Anno: 2016

L’anacronismo delle immagini: Aby Warburg (1)

di Viviana Molino
Ghirlandaio - Nascita di Giovanni Battista (dettaglio)
Ghirlandaio – Nascita di Giovanni Battista (dettaglio)

“L’immagine è un’entità

tragicamente sopravvissuta ad un’esperienza”

Man Ray 

Pensare oggi all’immagine ci proietta in uno spazio affollato, confuso e pieno di domande irrisolte. Siamo sottoposti ad un bombardamento visivo, che, in molti casi, annienta la nostra capacità critica, ci rende osservatori ciechi e, soprattutto, analfabeti, se consideriamo l’immagine da un punto di vista morfologico.

La proliferazione incessante di immagini non conduce, infatti, ad una loro maggiore accessibilità o comprensibilità (basta pensare, ad esempio, alle immagini pubblicitarie), ma, al contrario, fa di noi cavie umane facilmente manipolabili. Ma questa non è dichiarazione di iconofobia, afferma invece dal bisogno di rintracciare mezzi adeguati per far fronte al problema, visto che da sempre l’immagine è stata oggetto di riflessioni filosofiche e teologiche.

Il culto che proibisce le immagini risale al testo biblico in cui è espressamente scritto: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra.” [Exod. 20].

La storia delle religioni è da sempre testimone di furie iconoclaste, dall’impero bizantino, al periodo dell’inquisizione cattolica, alla guerra alle immagini durante la riforma protestante, fino ai talebani in tempi recenti che hanno distrutto le statue di Buddha,[1] per non parlare dei recentissimi episodi di violenza svoltisi a Parigi con la morte di dodici giornalisti e vignettisti del settimanale satirico Charlie Hebdo, ad opera di fanatici integralistici islamici, per la pubblicazione di alcune vignette su Maometto ritenute blasfeme.

È facile, quindi, intendere come le immagini siano state e sono capaci di scatenare forti passioni, anche senza far riferimento a episodi mossi da sentimenti religiosi.

Platone riteneva l’immagine, εἴδωλον, fautrice del falso, capace solo di confondere le idee, e, per questo motivo, aveva negato all’arte il diritto spirituale di cittadinanza all’interno dello Stato ideale.

La posizione di Platone, come ci invita a riflettere Ernst Cassirer nella conferenza Eidos ed Eidolon il problema del bello e dell’arte nei dialoghi di Platone pubblicata nel 1924, non rappresenta una condanna assoluta, eidos e eidolon, εἶδος e εἴδωλον, sono vincolate in un unico abbraccio dalla loro comune radice, ἰδεῖν (idein) vedere.[2]

Il nostro vedere intelligibile passa cioè per il vedere sensibile, il nostro spirito vede quindi attraverso gli occhi del corpo.

Perché, come già sosteneva Aristotele, noi pensiamo per immagini, associamo nella nostra testa il linguaggio, la parola, ad immagini osservate.

A tale proposito, come l’ipotiposi o l’antica pratica dell’ecfrastica, l’immagine e la parola si supportano vicendevolmente come nel caso della stampa e della fotografia, delle immagini scientifiche o ancora dell’ambito pubblicitario.

Il secolo scorso ha, infatti, visto svilupparsi usi completamente nuovi e innovativi delle immagini, usate ad esempio come strumento di difesa in caso di conflitti, come le immagini riprese dai manifestanti a Genova durante il G8, che attestano la violenza esercitata dalle forze armate, o le immagini al servizio della scienza riprese dai satelliti.

L’immagine quindi domina il nostro quotidiano.

Il problema è che, in realtà, forse noi non siamo ancora in possesso degli strumenti culturali e metodologici necessari per far fronte a questo fluire incessante e sempre crescente di immagini, quasi destinato a sopraffarci.

Kant in un saggio pubblicato nel 1786 si chiedeva cosa potesse significare orientarsi nel pensiero; oggi, che le immagini hanno invaso il nostro mondo e, quindi, anche il campo del nostro pensiero, per cui non è possibile pensare senza il supporto delle immagini, la domanda che bisogna porsi è come orientarsi nelle immagini?

Quest’esigenza all’inizio del secolo scorso ha dato vita all’iconologia, disciplina che si occupa di dare una spiegazione alle immagini, alle allegorie e ai simboli nascosti in esse.

Da qui nasce la presente ricerca, che si pone come tentativo di indagare il lavoro di uno studioso, Aby Warburg, che ha inaugurato questo nuovo campo del sapere.

Aby Warburg, storico della cultura e profondo indagatore della storia dell’arte, dedica la sua vita allo studio e alle ricerche in cui, come scrive Georges Didi–Huberman, si immerge empaticamente, “come ci si immerge in un oceano senza limiti noti, per ritrovarsi nel più profondo delle acque, come, già, ci si ritrova in mezzo a un fondo nero ad avvicinarsi troppo agli schermi di Mnemosyne.”[3]

La vita di questo studioso è stata segnata da problematiche psicologiche, filosofiche e culturali[4] che lo hanno avvicinato a grandi esponenti della cultura del ‘900 come il dott.re Ludwig Binswanger, direttore della clinica psichiatrica Bellevue di Kreuzlingen, dove fu ricoverato dal 1921 al 1924, al filosofo Ernst Cassirer, con il quale condivise riflessioni sui concetti di simbolo e di mito. Ha rappresentato un punto di riferimento per i suoi contemporanei, come studioso ed esperto di arte antica e indagatore dell’evoluzione del pensiero occidentale e fu da tutti riconosciuto grande uomo, nonostante la sua statura, abile oratore e simpatico imitatore: ma più di ogni altra cosa la sua reputazione si fondava sulla sua profonda erudizione[5].

Uno studioso atipico per i suoi tempi [6] soprattutto per la capacità di spaziare in campi d’indagine vasti e disparati mettendo in relazione discipline diverse, dalla storia dell’arte fiorentina del Quattrocento, alla storia della cultura tedesca del Cinquecento, dall’astrologia alla mitologia, dalla psicologia all’antropologia.

Le sue ricerche erano focalizzate su alcuni concetti cardine, ovvero il tema del Nachleben der Antike (Sopravvivenza dell’antico), il concetto di Pathosformeln (Formule di pathos), Polarität (Polarità), Orientierung (Orientamento) e Denkraum (Spazio del pensiero)[7]; ricerche queste che diedero vita al nuovo campo del sapere, l’iconologia.

Aby Warburg ha superato il confine dello studio della storia dell’arte concentrandosi sulle immagini e non solo immagini d’arte, ma, anche, sugli oggetti della cultura materiale.

Nasce dalle sue riflessioni un nuovo modo di relazionarsi all’immagine in cui il significato di una singola immagine si ritrova costantemente nel suo perpetuo relazionarsi ad altre immagini ad essa estranee.

L’Atlante Mnemosyne, suo ultimo lavoro, rappresenta l’ambizioso tentativo di ricapitolare attraverso una raccolta di immagini le tematiche che lo hanno coinvolto nel corso di tutta la sua vita. Aby Warburg è morto senza riuscire a portare a termine il suo Atlante, un’eredità enigmatica e affascinante che costituisce tutt’oggi un dibattito aperto su questo grande studioso, tratteggiato in maniera esemplare dalle parole, qui riportate, che  Ernst Cassirer scrisse in sua memoria.

“Per usare le parole di un sonetto che Giordano Bruno ha inserito ne Gli eroici furori:

Ch’i’ cadrò morto a terra, ben,’accorgo,

Ma qual vita pareggia al morir mio?

La voce del mio cor per l’aria sento:

Ove mi porti, temerario? China,

Che raro è senza duol tropp’ardimento. –

Non temer, rispon’io, l’alta ruina.

Fendi sicur le nubi, e muor contento,

S’il ciel sì illustre morte ne destina.

Warburg ha vissuto ed è morto come scrive qui Giordano Bruno.

Ed è questa l’immagine che continuerà a vivere in noi: non quella di un puro e semplice erudito e ricercatore morto in pace dopo aver raccolto la mietitura della sua vita. L’immagine di un combattente e di un eroe le cui armi, che la morte gli ha sottratto, non sono intaccate, né rotte, ma sono rimaste sempre integre, affilate e pure durante la lotta intellettuale che Warburg ha intrapreso dall’inizio alla fine della sua vita.[8]

 

[1] Bruno Latour, Che cos’è Iconoclash, in Teorie dell’immagine, il dibattito contemporaneo, a cura di     Andrea Pinotti e Antonio Somaini, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009, pp. 294, 295

[2]Ernst Cassirer, Eidos ed eidolon, il problema del bello e dell’arte nei dialoghi di Platone, in Aby Warburg – Ernst Cassirer, Il mondo di ieri, Lettere, a cura di Maurizio Ghelardi, Nino Aragno editore, Torino, 2003, p. 135

[3]Cit. Georges Didi – Huberman, L’immagine insepolta, Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e della storia dell’arte, Bollati Boringhieri, 2006, Torino, p.467

[4]C. Cieri Via, Introduzione a Aby Warburg, Editori Laterza, Bari, 2011, p. 5

[5]Ernst H. Gombrich, Aby Warburg una biografia intellettuale, Campi del sapere, Feltrinelli, Milano, 1983, p.13

[6]C. Cieri Via, Introduzione a Aby Warburg, Editori Laterza, Bari, 2011, p. 145

[7]Cfr. M. Warnke, Vie Stichworte: Ikonologie, Pathosformel, Polarität, und Ausgleich. Schlagbilder und Bilderfahrzeuge, in W. Hofmann, G.Syamken, M. Warnke, Die Menschenrechte des Auges: über Aby Warburg, Europaïsche Verlagsanstalt, Frankfurt am Main 1980, pp.53 sgg.

[8]Ernst Cassirer, In memoria di Aby Warburg, in Aby Warburg – Ernst Cassirer, Il mondo di ieri, Lettere, a cura di Maurizio Ghelardi, Nino Aragno editore, Torino, 2003, p. 120

gf-tesi-di-laurea-molino-lanacronismo-delle-immagini-aby-warburg-1

Rosario Assunto e la poesia dei giardini (3)

di Serena Gianpietro
Cesare Brandi, Elsa Morante, Rosario Assunto e la moglie
Cesare Brandi, Elsa Morante, Rosario Assunto e la moglie

Come in ogni riflessione critica, che si proponga di discernere gli elementi costitutivi di un problema e il cambiare della loro valenza a seconda del punto di vista dell’osservatore, anche rispetto al paesaggio, sono possibili diversi approcci.

Numerosi i piani di lettura del paesaggio sono oggetto di riflessione critica, impossibili da indagare ed unificare. Ma alcuni di loro, considerati in relazione forniscono elementi utili alla riflessione critica – sono approcci rigorosi da punto di vista estetico, scientifico e storicosociale. Sembrano punti di vista inconciliabili, densi di pregiudizi e luoghi comuni: l’estetico risponde ad una cultura aristocratica, spesso tipica dei laudatores temporis acti, oggi appartiene all’ambientalismo fondamentalista o new age; la scientifica è intrisa di positivismo, indifferente all’etica, proprio della cultura liberista. La terza, infine, appannaggio di un retaggio improbabilmente sospeso tra socialista e millenarista, fa pensare alla cultura del dissenso o pieno di nostalgia per quell‘epoca. Una tripartizione condivisibile ma lontana dalla realtà.

EVOLUZIONE DELL’APPROCCIO ESTETICO: LA PROPOSTA DI BACHOFEN

L’approccio estetico risente di una percezione olistica, simultanea, sinestetica dello spazio, che è valutata ed arricchita da puntuali analisi delle parti singole.  La proposta, maturata già in clima di Romanticismo tedesco, fu avanzata in forma sintetica da J.J. Bachofen, non a caso contemporaneo e concittadino di J. Burckhardt. Non a caso, perché sostanzialmente i due autori, cresciuti nello stesso ambiente culturale, trassero ispirazione, metodo e materia di riflessione dal grande serbatoio della storiografia tedesca, s’incrociarono con i “Grundriß der Historik” (1868) di J.G. Droysen. Con lui fu chiaro che la lettura delle civiltà, loro stratificazioni ed esiti culturali, era la strada maestra per restituire senso alla cronologia, umanizzando la linea del tempo, interpretando la vicenda umana come campo d’indagine complessivo, olistico, intersecando la storia politica, letteraria, religiosa, economica con quella dei costumi.

L’esito della loro ricerca è però divergente: Burckhardt si emancipò dall’impostazione meramente idealista e storicista mantenendo saldamente al centro dell’analisi le forme di civiltà, recuperò così l’arte, l’estetica, la cultura come assi centrali dell’analisi storiografica. L’approccio è estraneo sia al materialismo marxiano che positivista, perciò era difficile lo apprezzassero i contemporanei; troverà estimatori tra le due guerre mondiali, quando la sua critica al modello di sviluppo industriale ed al nazionalismo prefigurò e predispose la critica all’irrompere delle dittature del Novecento, come chi si opponeva alla massificazione, l’esistenzialismo, la psicanalisi. Senza andare ad un socialismo critico, Bachofen, che nasce dalla cultura filologica più che storica, vede la storia come sviluppo di civiltà, centra nel concetto di simbolo riposante in sé stesso:[1] un incipit metafisico in senso vichiano, il processo storico crea simboli materiali, linguistici, religiosi in cui fonda come nella realtà. Analizzarli insieme ai miti è per Bachofen fare storia come sviluppo di fasi, che oscillano tra elemento materno (diritto naturale, prevalenza di forme di aggregazione spontanea) e paterno (diritto positivo, forme ordinate di Stato). L’apporto dialettico delle due matrici è la legge universale anche nella lettura del paesaggio, in cui “l’azione delle forze telluriche e quella dell’uomo, che con i suoi interventi trasforma l’immagine della terra, sono considerate allo stesso livello: due aspetti di una sola attività formatrice, ne risulta l’immagine paesistica, esteticamente analizzabile e giudicabile”[2].

Nella sua ricerca estetica sul paesaggio, Bachofen riscontra la bellezza circolare; nell’Italia centromeridionale essa è imposta meravigliosamente dalla matrice vulcanica dei rilievi, tanto quelli vicini al mare quanto quelli interni: “L’attività vulcanica è per tutto operosa con una meravigliosa regolarità. La linea circolare predomina in tutte le sue formazioni. Così anche il monte Alba, al pari del Vulture, presenta la forma di circolo, la cui circonferenza si estende sulla pianura per circa trenta miglia. Su questa base la montagna si erge nel centro esatto della piana laziale, libera tutta intorno come isola nel mare. Chi guardi ha l’impressione, come se questo altopiano della Campagna Romana fosse stato sollevato da tutti i lati in una sola volta, e nella maniera più dolce, da una forza sotterranea: talmente impercettibile è il passaggio dal piano alle alture più piccole, da queste ai massicci rocciosi”.[3] Il passaggio è un esempio di lettura “geometrica” dello spazio che recupera il concetto di bello, grazie all’intervento creativo dell’immaginazione, che riduce in unità volumi solo oggi familiare a tutti, grazie a foto aeree e satellitari, ricostruita qui con un potente senso delle proporzioni.

Ma la bellezza non nasce solo da rapporti scultorei: nasce dalla coscienza di “forme della terra come presenza spaziale simultanea di accadimenti successivi nel tempo”. La qualità estetica rinnova la sua nascita nel processo geologico successivo che fa dello spazio una forma che fa de eventi del passato, un’ “immutevole presenza; quasi un anticipo della dureé bergsoniana” storica però, è la continuità della presenza nel tempo che sopravvive alla finitezza.[4] Interpretazione squisitamente kantiana che Assunto rende apodittica: nel giudizio riflettente del soggetto, il paesaggio sana la frattura metafisica dell’Io e ridà senso di esistenza al soggetto, non più giudicante, che osserva nell’esperienza estetica più che scientifica, perché coscientemente privata di definizione oggettiva. Altrimenti, sarebbe impossibile lo sguardo incantato e sereno, che oggi a colte invidiamo a Bachofen, cantore della “bellezza del paesaggio come presenza”.[5]

Assunto oggi indica la tenebra dell’anti paesaggio”: sfruttamento turistico, cementificazione, inquinamento, dissesto idrogeologico… è il “brutto del benessere”.[6] Per “contrastare la devastazione del morbo …limitiamoci a combattere l’ulteriore diffondersi della pestilenza”.[7] Assunto nota come il passaggio dall’estetica alla politica del paesaggio sia naturale: perché non è l’intervento umano in quanto tale che deteriora il paesaggio – Bachofen esemplifica interventi migliorativi come quello che ha trasformato “in paradiso ubertoso paludi e aree mefitiche, come nel caso della cascata delle Marmore”.[8] La sintesi estetica unisce saperi e intelligenze: “La caratterizzazione estetica del paesaggio, che nella descrizione critica della piana laziale mostra la bellezza della natura, nella sua specificità, come valore espressivo di una realtà che per la geologia, la vulcanologia, l’idrologia, la botanica, è oggetto di verificazione scientifica, si fa qui espressione di un interesse etico politico.”[9] Il valore aggiunto della bellezza è nel paesaggio opposto all’opera d’arte, che porta in sé il valore dello sguardo; il bello del paesaggio nasce come sottoprodotto della dinamica sociale (lotta alla malaria, produttività dei campi….) come il brutto (fame di case, guadagno nel settore turistico….).

IL PAESAGGIO TRA ESTETICA E LAVORO: LA LETTURA DINAMICA DI SERENI

Questo rapporto diventa esplicito nel pensiero storico-politico di Emilio Sereni, forgiato nell’esperienza attiva di comunista condannato dal fascismo, esiliato in Francia e partigiano nella Resistenza che aveva già però la laurea in agraria conseguita a vent’anni. Nell’opera di Sereni l’analisi estetica s’interessa delle condizioni reali dei luoghi mostra il legame del paesaggio e del lavoro umano, nel valore aggiunto della testimonianza della civiltà di un popolo nelle determinate epoche, da acquisire in un quadro sincronico che mostra le forze in campo, acquisendo il vettore diacronico della civiltà. vi si rintraccia l’affermazione dell’egemonia di classe, che è anche culturale e impone insieme ai modelli produttivi la visione estetica dello spazio organizzato. Il concetto di “egemonia” comprende la dimensione culturale, non basta per la conquista di classe del potere il dominio dei rapporti di produzione – come fu a suo tempo per l’aristocrazia e la borghesia.ma non basta ad assicurare il mutamento nel sistema. Gramsci si pose questa domanda fondamentale, capace da sola, se irrisolta, di mandare a picco l’edificio teorico marxista. La sua risposta restituisce alla sovrastruttura culturale il suo peso,[10] senza liberala dalla subalternità alla dimensione strutturale dell’economia. L’ideologia, falsa coscienza in Marx ed Engels, in Gramsci è Weltanschauung, una visione del mondo strutturata che modifica soggetti politici e rapporti di forza tra le classi, che va resa organica alla nuova classe.[11]

In Gramsci la percezione autocosciente travalica l’ideologia come falsa coscienza, la coscienza di sé, individuale e collettivo, dipende dall’ideologia della classe dominante, dalla sua rappresentazione di rapporti di produzione e feticci per imporsi alle altre classi.[12] Il termine Weltanschauung, usato da Kant nella Critica del Giudizio per la costituzione del giudizio riflettente, fu poi ripreso da Hegel e poi da Diltey come coscienza dei rapporti tra metafisica e fenomenologia; Max Weber lo utilizza come esplicitazione del “sentire comune” di un popolo di fronte all’interpretazione dei problemi etici e del rapporto ricchezza/peccato. Jasper infine ne curva il senso sui processi psicologici di costruzione del rapporto io/mondo e la struttura fittamente reticolare delle relazioni umane.

In forza di tale correlazione, analizzando le mutazioni del paesaggio in età comunale trasmesse dal patrimonio pittorico italiano, Sereni affermò che: “là dove, con le sue attività agricole… l’uomo comincia ad imprimere al paesaggio agrario forme più coscientemente elaborate, la via è aperta ad una valutazione di queste forme che non è più solo tecnica ed economica, ma estetica.”[13]

Sereni declina nelle riflessioni sul paesaggio, la concezione realista dell’arte tipica del socialismo; è l’occhio dell’agronomo, l’occhio socioeconomico del politico – solo alla fine, per chiosare l’esito felice di un’osservazione fondata scientificamente ed eticamente – sono ricondotte alla riflessione della sovrastruttura estetica.

In questo senso, lo stridente contrasto tra i paesaggi monocordi di un’economia di sussistenza fondata sull’allevamento e le distese d’erba o quella degradata delle ville feudali e delle manomorte ecclesiastiche appaiono nettamente contrastanti con le geometrie ordinate e razionali della rivoluzione indotta dall’aratro di ferro e dall’introduzione del maggese dopo l’anno 1000, in concomitanza con gli albori della società comunale e protoborghese. E di tanto vi è testimonianza nelle rappresentazioni della pittura e negli studi di archeologia economica.[14]

Per Sereni, in effetti, il senso estetico si definisce modernamente libero dagli idealismi, indaga il nesso Uomo Natura alla ricerca interiore di una cifra unitaria. Ed è in questa chiave che Sereni sembra aver posto il problema del paesaggio la cui estetica si propone come “aspirazione a quella unità tra uomo e natura (implicante l’armonia dell’uomo con sé stesso e in sé stesso, e quindi l’armonia degli uomini nel loro comune consorzio sociale) che secondo le culture si propone come competa restituzione dell’uomo alla natura, oppure completa umanizzazione della natura.”[15]

gf-tesi-di-laurea-giampietro-rosario-assunto-e-la-poesia-dei-giardini-3

[1] V. Furio Jesi, Cultura di destra, Garzanti, Milano 1993, pag. 21

[2] R. Assunto, op.cit., vol. 2°, p. 78. L’A. richiama J.J. Bachofen, Die Landschaften Mittelitaliens, Basilea, 1945

[3] Ivi, pp. 78-79

[4] Ivi, pp. 83-84

[5] Ivi, p. 84

[6] Ivi, p. 80.

[7] Ivi, p. 80

[8] Ivi, p. 85

[9] Ivi, p. 86

[10] Cfr. A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di F. Platone, Torino, 1948-1951, Q.19, par. 24

[11] Cfr. Luciano Gruppi, Il concetto di egemonia in Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1972

[12] Assunto cita. L’ideologia tedesca di Marx

[13] E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Bari, Laterza, 1961 – da R. Assunto, op. cit. p. 95

[14] R. Assunto, op. cit, vol. 2°, pag. 97; richiama Sereni alle. pagg. 191-192

[15] R. Assunto, op.cit., vol. 2°, pag. 97