianeta. Lo trapassa con le sue radici. E se il pianeta è troppo piccolo e i baobab troppo numerosi, lo fanno scoppiare.

“È una questione di disciplina, mi diceva più tardi il piccolo principe. “Quando si ha finito di lavarsi al mattino, bisogna fare con cura pulizia del pianeta. Bisogna costringersi regolarmente e strappare i baobab appena li si distingue dai rosai ai quali assomigliano molto quando sono piccoli. È un lavoro molto noioso, ma facile”.

E un giorno mi consigliò di fare un ben disegno, per fare entrare bene questa idea nella testa dei bambini del mio paese. “Se un giorno viaggeranno”, mi diceva, “questo consiglio gli potrà servire. Qualche volta è senza inconvenienti rimettere a più tardi il proprio lavoro. Ma se si tratta dei baobab è sempre una catastrofe. Ho conosciuto un pianeta abitato da un pigro. Aveva trascurato tre arbusti…”  Sull’indicazione del piccolo principe ho disegnato quel pianeta. Non mi piace prendere il tono del moralista. Ma il pericolo dei baobab è così poco conosciuto, e i rischi che correrebbe chi si smarrisse su un asteroide, così gravi, che una volta tanto ho fatto eccezione. E dico: “Bambini! Fate attenzione ai baobab!”.

E per avvertire i miei amici di un pericolo che hanno sempre sfiorato, come me stesso, senza conoscerlo, ho tanto lavorato a questo disegno. La lezione che davo, giustificava la fatica. Voi mi domanderete forse: perché non ci sono in questo libro altri disegni altrettanto grandiosi come quello dei baobab? La risposta è molto semplice: ho cercato di farne uno, ma non ci sono riuscito.

Quando ho disegnato i baobab ero animato dal sentimento dell’urgenza.

Coi bambini si è così inventata una storia per iniziare un percorso tra reale e virtuale, anche senza rincorrere i Pokemon:

Il Piccolo Principe e la spada

Nel Medio Evo, precisamente nel Castel Nuovo; il Piccolo Principe era atterrato con il suo asteroide sulla Terra. Nel castello avevano trovato l’asteroide, ma senza il Piccolo Principe. Gli abitanti del Castel Nuovo non lo conoscevano, perciò Carlo II d’Angiò decise di sciogliere il meteorite e farne una spada, che mise in una stanza segreta. Non sapeva, però a chi dare quella spada e disse a tutto il popolo –Darò questa spada al più coraggioso dei miei servi. – Dopo quelle parole scoppiò una rissa perché tutti volevano quella pregiata spada –Io la avrò! – un altro disse- No la voglio io. – Mentre tutto questo accadeva il Piccolo Principe era sotto la città sotterranea del castello. Mentre di sopra i Francesi avevano invaso Napoli scoppiò una guerra, gli arcieri con frecce: infuocate, velenose. I francesi attaccarono con tanta furia e il Piccolo Principe uscì dai sotterranei e trovò la guerra. Dovette decidere con chi allearsi. Prima vide i cavalieri del Castel Nuovo ed erano molto bravi, ma i Francesi erano molto aggressivi e territoriali. Allora prese una spada e combatté fino alla fine e vinse la battaglia.  Il re era fiero e come braccio destro gli regalò la spada.

Andiamo alla scoperta di Napoli con Dino e il Piccolo Principe

Gli alunni del Convitto Nazionale “Vittorio Emanuele II” disegnano e raccontano con due personaggi i monumenti di Napoli. I disegni scannerizzati insieme al testo diventano piccoli documentari sul territorio: Maschio Angioino e il Museo Paleontologico (si passa per Palazzo Venezia, vicino a quello Filomarino abitato da Benedetto Croce).

CASTEL NUOVO, IL MASCHIO ANGIOINO

Ciao io sono il Piccolo Principe e sono qui, sul pianeta Terra, per farvi fare una piccola gita al Castel Nuovo.
Questo è il Castel Nuovo, venne costruito da Pierre De Chale, su volere di Carlo I.
Venne poi ricostruito da Guillen Sargorera. Il Castel Nuovo divenne un grande centro culturale, dove venne costruito all’ingresso un magnifico arco. Questo è l’Arco di Trionfo che richiama gli antichi archi Romani. Prima il Castel Nuovo si affacciava sul mare. Da questa parte troviamo una delle cinque torri, sono costruite con delle basi oblique per far scivolare i nemici, quando provavano a salire. Prima era usato come castello da difesa, adesso invece è un museo.

La gita finisce qua, ci vediamo alla prossima gita.

L’INVASIONE DEI DINOSAURI

Un dinosauro disperato si trovava sulla Terra e non aveva più cibo da mangiare. I suoi nemici lo presero al volo, e lo torturarono continuamente e lo rinchiusero nel castello detto del MASCHIO ANGIOINO, il dinosauro venne chiamato Mesut. Quel giorno stesso scese sulla Terra grazie ad un asteroide, il piccolo principe amico di Mesut, che l’ho venne a salvarlo. Insieme andarono al palazzo Venezia per un po’e si riposarono. E salvarono il mondo.

W FORMAZIONE Muscariello La Pedagogia della Bellezza – Il virtuale e la favola.

Roland Barthes prevede l’oggi: Il fascismo della lingua

di Anna Irene Cesarano
Roland Barthes
Roland Barthes

‘La lingua è fascista’. Così disse Roland Barthes (1915-1980), nella sua lezione inaugurale al Collège de France nel 1977: è fascista non perché impedisce di dire ma al contrario perché “obbliga a dire” (Colombo, 2013, p.139).

Barthes si riferiva al sistema dei segni e alla sua costrizione, e per Michel Foucault a dire di sé – allargando il loro discorso vien da pensare in parallelo ai tempi d’oggi ed “al dire di sé sul web 2.0”.

Di certo non c’è mai stata epoca nella storia umana che abbia conosciuto una tale esplosione ed esposizione degli esseri umani alle relazioni comunicative (Colombo, 2013), come quella attuale. Una situazione iper-comunicativa che la società attuale vive e in parte soffre, che accentua alcune caratteristiche e peculiarità dei contenuti trasmessi, non sempre funzionali, ma sempre attinenti alla dimensione della “socievolezza”, così come diceva Simmel, ovvero quel tipo di relazione adatto a far provare piacere, più che a rendere utile la comunicazione (Andò Marinelli, 2012).

Nelle chat il sé dell’individuo è il vero protagonista della comunicazione: la domanda iniziale “a cosa stai pensando?” di Facebook, i cinguettii di Twitter, i “click” di Instagram –  tutto ciò questo fa capo a questa nuova dimensione della ‘socievolezza’. L’autobiografismo prorompente oggi dei post, dei commenti sui blog, e in genere tutta l’attività dei social media, non fa altro che centrare l’attenzione sull’individuo. Questo solleva vari interrogativi a proposito dell’espressione libera e del narcisismo di massa.

Ma è giusto dire tanto di noi al mondo intero? E ancora, mi chiedo, perché condividere perfino ciò che mangiamo con perfetti estranei? Chi sono, che lavoro svolgo, i miei familiari, la scuola che frequento e così via … Sarò nostalgica ma quel tempo in cui tantissimo contatto non c’era, esisteva vedere persone i cui i sentimenti capivo, perché erano vissuti pienamente tra individui che condividevano un’occhiata, un odore, uno spazio. O quando a scuola ti assegnavano una ricerca su Manzoni o Leopardi ed eri costretto a cercarla sull’enciclopedia trascrivendola e soprattutto memorizzandola, non creava forse quell’ ‘aura’ di cui parlava Benjamin? Ebbene, riconosciamolo, quel tempo era enormemente più affascinante e poetico, quasi angelico, più intenso di quello attuale: e per contrastare Bauman, solido, terraferma. ‘Ciuba (Chewbecca), siamo a casa’, dice il nuovo Ian Solo di guerre stellari (in una pubblicità imperversante).

Siamo connessi col mondo intero, e crediamo di non essere mai soli, ma poi è proprio così? Quando diciamo ho 700 amici, e ci rispondono “solo? Io 1500!”, in verità siamo soli tutt’e due.

Insieme ma soli è il libro di Turkle Sherry del 2012 che bene esemplifica la metafora dell’oggi. Abitiamo il famoso villaggio globale di Marshall McLuhan o come dice Linda De Feo,[1] “un’ipercittà priva di atmosfera, con miliardi di cittadini […] ma nessun residente”. Siamo sempre connessi, always on, sempre in contatto gli uni con gli altri, ma ci sentiamo più soli, anzi siamo sempre più soli chiusi nella città virtuale che come dice Michael Heim (1993, p.109) “è reale negli effetti ma non di fatto”.

Per Heim la realtà virtuale potrebbe essere percepita come simulazione, per via delle immagini computerizzate straordinariamente realistiche, sempre più speculari a quelle reali, o come rappresentazione elettronica con la quale interagire attraverso dei tasti e un’interfaccia di uno schermo (Cfr; De Feo, 2013; Heim, 1993).

In Discorso e verità Foucault faceva un’importante riflessione a proposito della sessualità, tema cui il maître à penser iniziò a dedicarsi negli anni ’70. Bene, a suo avviso la sessualità degli ultimi secoli sarebbe intrinsecamente legata all’esplosione discorsiva, ovvero al ‘fascismo della lingua’ di Barthes memoria. Secondo Foucault: “L’essenziale è la moltiplicazione dei discorsi sul sesso, nel campo dell’esercizio stesso del potere; incitazione istituzionale a parlarne, e a parlarne sempre di più; ostinazione delle istanze del potere a sentirne parlare e a farlo parlare nella forma dell’articolazione esplicita e dei particolari indefinitamente accumulati” (Foucault, 1976; trad.it. p.20; Colombo, 2013, p.139).

Tutto questo chattare e twittare insomma sarebbe una prepotenza che viene fatta contro la vita semplice di chi vuole prevedere cosa farà domani ed interrogarsi di conseguenza. Un sesso trasbordante che difatti domina in tutti i sensi l’informazione televisiva come l’arte, e che forse giova riconsiderare anche dal punto di vista di Barthes e della lettura che ne fa Foucault.

Che sia il caso di pensare a fondare un partito politico o almeno un blog?

W ICONOLOGIA Cesarano Roland Barthes prevede l’oggi – Il fascismo della lingua

[1] Linda De Feo, Per un’ermeneutica del cyberspace. Lineamenti storico-filosofici, 2013; Sorkin, 1992, p.231