Anno: 2016

Charlie Hebdo: la morte ti fa ridere

di Anna Irene Cesarano

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L’Italia trema ancora. E lo fa inghiottendo 290 persone, sì perché questa sembra essere la stima dei morti attuale. Per non parlare delle persone assistite nei campi e nelle tendopoli di fortuna allestite dalla protezione civile. Le cifre sono esorbitanti da qualsiasi punto di vista si guardi al terremoto. Amatrice, famoso per la sua tradizione culinaria rinomata in tutto il mondo, è il comune che ha pagato il dazio più alto al sisma con circa 229 morti e decine di dispersi di cui non si conosce tuttora la sorte. Si parla addirittura di comunità locali scomparse sepolte dall’ira del terremoto, perché in questi paesini che contano pochi abitanti un evento del genere ha scombussolato dal punto di vista strutturale l’intera collettività. Persone che in pochi attimi hanno perso tutto familiari, case, lavoro, certezze e che ora devono partire da zero e non da tre come diceva il nostro grande Massimo Troisi. Bé, è di questi giorni la notizia che ha fatto impazzire letteralmente i social e i giornali italiani. Indignati, inferociti, disgustati così noi italiani abbiamo risposto alla vignetta in edicola col titolo “Terremoto all’italiana” del noto giornale satirico francese Charlie Hebdo, al centro negli anni dei noti avvenimenti terroristici di cui tutti siamo a conoscenza ( il 7 Gennaio 2015 è stato attaccato dai terroristi e vi hanno trovato morte 12 persone del giornale). Ma procediamo per gradi, analizziamo le vignette in questione. “Terremoto all’italiana penne al pomodoro, penne gratinate, lasagne”. Le penne al pomodoro sono rappresentate da un uomo sporco di sangue, quelle gratinate da uno sporco di polvere e sabbia mentre la lasagna, così cara alla bella Italia, con strati di pasta alternati ai morti sotto le macerie e conditi con sugo ovvero sangue. E questa è la prima vignetta. hebdo-seisme2Impazza la polemica. Il Sindaco di Amatrice “Satira imbarazzante”, ma Charlie Hebdo risponde e rincara la dose: “Italiani … non è Charlie Hebdo a costruire le vostre case ma la mafia”. Tutto questo corredato dalla bella battuta: “Ancora non si sa se il sisma abbia gridato Allah Akbar prima di tremare”. Politici italiani, persone comuni, perfino l’Ambasciata francese prende le distanze dicendo: “Non ci rappresenta” e cosa ancor più paradossale anche un collaboratore di Charlie Hebdo attacca la redazione ed esprime tutto il suo imbarazzo e disgusto per il lavoro dei colleghi. A farlo è Robert McLiam Wilson che dice: “Effettivamente si tratta di spazzatura, non c’è ombra di dubbio. Capisco che abbiano scatenato tanta rabbia e risentimento, anzi, mi meraviglio che non ci siano state reazioni più violente. Quelle vignette non hanno alcun merito, di nessun genere. Sarebbe questa la satira? Che genere di satira? Dove? In quale dettaglio? No, è uno schiaffo in faccia, una provocazione crudele e insensibile. Non raggiunge alcuno scopo qualsivoglia, politico, polemico o morale. È un gigantesco nulla, un vuoto sgradevole e inutile. […] E qui dico che sono molto dispiaciuto per quanto accaduto, e me ne vergogno. Hai fatto una vera schifezza, Charlie. Ero così fiero di scrivere per te. Eppure, per nessun motivo, hai offeso tante persone senza alcuno scopo”. Touché. Andiamo in profondità della vicenda visto che ci riguarda da vicino. Satira o cattivo gusto? Libertà o censura? Denuncia o derisione? Sono tante le posizioni che esprimono gli italiani sui social. Queste vignette avrebbero forse dovuto fungere da denuncia politica, economico-sociale ad un malcostume italiano ed a uno stato di cose da cambiare. Va bene, che cosa ci vuol dire Charlie Hebdo? Case costruite con la sabbia ad opera della mafia che poi quando crollano ti riducono e riducono il territorio circostante a strati di lasagne, ecco il senso! Ma c’è modo e modo di dire le cose, e c’è modo e modo di fare satira e soprattutto di scegliere argomenti sui quali fare la satira. Siccome il nostro intento non è qui di produrre una scarna e vuota polemica già infiammata e sulla quale si è detto tutto, ma di riflettere e di rivolgere la nostra attenzione e le nostre energie alla ricostruzione di questi territori e comunità favorendo e ripristinando la VITA. Anche se una domanda ronza in testa: “Che sia il caso di ridere o fare satira al prossimo attentato?” No, certo che no!

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L’istituto festivo del pellegrinaggio

di Alessandro Savy

La pratica del pellegrinaggio rappresenta unapellegrinaggio delle più antiche e diffuse espressioni del sentimento religioso che l’umanità intera abbia saputo concepire: una sorta di lessico universale che accomuna sotto un unico schema di comportamento quanto di più culturalmente lontano, o diverso, si possa ritenere. Il pellegrinaggio rientra tra quelle forme che possiamo considerare istituti festivi. Infatti il termine “festa” ha un’area dai significati molto estesa. L’istituto festivo può assumere significati e valori simbolici diversi nella stessa epoca tra società e società o in raffronto con altre epoche, quindi oltre che dal punto di vista storico, va letto anche dal punto di vista sociale. In questa ulteriore specificazione possono essere individuati istituti festivi che riguardano tutta una determinata società o soltanto alcuni parti di essa.
La Festa è una struttura formale, all’interno della quale i vari aspetti sono collegati tra loro in un determinato modo, essa può essere considerata come una struttura narrativa, un racconto che si svolge attraverso una serie di azioni temporali concatenate tra loro. Tutte le feste sono il racconto di se stesse, il racconto vissuto di chi vi partecipa.
“L’istituto della festa costituisce un nodo cruciale della dimensione folk-lorica nelle sue molteplici valenze e implicazioni sul piano sociale, culturale e simbolico.”1


1 L. Satriani L.M.,a cura di L. Mazzacane, un modello per tutte le feste. Devozione e regole nel sistema delle feste campane, Sanità e tradizione, Meltemi editore, Roma, 2014, p. 25

Il pellegrinaggio assume sempre come elemento fondante la forma del viaggio, di andata e di ritorno, il viaggio finisce cioè per diventare esso stesso un “andare carico di tutti i significati simbolici, mitici, magici della storia come della leggenda, come delle fiabe, questo andare dal luogo profano al luogo Sacro, dal quotidiano al festivo
costituisce esso stesso la più riconoscibile tra le forme materiali e simboliche del pellegrinaggio.”2
Annabella Rossi, che ha studiato i pellegrinaggi nei santuari meridionali frequentati da appartenenti alle classi contadine o sottoproletarie alla fine degli anni sessanta, evidenzia alcune caratteristiche dei comportamenti dei devoti.
“Per propiziarsi favori o per ottenere grazie i pellegrini offrono tutto quello che possono: denaro o piccoli oggetti preziosi, ex voto in cera o metallo e fino a qualche decennio fa, anche olio, animali vivi, vestiti e perfino capelli o sigarette”3.
“L’esigenza fondamentale dei pellegrini, quella che è stata il motivo del viaggio e delle offerte, come della preghiera e delle invocazioni, è la rassicurazione, in questa esigenza risiede la funzione essenziale del pellegrinaggio e da essa sono determinati tutti quei meccanismi di scambio per cui da un lato i pellegrini offrono beni economici e dall’altro il clero concede rassicurazione generica ed oggetti religiosi aventi la funzione di renderla più concreta e di portarla nel tempo, nella vita quotidiana alla quale i pellegrini torneranno dopo la parentesi eccezionale del pellegrinaggio.”4


2 L. Mazzacane, Struttura di festa, Franco Angeli, Milano 1985, p. 40

3 A.. Rossi, La festa dei poveri, Sellerio, Palermo 1986, p. 15

4 Ivi, p. 16

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