Mese: Luglio 2016

I briganti e Napoli

di Redazione

babybossScippo, intimidazioni e ‘stese’ (mitragliate nei vicoli) hanno la loro scena a Napoli, ma sono opera di ‘briganti’, nati a Napoli ma la città li patisce, li arma l’impotenza di strade solide, aiutata dalla scarsa reazione politica e poliziesca. I potenti guardano e lasciano fare, l’immagine della città ne soffre. Invece l’opera del ‘Mattino” diretto da Alessandro Barbano ha invece il merito di analizzare ed informare sull’opera dei briganti sottolineando la sostanziale estraneità ad una città brillante e vulcanica, che ha tanti altri napoletani di cui il giornale parla. Così si può rispondere alla domanda di un ragazzo della media “Michelangelo Schipa” a Mario De Cunzo, il soprintendente che accolse Clinton e che gestì il terremoto dell’80 guadagnandosi la stima generale: “Ma se è vero tutto quel che dite sulle bellezze e grandezze di Napoli, perché tutti ne parlano male?” (il video della lezione per docenti di Mario De Cunzo, con 10.000 views, è in YouTube, Canale oscom.unina). Quindi vale la pena di recuperare in breve i due lati dell’effetto che fa a Napoli Gomorra.

L’intervista con Saviano di Francesco de Core (09-05-16) all’inizio della seconda serie, intitolata “Gomorra non ha creato i baby boss” è l’interessante presentazione di un autore giovane ma celebre, che vanta il valido contributo dato alla ‘no fiction novel’ come genere letterario. Rossellini diceva che il realismo è “la forma artistica della verità”, ce la fa capire. Saviano racconta quel che s’era già letto in tanti libri intervista… alquanto illeggibili, elenchi di nomi, fatti, date; era certo chiara la denuncia, portava a chiedersi fossero giudici e poliziotti: ma si capiva poco. Mentre Gomorra rende evidente che si tratta di sgominare la rete culturale dei briganti che appestano la città, abbattendo alla base la fonte, la povertà dei piccoli delinquenti e degli oppressi. I boss sono anche ricchissimi, e certo sono i più fieri sostenitori del progetto che si ferma al ‘si uccidono fra di loro’. Fermare la loro sottocultura agendo, come si propone di fare l’attore che impersona il figlio di Scianèl, al secolo Vincenzo Pirozzi, che non solo è della Sanità ma è figlio di boss. La relativa ricchezza di chi riesce nella lotta aperta gli ha consentito di intraprendere una via dritta, di essere in galera ed in una paranza solo nella fiction, ora vorrebbe passare a Un posto a sole, altra ben diversa serie seguitissima anche all’estero; e persino istituire una scuola per i ragazzi della Sanità – in fondo, l’industria del cinema e in genere dei media è oggi la prima al mondo.

Quel che non convince è il titolo dell’intervista con Saviano, la realtà della paranza dei bambini catturati in massa l’anno scorso, in giugno si sono condannati ben 43 partecipanti, è una novità. Diego Dal Pozzo rileva che il pubblico vive la fiction come una sceneggiata, ha minacciato Malammore, il killer della bambina come una volta si lanciavano urla al ‘malamente’ che con “isso e essa” animava la sceneggiata. Anche le ‘stese’, scorribande armate di adolescenti e giovanissimi nei vicoli con tanto di sparatoria, sanno più di America che di antichi coltelli a serramanico e rasoi: tutto questo in tempi recenti ha cambiato il racconto che i numerosissimi abitanti inermi della Sanità danno del loro quartiere.

L’ambizione di giovani e giovanissimi a ruoli di comando sembra proprio nuova; da quel che si legge nelle inchieste, dalle età dei boss mafiosi tra galera e fuori, questo sembra proprio un fenomeno nuovo; anche in Gomorra e in I Soprano i boss sono uomini maturi, e persino vecchi che si chiamano Junior – mostrando l’ereditarietà dell’aristocrazia criminale.

L’episodio dei ragazzini filmati a Piazza Dante mentre mimano una scena di Gomorra, dimostra che la familiarità con i divi della televisione tocca i più piccoli e genera imitazione. Quanto sia pericolosa dimostra un’altra intervista del “Mattino” ad un giovane che si è salvato, allontanatosi dall’ambiente. Constatava che si era iniziato giocando a guardie e ladri, come i bambini di Piazza Dante, poi erano circolate vere pistole senza cartucce ma comprate da loro stessi (un centinaio) da venditori anonimi: e poi erano iniziati gli incarichi – banali, porta un pacchetto qui, manda un messaggio là… e poi il discorso si faceva serio. Dalla prima affiliazione l’intervistato ha capito l’antifona ed è scappato. È il terreno di coltura che è il problema: e certo vedersi divi in tv non è motivazione da poco, al giorno d’oggi – certifica uno status altrimenti irraggiungibile.

Dalle colonne dell’“Espresso” Saviano lancia fiamme radicali per la libera circolazione della droga, bruciare le fonti del reddito: ma, ameno di non mettere mano alle droghe pesanti, non è certo un rimedio. Si sa che i grandi guadagni non vengono dalla marijuana, che ormai molti coltivano da sé, anche in aiuole pubbliche talvolta complice la diffusa ignoranza botanica. Ma prima c’erano le sigarette, e allora ed ora intimidazioni e racket… il problema non è il fumo. È piuttosto nel disegnare una cultura diversa, mostrare l’esistenza di gruppi puliti dove sbarcare il lunario, con proposte valide di lavoro, cosa che non solo a Scampia è rara. Gomorra non ha un eroe positivo: per chi non sa che imitare (e sono tanti) è facile pensare che, a parte i meriti, i baby boss li crea. D’altra parte, Gomorra informa i tantissimi che non hanno letto i noiosi libri inchiesta né i giornali – ha ricordato che se il quartiere diventò centro vendite droga fu per l’ingenuità di chi vi collocò un centro per disintossicazione per drogati, da loro ovviamente frequentatissimo. Un errore capitale, ingenuità o ignoranza o malaffare giustificano tanta miopia, visto che Secondigliano aveva già dimostrato il fallimento di un grande progetto, finito in una desolata solitudine priva di vita economica. Si voleva riprodurre la napoletana solidarietà dei bassi del centro città, le Vele erano ricche di luoghi comuni d’incontro – diventate piazze di spaccio, di grandi strade, diventate autostrade per auto di extralusso perché deserte. Le abitudini di familiarità che lo strettissimo vicolo imponeva con la necessaria compresenza dividevano economie troppo piccole per sopravvivere alla deportazione generata dal terremoto.

Scampia però è abitata da gente con ”un ricchissimo DNA in un territorio di grandi potenzialità” suggerisce “Il Mattino” citando l’addio del Presidente dell’VIII Municipalità Angelo Pisani nel libro Luci a Scampia, che negò le riprese a Gomorra per evitare una pessima pubblicità. Meritata, certo, se si guarda solo ai briganti, ma sono tantissimi gli altri. Certo, occorre conoscere e combattere la malavita, ma anche su questo il giornale non manca all’appello, evitando sempre però la truculenta insistenza di altri. La cronaca nera è sempre stata ghiotta, molti lettori l’amano.

Giugno si è caratterizzato per due episodi diversi: la guerra di camorra che fa giustizia, e la magistratura che fa giustizia. L’ultimo assassinio ha colpito Raffaele Cepparulo, 24 anni, Lello Ultimo su Facebook, capo dei Barbudos. L’immagine mostra un pluri tatuato, che sul collo porta il nome del boss, Antonio Genidoni, emergente alla Sanità. Lello Ultimo viene ucciso a Via Cleopatra di Ponticelli in un circolo ricreativo, con Ciro Colonna 19 anni incensurato. A Ponticelli, dove certo non mancano i briganti, era fuori zona, fuggiva la Sanità perché era uno delle ‘stese’, che il quartiere ha preso così male. Lello aveva partecipato alla stesa assassina di aprile in altro circolo ricreativo alla Sanità, nel corso della guerra Esposito Vastarella – questo circolo è a via Fontanelle, dov’è il celebre cimitero, meta di turisti. La gente per strada si gira vedendo passare i turisti, una novità recente per la riapertura del sito, sentendosi finalmente celebri; e quando si torna indietro ti chiede: “Vi è piaciuto?”. La cura con cui fu allestito dalla fede popolare ha sostenuto la volontà di rimetterlo a posto di associazioni che vogliono puntare sul turismo; alla Sanità altri hanno reso accessibili con visite guidate le catacombe della Chiesa di San Vincenzo, gioiello di una corona di bellezze composta dagli antichi nobili palazzi di Napoli, di cui il Palazzo dello Spagnuolo è esempio. La guerra di camorra dunque in qualche modo fa giustizia (gotica), Lello era uno degli artefici di chi ha fatto sentire di nuovo il quartiere della Sanità un luogo da evitare quanto possibile.

Vera giustizia però invece fanno le 43 condanne alla paranza dei bambini arrestati un anno fa per l’assalto al clan della Sanità di Giuliano-Sibillo-Brunetti-Amirante (quelli che sparavano in terrazza per esercitarsi) formatosi per spodestare il clan Mazzarella, magliari più che spacciatori (a riprova che il problema non è la droga). Mazzarella regna dalla metà degli anni 90, dalle nozze di Luigino con Marianna Giuliano – peraltro oggi funestato dalla condanna di sette su nove condannati della famiglia Giuliano in altra indagine del pm Woodcock e De Falco. Viviana Lanza, che informa la città dalle colonne del “Mattino”, spera che ciò riporti calma nelle strade: i soldati oggi presenti nelle vie potrebbero esserne gli artefici, se non si continua, come si fa dalla nascita dell’Italia unita, ad affidare il compito ai capi bastone e a trascurare Napoli e il Mezzogiorno tutto.

Perciò, a fianco alle notizie di camorra il “Mattino” introduce lo stile napoli nobilissima che fu di Benedetto Croce. Su questo tema, va menzionato l’articolo di Cristiana Alicata, che sul momento di lasciare Napoli ne narra le bellezze. “Ho un debito con questa città come non lo ho avuto per nessun’altra, eppure ne ho abitate tante di città. Treviso, Torino, Bergamo, Roma, Zurigo. Le ho amate tutte, ma nessuna era mai riuscita a pretendere di essere mia, mia era solo Roma, che invece ultimamente si è chiusa persino ai propri abitanti. Ho trovato a Napoli un tessuto imprenditoriale sano, un’irrefrenabile creatività che sì, certo, è quello che si dice a Napoli l’arte di arrangiarsi, ma sta diventando qualcosa di più evoluto, non è un caso che Apple scelga di venire qui ad aprire il suo centro di sviluppo app” e seguita così… concludendo che Napoli merita molte narrazioni, anche Gomorra, i briganti sono ovunque, ma anche quelle tipiche dell’anima napoletana, vesuviana e artista, ironica sempre. Ma capace di cantare la primavera non con queste brutture ma con dolcezza massima di Salvatore di Giacomo: Era de Maggio …

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Gomorra: Bastardi per la gloria

di C. Gily Reda
Gomorra: la serie
Gomorra: la serie

Il titolo cita il commento di Conte all’indomani della prima partita vinta dall’Italia, ma nonostante la successiva sconfitta, va benissimo per definire lo sconcerto di fronte allo spettacolo del giorno: lo stesso in cui andavano in onda le due ultime puntate di Gomorra 2° serie. Ma quale gloria? E quale vita? osservavo in editoriale che qualsiasi sia il giudizio sul testo e sul filmato: questa gente non ride mai, non sorridono nemmeno a mogli e i figli. Gli autori spiegano che è perché si è descritta una guerra di camorra, e da questo punto di vista è una storia di assassini. Ma l’ambientazione nel quartiere di Scampia, come il racconto di Saviano, il dialetto stretto adoperato, portano all’identificazione col napoletano, falsa, ben diversa dalla tradizione: ma se non ridono mai, non sono napoletani. Piuttosto guerrieri, briganti, mercenari.

Gomorra è il resoconto di un episodio di una guerra non imposta, come tutte le guerre scatena la violenza primitiva dell’occhio per occhio, dente per dente – che era la legge dei Goti. Che infatti in Campania ebbero due ducati, Benevento e Salerno – non Napoli, che fu ducato autonomo, con Odoacre fu capitale dell’Impero Romano, dopo la morte di Romolo Augustolo a Castel dell’Ovo, l’antica Villa di Lucullo.

A quale gloria e a quale vita aspirano i mercenari, calciatori compresi è ben raccontato: ha il suo risvolto educativo nel mostrare una vita in cui nulla è desiderabile. Come i fratelli di Patrizia, molti preferiscono la povertà a una vita fatta di volgari tirate di cocaina, mini-regge di pessimo gusto e sesso orribile. Propone inoltre una riflessione sul problema della violenza – sempre attuale, nel sottile confine che la divide dalla forza – che è elemento indispensabile alla vita sociale e politica – ma questa va lasciata da parte perché è una storia di guerra, di quando finisce la politica. Persino l’apostolo Paolo (Lettera ai Romani), non solo Machiavelli, riconosce che c’è per essa un tempo:

Diventi la lor mensa un laccio, un tranello

e un inciampo e serva loro di giusto castigo!

Siano oscurati i loro occhi sì da non vedere,

e fa’ loro curvare la schiena per sempre!

Nello stato di guerra persino l’apostolo ritiene – in disaccordo con Cristo ma d’accordo con Pietro – che è umano auspicare e cospirare col nemico. Ma checché ne pensino Von Clausewizt e il nazista Schmitt (diceva che la parola del Fuhrer era la legge cui obbedire senza fiatare) diventato maestro della politica d’oggi, la politica liberal democratica che tutti oggi confessano crede invece sia la mediazione e la partecipazione. Con la logica dell’amico-nemico, non c’è né l’una né l’altra.

Le azioni forti e fuori legge sono indispensabili quando vanno al futuro sostenibile, quindi la domanda del “Quale fine” torna necessaria – ed è quel che una volta si chiamava mondo dei valori. Il valore ha in sé il suo limite, garantisce dall’eccesso e tende al fine e alla pace. Differenzia gli uomini la scelta dei fini da perseguire con forza; per chi è sconfitto sarà sempre una violenza, ma la misura è data dalla coscienza del valore, che porta a non infierire sul nemico, a non inseguire il potere illimitato. È l’opinione dell’”Osservatore Romano”: la descrizione di uno stato di guerra, dice, pecca per essere la totale visione di vita dei partecipanti: non hanno dubbi, nessuno crede di dover cambiare – quindi, non solo non sono napoletani, ma sono uomini border line. Mercenari: leggete notizie del Sacco di Roma, nell’era dei Medici, e capirete. Ci si meraviglia dei terroristi: ma da qualche parte pure devono essere finite le belve che paiono uomini. Tutti i filmati gialli mostrano combinazioni e mostruosità impensabili all’uomo comune. Per Gennaro Carillo il sacro in Gomorra è solo “la necessità del male”.

È facile capire a quale gloria miri Conte; certo, è l’opposto di de Coubertin, ma lo sport è una salvifica ritualizzazione della violenza, la fa decantare o almeno può farlo, se si prosegue l’opera iniziata solo alla fine del 1800 di dare regole allo sport. Si dimentica troppo spesso che il morto era frequente prima nel pugilato e nel calcio. Il secolo delle regole avviò l’azione dei club sportivi regolamentatori, che sarebbero necessari oggi ai fanatici.

È l’uomo di Agamben, che ha nel campo di concentramento la sua definizione, banale, come disse Hannah Arendt, che evita sempre la domanda di Primo Levi: Se questo è un uomo. Per distruggere l’individualità che trova nella solitudine la libera scelta, definisce l’uomo nel branco che sceglie il padrone, l’uomo di Gomorra impegnato in una strategia di potere simile ad ogni guerra. I tempi aulici di Cesare e Pompeo, dei triumviri e delle battaglie a tappe forzate – magnis cum itineribus – per sconfiggere Vercingetorige erano però narrati con altra classe! Ma vedere e ragionare sullo stato di guerra è abitudine nelle scuole: il pericolo qui è l’immersione che il testo visuale genera, che assorbe 1.200.000 spettatori svuotando le strade: questo rischia di mostrare una regola di vita. Persino nei Soprano c’è chi va dallo psicologo perché ha dubbi…

Ragionare di malvagità è necessario in tempi di terrorismo, decodificare attivamente il discorso e ragionare è la cura di questo male. Arte di ragionare è trarre dalle scene truculente una risorsa, e certo sono ben realizzate. Francesca Comencini, figlia e sorella d’arte, ne firma le peggiori, l’uccisione della bimba dopo bacio al crocifisso, la corsa in autostrada controsenso, il sesso tristissimo di Chanel… mostrano l’ottimo lavoro di Saviano, di Sergio Sollima, coordinatore, e del capo sceneggiatore Stefano Bises: basta capire che la malvagità sta nel combattere per la sola conquista di ricchezza e potere delude; il fine di vivere bene, conclude a vivere male. Piero Savastano e Patrizia a un certo punto sorridono, Piero dimentica Imma per Patrizia, lei, come dice, “prova a fare la moglie”: ma subito Genny si accende di gelosia e porta la pistola a Ciro l’Immortale perché uccida il padre. E Ciro che ha amato la figlia avendole ammazzato la madre e confessandoglielo nella spiaggia della morte, fa pagare a Piero la sua distrazione dall’odio… bam bam, anzi bam – un colpo solo in testa…  e infine vince l’orrore e la devastazione. Disgusto.

Effetto catartico o invito all’emulazione? I giornali sono pieni di considerazioni che spesso svicolano verso ‘il napoletano e la Campania’, non più quella Campania Felix dove sostavano lieti Cicerone, Cesare, Agrippina, ancora lontani dagli assassini. Non si bada alla volgarità dei personaggi, degli stili di vita assurdi disegnati come sommo desiderio – perché di questi personaggi tutte le fiction sono piene. Volgarità etica ed estetica anche quando sono vestiti da Prada. È un’opera letteraria la media literature, che merita giudizi particolareggiati come narrazione e come oggetto – anche se De Santis ammonì sull’unità di forma e contenuto – unità che la fiction realizza così bene da rendere necessario riflettere ancora. I Testi Visuali sono ortotesti, scritti bene, con una estetica diversa dall’ottocentesca. Ripensandone i criteri.

Ad esempio, l’effetto catartico: si dirà che per la catarsi ci voleva il coro greco: ma il coro ricostruisce l’audience dell’opera d’arte totale, teorizzarono Wagner e Nietzsche, non servono palcoscenico e spalti delle antiche rappresentazioni, che del pari mettevano in scena parricidi ed orribilità. Solo che l’audience è solitaria, e si ritrova in rete, decretando successi che danno troppo peso alla tecnologia e alla velocità più che ai contenuti. Il caos si presenta ad ognuno senza che vi siano criteri di giudizio dettati dalla tradizione, ma solo dal virtuosismo scenico.

Diseducativa diventa così la velocità d’intuire, di seguire la strategia dei guerrieri, accentuata dalla rapidissima pronuncia del dialetto e dal parlare a cenni, dall’assenza di pause di riflessione date da un sol personaggio in contrasto: correre veloci è il pregio della narrazione d’avventura, lascia senza fiato, coinvolge in una storia che vince la gara coi telefilm perché ha un nesso – Umberto Eco le definì ‘saghe’. Miti, che acquistano un sapore irriflesso che si fa costume, tanto più che esagerano, come tutti, in sesso e sangue. La cronaca nera ha sempre attratto, i telefilm gialli non si contano, ma le serie hanno successo perché sono storie, narrazioni, non letterature in frammenti: e l’avventura diventa potente.

Questa Guerra Criminale è una scrittura positiva o negativa a seconda di come la si legge. Basta ragionarci su senza subirle, farsi un’opinione personale. Non è problema da rimandare al singolo, occorre aprire alla ricerca ed alla scuola, in questo mondo che ha abolito l’infanzia, ovvero l’ha generalizzata tanto che il mito torna esplicitamente. Insomma, diamo pure al genitore il parental control, ma soprattutto cerchiamo di capire queste storie, prendiamole come spunto di conversazione e studio.

L’invasione di volgarità dei teleschermi e della rete deve giustamente preoccupare per evitare che l’imitazione divenga un modo di vita; ma l’importante è solo saper leggere un testo: basta recuperare l’arte di ragionare.

GF MEDIALITERATURE Gily Gomorra – Bastardi per la gloria