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GIORDANO
BRUNO E LA MAGIA: viaggio attraverso il tempo seguendo il lungo cammino di Bruno attraverso
l'Europa alla ricerca della profonda conoscenza dei segreti dell'umana
natura. Esistono pochissimi documenti autografi di Bruno e solo di sei manoscritti,
copiati non di suo pugno, ma da alcuni suoi allievi. Bruno aveva, infatti,
l’abitudine di dettare direttamente ai suoi segretari i testi o di affidare
loro i suoi appunti, alquanto difficili da decifrare, in quanto erano
soggetti ad un continuo lavoro di riscrittura. Delle modalità di scrittura
di Bruno abbiamo una testimonianza di un suo allievo, Raphael, che,
nella prefazione della Summa terminorum
metaphysicorum, scrive infatti: “Stans pede in uno, quantum calamo consequi possis, simul et dictare et cogitare; tam rapido
fuit ingenio et tanta
vi mentis”.( Summa term. Met.,N. I,4, p.5).
Bruno infatti, considera il suo lavoro come un “work in progress”, continuamente
soggetto a cambiamenti e revisioni. Lo si può constatare anche facilmente
dalle sue opere a stampa. In Inghilterra, per esempio, Bruno aveva l’abitudine
di assistere all’allestimento dell’edizione dei suoi scritti, apportando
continue modifiche e revisioni, a stampa oramai terminata. Bruno conserva
questa particolare abitudine di revisione anche durante il soggiorno
in Germania, controllando continuamente in tipografia, la stampa del
De minimo. Gli allievi- copisti di Bruno erano costretti a sostenere il ritmo del
loro maestro, attenendosi strettamente al suo dettato, senza avere alcuna possibilità di apportare modifiche. La sorveglianza
di Bruno sulle proprie opere, dovuta all’alta opinione che egli aveva
del messaggio da diffondere, unita alla delicatezza, complessità e novità
dei temi che affrontava, porta ad escludere interventi strutturali dei
copisti, qualora ci si trovi nei manoscritti di fronte a varianti o
oscillazioni tematiche che incidono in maniera significativa sul ragionamento.
I manoscritti cui facciamo riferimento per la nostra analisi sono
contenuti in tre differenti codici: il primo codice A è ad Augsburg, Staats- und Stadtbibliothek, Rar. 51, cartaceo
seconda metà del CVI secolo; il manoscritto contiene il De lampade combinatoria, le Lampas
combinatoria Lulliana tradita privatim in Academia Witbergensi a Iordano
Bruno Nolano, le Animadvertiones
circa Lampadem Lullianam, le Lampas
triginta statuarum, anche se il titolo non è indicato esplicitamente,
ma alla cc. 98r si legge:
Praefatio in Lampas triginta statuarum.
Il codice non presenta note
di possesso, ma è probabile, secondo un'ipotesi ricordata e discussa
anche da Remigius Stolze, che sia appartenuto a Johann Heinrich Hainzel,
cui Bruno dedicherà nel 1591 il De
imaginum compositione. Il secondo codice C di Erlangen, Universitatsbibliothek,
ms. 493 (Irm.1279), cartaceo della seconda metà del XVI secolo. Il codice
è di mano dell'allievo Hieronimus Besler, la sigla C per indicare questo
codice ricalca la scelta fatta da Tocco e Vitelli. In questo codice
individuato da Stolzle sono contenuti : I commentari agli scritti di
Meteorologia e Fisica di Aristotele,il De
magia naturali, le Theses de magia. Infine il codice M è a Mosca, Rossijskaja Gosudarstvennaja
Biblioteka, ms Norov 36, prevalentemente è cartaceo ad eccezione di
un foglio volante in pergamena con uno schema combinatorio della c.
161, proveniente dalla seconda metà del XVI secolo. La numerazione moderna
a lapis sul recto da 1 a 182,
si nota che la carta numerata 180 è in realtà un lacerto di altra mano,
contenente la ricetta di un collirio, incollato sul recto
della carta segnata 181; le cc. 1-5 e 99-160 recano i segni di una numerazione
precedente. La legatura è in pergamena ricavata da un codice di argomento sacro
vergato in gotica con capolettere e rubriche in rosso e blu. Sulla costola
si legge: Giordano Bruno Nolano, Oeuvres
autographes inédites. Per le cc. 1r-6r, il codice è autografo di Bruno; per
le cc. 162r-168r è di mano di ignoto; per
le restanti carte è di mano di Hieronimus Besler. Molti documenti manoscritti
sono conservati nel codice di Norov: una minuta autografa della lettera
al Senato di Francoforte; diagramma e appunti esplicativi autografi;
il De magia naturali le Theses de magia; il De rerum principiis et elementis et causis; la Medicina Lulliana; il De Magia
Mathematica; il De vinculis
in genere; le Lampas triginta
statuarum; l'Artificiosa methodus
medicinae ex Lullianis fragmentis; un abbozzo di ruota combinatoria.
La vicenda di questo codice è in alcuni suoi aspetti alquanto oscura.
"Eporté de l'Allemagne", viene messo in vendita a Parigi,
dal libraio Tross, nel 1866, e acquistato poco tempo dopo dal nobile
moscovita Avraam S. Norov (1795-1869). Probabilmente il codice era appartenuto
a Cristoph Gottlieb von Murr. Prima
di tutto, è stato difficile curarne
l'edizione, in quanto sono per lo più sono opere copiate da un allievo
di Bruno, Girolamo Besler, ma destinate ancora ad una rielaborazione
definitiva. Poi, Bruno contemporaneamente a queste opere lavorava ad
altri scritti; dunque, facilmente è possibile trovare richiami ad altre
opere. Infatti, negli anni della sua ultima produzione Bruno si dedicò alla
lavorazione di una serie opere che trattavano argomenti diversi, ma
tutti facenti capo alla stessa matrice ontologica originaria. Argomenti
che rivestivano un ruolo molto importante per la compenetrazione del
orizzonte cosmopoietico di Bruno. Un orizzonte che era ancora in via
di produzione quando il Nolano fu costretto ad interrompere il suo operato.
Resta aperto il problema della non pubblicazione di queste opere da
parte dell’autore quando era ancora in vita. Una risposta può essere
data facendo riferimento agli apparati che accompagnano i testi pubblicati
in questo volume. Effettivamente si tratta di opere incompiute, ancora
in via di una elaborazione finita. Probabilmente erano destinati
a delle lezioni od a dispute pubbliche piuttosto che ad una pubblicazione
immediata. Lo stesso Bruno si riprometteva di ritornarci in seguito
per definire il materiale ancora magmatico e non ancora conchiuso raccolto
nelle opere di argomento magico.
I testi di cui ci stiamo occupando, il De magia , il Theses de magia,
il De vinculis in genere,
la Lampas triginta statuarum, il De rerum principiis crearono le condizioni
principali per la reinterpretazione della figura e dell’opera di Giordano
Bruno. Sull’interesse che il filosofo Nolano nutriva per gli studi di
tipo magico e sull’astrologia del resto non ci sono dubbi. Eppure la
scoperta e la prima edizione nella fine dell’Ottocento di queste opere
fu considerata una scoperta eccezionale. Già in una famosa lettera dello Schoppius si fa cenno alle tematiche
di tipo magico e già emerge l’immagine del “Bruno mago” o almeno ne
risulta il suo forte interessamento per questa prospettiva. In tutte
le sue opere è sempre presente una traccia
di ordine magico: anzi, in molti luoghi del suo lavoro, la magia
è considerata la praxis prescelta per la realizzazione della
riforma di tutti i saperi, cui tendeva Bruno. Sia nelle opere italiane
che in quelle latine la magia
è considerata uno dei quattro rettori interiori degli atti: ogni azione,
infatti, é mossa da una causa interiore, amore, arte, matesi e, appunto,
magia. La quale è a mezza strada dagli “enti fisici” e dagli “enti metafisici”. Nonostante la magia abbia sempre avuto un ruolo chiave all’interno
del pensiero di Giordano Bruno, per lunghissimo tempo si è ritenuto
che gli scritti di carattere magico non fossero altro che un prodotto
marginale dell’esuberante creatività del filosofo Nolano. Per questo motivo l’attenzione della critica tra il XVI e il XVIII
secolo non investì particolari attenzioni alla ricerca e all’analisi
di questi trattati. Il rilievo eccezionale della pubblicazione di Tocco
e Vitelli è nell’averla messo a disposizione dei lettori il cui fuoco centrale verteva sulla magia. Anche se l’interpretazione
fornita da Tocco e Vitelli nella prima edizione del 1891 non fu decisamente
positiva, che infatti definirono gli argomenti trattati in questi manoscritti
come delle stravaganze e delle
bizzarrie, eredità incomprensibili di un mondo, di un età, che per tutti
gli altri aspetti, il Nolano si era messo alle spalle. Questa posizione
ermeneutica giaceva su un orizzonte di tipo teorico e storiografico
di stampo neokantiano che spinse Tocco a mantenere un atteggiamento
di cautela di fronte alla carica esplosiva accumulata da Bruno nei suoi
testi magici. Anche Giovanni Gentile, pur essendo decisamente distante dall’impostazione
teorica di riferimento adottata da Tocco e Vitelli, si trova d’accordo
nel ridimensionamento delle opere magiche assumendo un atteggiamento
ancora più diffidente verso le opere inedite, a tal punto da ignorarle
completamente nel suo lavoro di edizione. Secondo Gentile Bruno pur
sentendo profondamente i problemi del suo tempo restò fondamentalmente
fuori dal coglierne gli aspetti più profondi dal punto di vista più
propriamente filosofico e quindi, restò distante dalla dimensione più
propriamente pratica Chi incarnò il vero spirito del Rinascimento italiano,
per Gentile, non è Bruno, ma Tommaso Campanella, che ha saputo congiungere
"filosofia" e "politica".
Soltanto a partire dal Novecento è possibile dire sia avvenuta un’autentica
riscoperta del pensiero Bruniano che non ha messo da parte nessun aspetto
della sua concezione filosofica. La scoperta delle Opere Magiche nel ‘900 è legata fondamentalmente a due aspetti: da
una rinnovata concezione del Rinascimento, da una rinnovata concezione
della "modernità". La nuova attenzione per le questioni magiche,
astrologiche, ermetiche- comprese le opere magiche di Bruno - é parte
organica di una nuova, complessiva concezione della ragione, della natura,
dell'esperienza- in una parola della "modernità" - alla quale
bisogna saper guardare per comprendere anche la "scoperta",
nel nostro secolo, delle "opere inedite" di Bruno. Escono
dalle biblioteche, rinascono, quando s'incrociano con "problemi"
fondamentali della filosofia - e della cultura - del Novecento. E' stato un processo lungo e difficile che ha visto nel libro di
A. Corsano, Il pensiero di Giordano
Bruno nel suo svolgimento storico, Firenze, 1940, una tappa decisiva
nell'interpretazione di Bruno e della magia nel suo pensiero, per due
motivi; il primo è di avere sottolineato la matrice anti-umanistica
della "nova filosofia"; il secondo è proprio, quello di avere
valorizzato le opere magiche di Bruno, come momento cruciale della sua
vita, e per l'aspirazione pratica e "riformatrice" ad esse
attribuita. Fu propriamente con l'opera di Frances A. Yates Giordano Bruno e
la tradizione ermetica, London, 1964, che si ribalta definitivamente
il giudizio di Tocco, sui tesi inediti di Bruno.
La Yates addirittura fa di queste opere la chiave di volta di
tutta l'esperienza umana, intellettuale e filosofica del Nolano. La
Yetes, che inizialmente aveva preso le mosse da altri spunti e da altri
interessi rispetto alla vita di Bruno, individuò nel "motivo"
ermetico e nella connessione tra ermetismo e magia, il maggior contributo
nell'interpretazione di G. Bruno nel nostro secolo. In particolare,
l'importanza delle tesi della Yates sta nel rapporto che si viene a
costituire tra questa immagine di Bruno e una specifica concezione della
modernità, entro cui gli elementi ermetici assumono valore cruciale.
E su questo sfondo la concezione in chiave emetica del copernicanesimo
e della rivoluzione scientifica moderna è ricondotta su binari di carattere
essenzialmente "religioso". Sul piano scientifico dell'interpretazione
di Bruno, i punti da mettere in risalto sono questi: la drastica riduzione
di tutto il pensiero di Bruno alla tradizione "ermetica",
dalle prime opere fino alla fine; la concezione dell'intera "riforma
bruniana" come integrale radicalizzazione della magia ficiniana;
la dissoluzione della dimensione specificamente "filosofica"
della posizione di Bruno, che la Yates non prende in alcun modo in considerazione. Negli ultimi studi sulle opere magiche di Bruno si è sentita soprattutto
l’esigenza di emancipare la figura di Bruno da dalla "tradizione"
ermetica, individuando i caratteri propri della sua magia e lo sforzo
che egli fa per procedere in modo autonomo rispetto alle sue fonti-
da Ficino ad Agrippa- elaborando una concezione dell'operare magico
di carattere naturalistico, fisico, che liquida consapevolmente le componenti
di carattere religioso, astrologico, misterico, inserendosi pienamente
nell'ontologia della Vita- materia- infinita. Questa sono le linee fondamentali
di analisi e interpretazione che ha seguito Michele Ciliberto nella
edizione 2000 degli scritti magici, pubblicando tutto il III volume
delle Opera latina conscripta, con l'eccezione dei Libri Physicorum, che solo con una forzatura avrebbero potuto essere
ricondotti alla riflessione di carattere magico. L'aspetto che più interessa la dimensione attuale di ricerche sulle
opere di magia del Nolano è il rapporto tra filosofia arte e magia,
come abbiamo già visto. Secondo anche le tesi che Paolo Rossi sviluppa riguardo ai rapporti
tra ars mnemonica e magia,
Bruno ricorre all'uso dei sigilli, dei simulacri, dei simboli che rappresentano
degli elementi costitutivi di quel linguaggio mistico- rituale che solo
può aprire la strada a colloqui divini. In Ars combinatoria , (edizioni Spirali, Napoli,
1999),Aldo Trione indica proprio nell'idea di poiesis il luogo in cui mano a mano si vanno esaurendo le linee generali
e i percorsi della filosofia di Bruno. Un'idea che si sforza di saldare
insieme il pitagorismo con il platonismo e di costruire a partire da
questo un metodo del sapere scandito su rigidi criteri logico- gnoseologici
e su rigida categorie formali. Lungo queste traiettorie la matematica pitagorica, permette di intrecciare
piani diversi della realtà con i modi diversi dell'anima, definendosi
come una pratica "divinamente ispirata". Ma, "l'idea
di numero", come scrive Trione, "che percorre taluni itinerari
della filosofia occidentale (dal neoplatonismo alle culture mistico-
platonizzanti, a quelle cabalistiche, fino a Lullo, a Bruno, al simbolismo
barocco…) definisce il movimento e le direzioni di una poiesis
come luogo in cui si annoda l'infinita trama del cosmo, come sigillo
che ritma e vivifica la natura". Come Pitagora, Agesilao, Zoroasto,
il nucleo principale di interpretazione della realtà è un'ontologia del numero come la condizione per pervenire, per conoscere
l'ordine delle cose con le cose! Bisogna sperimentare, dunque, dei percorsi
che si spingono oltre i rigidi parametri razionali e attraverso luoghi
talvolta ardui e inospitali cercare di decodificare il mondo attraverso
le immagini, i simboli e le figure che riflettono la verità dell'universo. Le Opere Magiche:
L’officina di Bruno
Evoluzione e differenze del pensiero
magico di Bruno attraverso questi sei testi. Come intendere la magia,
l'astrologia e le altre scienze occulte alla luce di un intelletto illuminato I testi magici di Bruno vanno letti ed interpretati
sempre all’interno di un orizzonte cosmologico e ontologico che, partendo
da una rielaborazione di Aristotele attraverso i testi e le interpretazioni
di matrice averroistica, dallo studio di testi di matrice neoplatonica
e pitagorica, dallo studio di testi di antica ascendenza magico ermetica,
si era andato costituendo lungo tutto l’arco di elaborazione filosofica.
Che Bruno sia sempre stato interessato agli studi di carattere magico,
ermetico e cabalistico, emerge anche dagli approfonditi studi di carattere
mnemotecnica di origine lulliana e dall’elaborazione di una ‘Logica
fantastica’, inserita all’interno del rinnovamento delle modalità
gnoseologiche della realtà, grazie ad una riforma enciclopedica del
sapere. Pochi sono i punti nodali attorno a cui si snodano
questi trattati. Innanzitutto, il fondamento della magia è nella pienezza
dei poteri che investono ogni cosa: il valore di ogni singolo ente dipende
non dalle qualità intrinseche, quanto dalla possibilità di entrare in
comunicazione con la totalità degli enti. Questa possibilità si potenzia
e attua pienamente attraverso l’operare magico. A questo proposito è importante indagare i legami che
intercorrono tra le diverse ramificazioni del pensiero di Bruno e in
particolar modo, il ruolo che in questa rete vengono a svolgere le opere
magiche: che con i loro incantesimi, magie, descrizioni di potenze occulte
non fanno altro che confermare il discorso ontologico di Bruno e portarlo
a compimento. L’intelletto umano, il filosofo, è intimamente trasformato attraverso
questo percorso della conoscenza che fa suoi strumenti preziosi l’arte,
la magia, l’amore, la mathesis e il fare poietico e che cercando fuori
nel mondo ”pazzo, sensuale, cieco e fantastico ”come secondo le parole
di Bruno stesso, la verità di
tutte le cose si ritrova ad essere sé stesso oggetto della propria indagine,
perso su un cammino. diventa egli stesso la strada che sta percorrendo
e “comincia a vivere intellettualmente”. Il primo grande enigma legato alle opere che trattano argomento magico
di Giordano Bruno è legato alla storia di queste opere. Non furono mai
pubblicate dall’autore quando era in vita. La prima risposta a questa
questione va cercata negli apparati di a cui fanno riferimento questi
testi. Effettivamente si tratta di opere incompiute, ancora in via di
una elaborazione finita. Probabilmente erano destinati
per delle lezioni o per dispute pubbliche e non per una pubblicazione
immediata. Lo stesso Bruno si riprometteva di ritornarci in seguito
per definire il materiale ancora magmatico e non ancora conchiuso raccolto
nelle opere di argomento magico. Dei testi che vengono raccolti sotto l’argomento della magia esistono
più redazioni, di cui quella che viene analizzata in questa tesi rappresenta
solo una, l’ultima, forse la più completa edizione ,ma di certo non
quella definitiva per lo stesso Bruno. Questo ha sempre contribuito
a far crescere il fascino e l’interesse attorno a questi lavori che
trattano tematiche per un verso insolite ai lettori contemporanei e
per un altro verso del tutto originali. Inoltre, attraverso queste opere
ci è permesso di gettare uno sguardo “nell’officina di Bruno, sorprendendolo
al lavoro, mentre torna, e ritorna sui vari testi per modificarli, o
addirittura cambiarli, assumendo nuove posizioni.” ( Opere
Magiche, ed. ADELPHI a cura di Michele Ciliberto, INTRODUZIONE.
Pp. XII). Per esempio, un ruolo importantissimo in questi scritti lo svolgono
i “marginalia” che Bruno talvolta inserisce direttamente nel testo e
talvolta elimina rielaborando e variando la sua posizione. Ad ogni modo
le coordinate per penetrare a fondo i testi sono due: la prima è che
per potere essere compiute e perfezionate le opere magiche avrebbero
richiesto quel tempo che fu tolto a Bruno dagli uomini o dalla sorte.
L’altro motivo che permette di capire perché questi scritti non furono
pubblicati è che, contemporaneamente alle opere magiche, Bruno lavorava
ad altri testi che riteneva altrettanto fondamentali e che considerava
già giunti ad un livello di maturazione definitiva dal De
minimo, al De monade, dal De immenso, al De imaginum compositione,
tutti usciti tra il 1590 e il 1591, gli ultimi due anni di vita come
uomo libero. Fino alla fine della sua vita Bruno lavorò contemporaneamente
su più livelli di una stessa elaborazione concettuale di quelli che
rappresentano i punti nodali della sua “nova filosofia”, dalla cosmologia
dell’infinito all’arte della memoria. Nell’analisi delle opere magiche seguiremo una scansione per tre
grandi aree tematiche ; il primo testo analizzato è le Lampas triginta statuarum , trascritta a Padova dall’allievo di Bruno
Hieronimus Besler nell’autunno del 1591. Il secondo blocco contiene
le opere a stretto contenuto magico: De
magia mathematica, De magia naturali, Theses de magia. Sono tre
testi strettamente collegati l’uno all’altro, anche da espliciti richiami
interni, nei quali Bruno espone con chiarezza e sistematicità le sue
concezioni magiche; il De vinculis,
in cui è ripresa la tematica del “vincolo” e del “vincolare” ripresa
nel De magia naturali. A questo blocco ne segue un secondo nei quali la
riflessione magica si estende ad aree e tematiche di carattere fisico,
astronomico e astrologico: De
rerum principiis, e Medicina lulliana. Questi due testi in modo
particolare si richiamano fortissimamente l’uno all’altro con frequenti
ed evidenti rimandi. Iniziamo dalle Lampas,
di cui vale la pena approfondire alcuni aspetti di carattere strutturale
soprattutto per inquadrare immediatamente il forte nesso tra “filosofia”
e “magia”, tra magia e ontologia.
Le Lampas triginta statuarum,
prima delle opere scritte da Bruno, tra quelle che non furono pubblicate,
a Wittemberg, durante il soggiorno in Germania intorno al 1587. Questa
opera fa parte della cosiddetta trilogia delle “lampade”: il De lampade combinatoria lulliana, il De progressu et lampade venatoria logicorum, e appunto, le Lampas triginta statuarum, rimase inedita
fino al 1891, quando Felice Tocco e Girolamo Vitelli decisero di pubblicare
le opere inedite di Bruno e di presentarle in una Memoria letta all’Accademia
napoletana di Scienze Morali e Politiche. L'opera ci è stata tramandata
da due testimoni, A ed M. Del primo non conosciamo il nome del copista;
il secondo è invece di mano di Besler. Entrambe le copie sono scritte
in maniera nitida e poche sono le correzioni che ad ogni modo sono leggibili.
La copia di A appartiene al periodo wittemberghese, nella primavera
del 1587. Sul testo della Lampas
non sono indicati né il titolo né il nome dell'autore e il trattato
si apre con il titolo della sezione: Praefactio
in Lampadem triginta statuarum. Il trattato custodito nel codice
Norov costituiva in origine un fascicolo a sé, infatti, presenta una
numerazione più antica. Particolare cura Besler pone nell'indicare la
numerazione dei capitoli e le date di inizio
e di fine della sua trascrizione. Per quanto riguarda la storia
di questo scritto ricaviamo notizie dallo stesso Besler che in una lettera
allo zio Wolfgang Zeilese, del 12 aprile 1590, scrive che alla vigilia
della sua partenza per Helmsedt, Bruno gli aveva commissionato una copia
del trattato, ma poiché stavano entrambi per abbandonare l'Accademia
Iulia, il testo viene approntato solo in seguito, quando il Nolano ospite
di Mocenigo, a Venezia, stringe di nuovo contatti con Besler, che studia
medicina a Padova e che invita il suo maestro a tenere un ciclo di lezioni
agli studenti della "natio germanica". L'opera infatti viene
copiata a Padova tra il settembre e l'ottobre del 1591. Le Lampas, un autentico
capolavoro tra le opere di Bruno, rappresenta una sorta di “enciclopedia
delle scienze filosofiche”, tale è la ricchezza di temi che Bruno fa
risuonare in questo testo veramente capitale. Ma soprattutto dimostra
come l’incontro di Bruno con la magia non sia stato del tutto scontato
o lineare, ma anzi, come questa riflessione scaturisca da uno spunto
di matrice ontologica, visto soprattutto il lavoro di revisione cui
Bruno sottopose, in seguito, questa opera, soprattutto sui punti teorici
più delicati a partire dalla concezione dell’anima. Ad una prima lettura
può addirittura sembrare che il Nolano nelle Lampas, voglia prendere le distanze dalla
“arte magica”. Infatti non si confronta con motivi di matrice ‘ermetica’
o ‘cabalistica’, che sono quasi del tutto assenti. Addirittura i pochi
accenni che vengono fatti sulla “magia” sono di carattere critico, se
non del tutto negativi. Bruno in alcune pagine ridicolizza esplicitamente
la figura del mago e soprattutto la “credulitas”
di chi si lascia irretire fino al punto da farsi servo della volontà
degli altri. Infatti, Bruno aveva in mente un’altra specie di magia,
molto diversa da quella in circolazione ai suoi tempi, con la quale
non si stanca mai di polemizzare sia nel De
magia naturali, si nelle Theses de magia. Aveva intenzione cioè
di portare la magia su basi solide, ovvero naturali. Per fare questo
egli aveva bisogno di riprendere i punti nodali della sua riflessione
ontologica e da qui fare scaturire una concezione della magia ben lontana
da quella che egli trova proclamata anche nelle “fonti” che utilizza
e alle quali fa, direttamente o indirettamente, riferimento. Questa
è l’importanza fondamentale delle Lampas e specialmente per due motivi; innanzitutto,
ponendo l’accento sulla materia e sulla sua “volontà insaziabile”, Bruno
dissolve la struttura gerarchica dell’universo espressa dall’immagine
della “scala naturale”. Per conoscere la natura occorre non solo mettersi
dal punto di vista dell’unità, ma anche volgere lo sguardo in direzione
delle differenze, della varietà. Quindi bisogna raccogliere in sé un
duplice movimento, da un lato bisogna afferrare l’unità della realtà,
dall’altro, cogliere la specifica dignità di ogni essere, che , per
quanto minimo, è pur sempre partecipe di senso e di vita. E volta per
volta è importante afferrare la pluralità di relazioni, che secondo
modi infinitamente vari, connettono ogni ente agli altri enti, nell’unità
della natura. In sintesi, nelle Lampas Bruno dissolve integralmente i fondamenti
ontologici della “scala naturale” di tradizione aristotelica, alla luce
della concezione della materia elaborata, essenzialmente, nel De la causa. In secondo luogo, Bruno disintegra
le concezioni di tipo deterministico, sia sul piano della concezione
dell’uomo che della natura, impegnandosi nella ricerca di uno spazio
entro cui possano collocarsi libertà e responsabilità. Anche in questo
caso, Bruno parte da Aristotele, ma svolge la posizione di quest’ultimo
in modo assai originale, dissolvendo la struttura gerarchica dell’universo,
in cui ogni creatura occupa una posizione ben definita. Bruno dissolve
ogni idea di “primato” umano, ponendo l’accento sul fatto che l’uomo
non è per natura superiore agli altri animali, con i quali condivide,
sia pure in forme diverse, senso e intelletto. Tanto meno se ne distingue
dal punto di vista gnoseologico, poiché molti animali sono in grado
di ragionare con altrettanta acutezza e penetrazione. Il primato dell’uomo sugli
altri animali, non è una dote naturale, bensì è qualcosa che si costruisce
nel tempo, è una conquista destinata a compiersi ed attuarsi attraverso
uno sforzo che non tutti –e non sempre- sono in grado di fare e, soprattutto,
di compiere allo stesso modo e conseguendo ai medesimi risultati. Ma
a partire dalla propria condizione, l’uomo, potenziando le proprie capacità
intellettuali, può oltrepassare il “limite” naturale, trasformandosi
in “sapiente”, o addirittura in “eroe”. Per Bruno è proprio questa
la quinta e ultima classe dei viventi; oltre il piano degli esseri dotati
di ragione e intelletto c’è la dimensione “eroica”, ma ad essa non si
accede per destino naturale o per grazia divina. Come già aveva scritto
nei Furori, si può diventare “eroi” solo in
seguito ad una scelta consapevole, al termine di un aspro, e lungo,
processo di purificazione interiore. Nelle Lampas Bruno amplia
la sua concezione della materia descritta nel De la Causa. L’universo, per il Nolano, è un organismo vivente, in
cui la materia si muta continuamente, da un lato dissolvendo ogni ordine
e gerarchia, dall’altro, intrecciandosi all’opera dell’uomo, crea nuovi
ordini e diversi da quelli esistenti, mentre per Aristotele la “scala
naturale” non è una struttura fissa e statica, bensì è un processo di
trasformazione infinita. E proprio grazie al processo di continua mutazione
della materia che si intreccia con l’operare umano si generano le infinite
possibilità del prodursi di forme nuove. Allo stesso modo l’uomo può
imparare a mutare l’ordine e il corso naturale e trasformando la natura
può anche imparare ad agire sul proprio destino, determinandolo e sottraendosi
alla condizione bestiale e diventando sapiente ed eroe. Questo punto è molto importante e ci ritorneremo più approfonditamente
in seguito, quello che ora preme sottolineare è lo strettissimo intreccio
tra filosofia e magia, tra magia e ontologia che distingue la posizione
generale del Nolano. E’ dalla riflessione svolta in questo testo che
sgorga un primato del sapere e della praxis
che, consentendo di comprendere e trasformare la natura, apre la strada
ed un operare magico fondato su basi integralmente “scientifiche” e
naturali. Sullo sfondo costituito da un universo animato, tramato da
simpatie e consonanza, Bruno installa nella magia l’arte naturale che,
riconoscendo le differenze tra le cose e l’infinita molteplicità dei
sentimenti umani, indica i modi con cui è possibile agire sui rapporti
tra i singoli enti, intervenendo nel processo di metamorfosi e agendo
nella complessa dinamica degli
affetti. In conclusione, è dall’ontologia
che prendono inizio le Lampas
ed è per questo che è anche importante analizzare quest’opera all’inizio,
perché è utile per comprendere la genesi della riflessione magica di
Bruno. Il punto di novità che Bruno apporta a questo tipo di metodologia
di comprensione della realtà è nella costituzione sistematica del nesso
"figurato"- "infigurato" e nella connessione, su
questo sfondo, di figurazione e statuificazione. Ne scaturisce una originale
stratificazione della realtà ed una conseguente "scala dell'essere"
che presenta dei caratteri di forte innovazione rispetto a quella presentata
da Lullo, e a sua volta Bruno costruisce una complessa e molto bene
articolata trama di relazioni tra gli esseri
e la verità, orientata soprattutto in un senso pratico operativo.
Alla base di questo ragionamento sta la consapevolezza dell'intimo
legame che vincola l'anima umana alla verità. Proprio tramite l'anima
umana, che è finita e limitata, è possibile attingere alla verità, in
quanto solo una luce debole e adatta allo sguardo umano permette di
vedere le cose. Nelle Lampas, per questo motivo riveste un ruolo
chiave l'immaginazione che permette di fissare saldamente nella memoria
catene di idee e di immagini, combinandole in figure infinitamente varie,
così da enucleare e rendere espliciti i molteplici significati che si
celano in ciascun concetto e in ciascuna dottrina. E' in questo punto
che si incontrano con maggiore evidenza magia, conoscenza e poiesis,
nell'intreccio tra l'uomo, il mondo e l'essere come Verità. La libertà
umana in questo orizzonte ontologico e gnoseologico riveste un carattere
di praxis fortemente accentuato, perché è proprio nel limite connesso
alla condizione esistenziale dell'uomo che si esplicano le molteplici
ed infinite possibilità di raggiungere la verità. Qui la Lampas si connette ai risultati teorici acquisiti nel De la causa, imperniandosi sulla distinzione
fondamentale tra "Dio" e "accidente". Ugualmente
anche nel trattato di arte inventiva il fondamento ontologico della
realtà è individuato in una materia vivente che non attende di ricevere
dall'esterno vita e perfezione, perché già racchiude nel proprio grembo
il principio stesso di tutte le forme. "Principio materiale"
e "principio formale" finiscono per identificarsi ponendo
fine al primato dell'anima come forma e allo stesso tempo ponendo fine
al primato dell'uomo sul resto delle altre creature viventi. La Lampas
è tutta intrisa di un
forte tensione tra l'esigenza di sviluppare il quadro ontologico presentato
nel De la Causa e la volontà di tematizzare
una praxis mnemotecnica e
gnoseologica volta a perseguire in modo programmatico, un risultato
che è fuori dalle leggi di natura. Intrecciando la forza dell'intelletto
al potere dell'immaginazione, il metodo proposto da Bruno individua
pertanto un itinerario interiore in grado di riscattare la condizione
limitata dell'uomo, trasformando una vicenda naturalmente finita in
un'esperienza dell'infinita verità divina. Una nota particolare merita l'uso che Bruno effettua della lingua
in chiave totalmente antipedantesca. Bruno non è il sostenitore di un
ritorno al linguaggio naturale, ma costruisce una logica che permette
di vigilare sull'uso delle parole e sul senso che ad esse viene attribuito,
favorendone un uso corretto. In conclusione, nelle Lampas
si intrecciano motivi ontologici, logici e linguistici in uno scenario
che si apre dalla praxis lulliana alla praxis magica. Ma più a fondo,
l'importanza e il fascino di questo testo straordinario stanno nella
potenza e nella chiarezza con cui vengono messi in relazione ombra e
luce, lungo quella scala dell'essere
che costituisce il fondamento unitario della sua "nova filosofia".
Bruno più volte fa riferimento all'immagine di stampo platonico, del
gioco degli specchi e questo per un motivo ben preciso; infatti, per
il Nolano le ombre e i riflessi che affiorano sulla superficie dello
specchio non sono strutturalmente ingannevoli, proprio perché nell'ombra
e nel riflesso si esprime una verità che altrimenti risulterebbe inattingibile.
Sono temi questi che provengono direttamente dal De umbris idearum, testo chiave per la
comprensione della visione ontocosmopoietica di Bruno. Inoltre, riflettendo
sulle superfici riflettenti, Bruno non si limita a ricordarne le straordinarie
virtù mimetiche, ma insiste con pari vigore sulla capacità di riformulare
la realtà, presentando le medesime cose in una diversa posizione, o
in forme alterate. Sullo spunto platonico, agisce dunque, il tema dell'infinità:
fonte di immagini infinitamente varie, lo specchio interiore teorizzato
nell'opera sulle trenta statue non è un ricettacolo passivo, ma una
forza che continuamente trasfigura le realtà esterne. E' profonda l'analogia
che vincola l'opera dello specchio all'azione della facoltà fantastica,
per la cui virtù i simulacri custoditi nella memorie dell'uomo sono
combinati in forme parimenti molteplici.
Nelle Lampas sono teoricamente giustificate, sul piano sistematico, la concezione
bruniana della genesi e della struttura della realtà e la visione della
scienza e della venatio che
da essa intimamente scaturisce. Da questa prospettiva si comprende meglio
il significato della problematica magica nelle altre opere del Nolano.
Il De magia methematica,
il De magia naturali, le Theses de magia, il De vinculis in genere, il De
rerum principiis, la Medicina
Lulliana, sono le restanti
opere magiche che furono composte da Bruno durante il soggiorno francofortese
e che rimasero inedite fino alla pubblicazione del 1891 ad opera di
Tocco e Vitelli. Come si è detto più sopra resta ancora da stabilire
con certezza perché queste opere non siano state pubblicate da Bruno
quando era ancora in vita. Una cosa è certa, le opere di carattere magico
presentano aspetti di incompiutezza e in alcuni punti si rivelano incompiute
e con dei punti ancora da definire chiaramente. Prima di analizzare
le tematiche principali di queste opere conviene partire da una analisi
di ciascun testo individuandone i nodi focali di sviluppo e le fonti
da cui Bruno trasse spunto. Il De magia mathematica,
è un breve trattato che si configura come una vera e propria antologia
nella quale sono raccolte, ora in forma di parafrasi, ora in forma di
citazione puntuale ampie sezioni del De
occulta philosophia di Agrippa, della Steganographia
di Tritemio e del Liber aggregationis
attribuito ad Alberto Magno. Rimasto fino ad oggi in gran parte inedito,
il De magia mathematica è importante in quanto
rappresenta il vero e proprio laboratorio nel quale Bruno, a partire da un ampio e puntuale confronto con
alcuni testi cardine della riflessione magica, individua dei tracciati
che saranno ripresi in tutte le opere a carattere magico. Ad ogni modo
resta uno scritto prevalentemente incompiuto. E in molti punti Bruno
è costretto a sacrificare alla coerenza del tracciato filosofico per
lasciare spazio a delle lunghe divagazioni esplicative del carattere
del suo pensiero magico. Nonostante questo il Nolano selezionò attentamente
gli spunti e le suggestioni da cui partire dalle sue fonti. Assente
dal codice Norov, il titolo De magia mathematica è stato attribuito
all'opera dai suoi due primi editori, Tocco e Vitelli, in quanto gli
argomenti contenuti in esso sembravano appartenere a questo genere di
dottrina. Bruno infatti, distinse immediatamente la magia in tre parti:
la "divina", la "matematica" e la "fisica".
La seconda di queste tre si presenta come una disciplina intermedia,
che può volgersi, a seconda dell'uso che se ne fa e di chi la usa, sia
al bene che al male. Anche in questo lavoro, di argomento prettamente
magico, subito compare l'argomento della "scala naturae",
che abbiamo visto rivestire un ruolo di primo piano nelle Lampas triginta statuarum, e che proviene
direttamente dall'orizzonte ontologico definito nel De infinito. Anche qui quindi l'argomento della praxis magica è il punto cruciale per disporre in modo organico e
articolato ogni nozione. Innanzitutto,
viene esaltato il primato della phantasia
e imaginatio, che sono le facoltà che presiedono alla costruzione
delle immagini e che individuano
un momento particolarmente importante e delicato nella facoltà conoscitiva.
Infatti, fantasia e immaginazione sono le facoltà intermedie tra senso
e ragione e fanno riflettere sul corpo proprio e altrui il gioco complesso
delle emozioni alterandone caratteri e funzioni. Quasi un gioco di Specchi, gli stessi che nelle Lampas
permettevano di raggiungere il senso veritiero delle cose, al crocevia
tra un gioco di rimandi e un processo di creazione mitopoietica. Un
ruolo di fondamentale importanza riveste in queste la fides
all'interno del processo conoscitivo, secondo cui l'intimo "assenso
del soggetto è essenziale per il buon esito di ogni operazione fuori
dal comune e apparentemente "miracolosa". L'analisi delle
potenze cognitive e del complesso rapporto che si instaura tra senso,
fantasia, e ragione dà risalto al ruolo centrale della fides;
è questo il punto centrale su cui si radica l'efficacia delle tecniche
di convincimento, e in generale di tutte le pratiche dei maghi. Fondata su un suggestivo intreccio di temi neoplatonici e stoici,
e connessa in modo organico con l'interpretazione della dottrina del
Timeo platonico, la dottrina dell' "anima
mundi" si innesta sull'ontologia della vita- materia infinita.
Questo tema attraversa in forme più o meno esplicite le opere di alcuni
autori latini, in particolare Cicerone e Virgilio. Variamente interpretata
nel medioevo, viene interpretata ora come espressione della volontà
divina, ora come forza naturale. L'idea dell'anima
mundi come principio unificatore del cosmo viene ripresa da Ficino
nel De vita caelitus comparanda. Nel De magia mathematica, il motivo dell'anima
che, presente in tutte le cose, si estende da estremo a estremo, unifica
piani diversi dell'essere e garantisce uno scambio perenne di forze,
fuori da ogni ordine gerarchico, costituisce uno dei cardini della "nolana
filosofia". In questo testo Bruno sottolinea il nesso organico
che sussiste tra "vita", "anima" e sostrato corporeo,
sottolineando l'inconsistenza di quelle dottrine che fanno derivare
l' "anima vivens" da una realtà "non vivens". "Anima"
e "vita" non possono dunque germinare, se non da un principio
ugualmente vivente; come fondamento del dinamismo naturale si pone un
sostrato animato che non riceve vita dall'esterno, ma la possiede tutta
in sé. Tornano, seppure in un contesto diverso, le strutture a carattere
teorico del De la causa che portano in primo piano
il concetto della materia- vita- infinita, principio della vicissitudine
universale. A questo discorso si riaggancia anche il tema della trasformazione
degli uomini mortali in demoni o dei, estratto dal De occulta philosophia di Agrippa. Il tema, ricco di suggestioni magiche
e astrologiche dai caratteri fortemente marcati, rappresenta una vera
e propria costante nelle opere di Bruno che fa capo ad una tradizione
che intreccia spunti tratti dal De
daemonibus di Michele Psello, ad interpretazioni della demonologia
ebraica e l' esegesi biblica. Un tema ricorrente nelle dottrine magiche
di ascendenza platonica e neoplatonica è l'analisi delle vie e dei riti
che permettono di mettere in comunicazione umano e divino che si aprono
spesso a suggestioni mistiche e teurgiche. In primo piano, emerge il
"vincolo", che viene indicato come il mezzo principale per
riannodarsi ai legami tra principi naturali e forme divine e modificare
la realtà. E' un passo importante questo perché permette di vedere come
Bruno analizza e rielabora le parole scritte in proposito di Agrippa,
giungendo ad un riflessione del tutto originale. In Bruno balza in primo
piano il tema della solitudine che è la condizione fondamentale sia
per il mago che per il filosofo. In queste pagine l'autore individua
nella vita solitaria e separata dal consorzio civile uno dei caratteri
che contraddistinguono tutti i grandi filosofi, i profeti e i maghi.
Questa è la caratteristica che unisce l'esperienza dei grandi maghi,
dei fondatori di religione e dei profeti: la straordinario affinamento
interiore che si conquista attraverso la solitudine. Mentre Agrippa
si concentra soprattutto sul "ratto" divino, che può rendere
poeti anche individui ignoranti e rozzi, Bruno pone l'accento e importanza
sul tema della solitudine, mettendo da parte quello del "ratto"
divino. Il tema dell'esperienza eroica di coloro che si ritirano in
solitudine per affinare la propria forza speculativa, intreccia temi
di matrice agrippiana a spunti svolti nel Sigillus sigillorum dal Nolano. E' importante che Bruno, non presta
particolare attenzione all'analisi dei culti e riti magici, in quanto
il suo scopo principale è essenzialmente
mettere in luce i principi teorici fondamentali della sua praxis magica; in questa prospettiva è
poco rilevante una analisi dettagliata di riti, come invece si legge
nel De occulta philpsophia. Il potere principale resta,
per Bruno, quello della fantasia, che è la facoltà privilegiata in ambito
di attività magiche. Attraverso questa facoltà è possibile studiare
per ciascun soggetto le strategie più opportune a dominare i meccanismi
complessi che regolano il "consensus" dei diversi soggetti.
Il titolo De magia viene
dato da Tocco e Vitelli al De
magia naturali, riprendendo le prime parole del testo. Bruno apre
il trattato con una dettagliata rassegna dei tipi di magia e dei tipi
di mago, questo è un elenco che compare spesso nei testi magici come
una genealogia dell'antica sapienza. Per Bruno la magia è un sapere
che non deve essere insegnato a tutti, ma che non per questo è inaccessibile.
La differenza sta nel soggetto che accoglie la sapienza, non nel contenuto
del sapere. Bruno pone l'accento per la dimensione "pubblica"
che, anche la magia, come ogni altra scienza riveste. La differenza
principale tra magia matematica e magia naturale è che la prima ha la
caratteristica di essere intermedia tra il mondo naturale e quello extranaturale
e di operare in modo simile alla natura, ma di non partecipare né della
divinità né della verità. Allo stesso modo in cui il medio si dà come
partecipazione dei due estremi, in quanto li connette, così come l'amore
è il punto di incontro tra amante e amato o come esclusione degli estremi,
così la magia matematica è mediana tra la magia fisica e quella divina
perché distinta da esse. Invece,
la magia naturale meccanicamente applica i principi attivi e passivi,
mentre la magia naturale propriamente detta
opera facendo perno sul principio della simpatia, cioè sull'armonia
che vige nell'organismo universale, mantenendone unite le parti malgrado
la loro varietà. Il mondo della magia naturale propriamente detta è
dunque un mondo vivo, che vibra, cerca il suo simile, si allontana dal
dissimile. Non obbedisce ad una legge certa, stabile, valida sempre
e comunque; ma si adatta momento per momento alle situazioni che si
profilano. Assieme all'elencazione precisa dei significati del termine
"magia", Bruno ne fa ,allo stesso tempo, una valutazione,
escludendo da subito categoricamente ogni riferimento alla magia demonica,
soprattutto per salvaguardare l'autonomia e libertà del soggetto conoscente
e operante. L'uomo in quanto soggetto operante e conoscente è egli stesso
inserito del processo conoscitivo, ovvero nella "scala naturae",
e non occupa una posizione predominante in essa. Per ottenere un ruolo
e una funzione operante in esso deve sviluppare le proprie potenzialità
e superare i propri limiti. La "scala della natura" per Bruno
è qualcosa di estremamente evidente. Infatti nelle opere magiche di
Bruno non c'è nessun elemento che vada mantenuto segreto e misterioso.
Dio che nella scala riveste il ruolo più alto,
per Bruno, non è attingibile da nessun punto di vista; è sciolto
da ogni vincolo e operazione magica. Infatti, la magia riguarda solo
le possibilità umane e il consorzio
umano. Quello che caratterizza la magia di Bruno è che è essenzialmente
una "scienza della mediazione". Qualunque cosa accada nella
produzione che deriva dal principio primo
è certo che l'azione umana, sia conoscitiva che pratica, ha bisogno
di un termine medio. Per l'uomo e la sua attività la relazione è
un elemento imprescindibile: c'è bisogno di un mezzo, di uno strumento
che si applichi all'oggetto. Mentre, infatti la causa prima agisce direttamente
in base alle disposizioni della materia, producendo gli effetti particolari
che un determinato soggetto è in grado di sostenere, rimanendo però
immutata, gli agenti particolari necessitano invece, di materia formata
per agire e da essa a loro volta vengono modificati. In sintesi, se
nella produzione della causa prima l'unità del primo principio rimane
salda, nel caso della produzione particolare l'agente opera modificando,
attraverso la materia formata, anche se stesso. Bruno introduce in questa
opera una distinzione molto importante per tutta la sua riflessione
magica. La differenza tra virtù manifeste, che appartengono al genere delle
qualità attive e passive e che agiscono modificando con la loro applicazione
la conformazione esterna dell'oggetto, e vi sono le virtù occulte che
agiscono sull'oggetto modificandolo dall'interno, senza che le modificazioni
esteriori dell'oggetto. A questo genere appartengono tutte le facoltà
che possono generare sentimenti di timore, tedio, amore, agendo con
un minimo di materia. Nel De magia
Bruno modifica radicalmente il tema delle virtù occulte dall'impostazione
datane da Agrippa, intendendole in senso psicologico, in conformità
all'impostazione più originale della tematica magica seguita nel trattato.
La capacità di produrre dall'immagine materiale una nuova immagine che
non ha a che fare con il riferimento del composto sussistente fonda
l'autonomia e lo spazio di azione della prassi magica. Bruno compendia
in questo scritto il tema dello "spirito universale" che anima
e vivifica tutti gli enti, sottolineando il tema della sensibilità dell'organismo
cosmico. Questo spirito universale è responsabile di tutti i fenomeni
che accadono anche di quelli prodigiosi. L'anima del mondo agisce ovunque
e con tutte le materie; ogni singolo fenomeno risponde a particolari
determinazioni che possono essere anche singolari e non regolari, ma
non per questo sono misteriose e impermeabili alla comprensione della
ragione. Dischiudendo quella determinata parte di materia, l'anima permette
che una serie di possibilità divengano attuali dando vita ad un nuovo
mondo, cioè ad una nuova serie di eventi e fenomeni che sono resi possibili
solo a partire dal primo evento. Ogni operazione dell'anima del mondo
mette in opera una nuova serialità. Per Bruno è da un principio denso,
ma indistinto che si sviluppano le particolari determinazioni degli
enti; e da qui che si sviluppa il tema del seme. Il seme bruniano, però,
non ha niente a che fare con le "ragioni seminali",
perché queste ultime sono molteplici e risiedono nell'anima del
mondo e sono il veicolo attraverso cui si infondono le capacità occulte,
il principio del seme bruniano è un principio unitario ed è l'intermediario
tra mondo intellettuale e mondo materiale. Il mago per operare correttamente
deve conoscere la vera natura del proprio oggetto. Da questa prospettiva
la magia domina attraverso la ragione sia la materia che la mente. Le
regolarità, però, non vanno cercati in rigidi schemi, bensì, vanno scovate
momento per momento, ente per ente. Si sviluppa a questo punto la tematica
della voce, delle lingue e dei nomi delle cose, che risente di una forte
matrice platonica, sull'esistenza di una pluralità di lingue per il
consorzio umano e di una sola lingua per la divinità. Inizia poi la sezione dedicata al corpo. Questo è uno strumento assolutamente
passivo ed è, invece, l'anima che genera le azioni ed è l'elemento che
vivifica. Lo spirito è il medio tra anima e corpo. Ed è stato, secondo
Bruno, spesso confuso con l'anima. Parte a questo punto una lunghissima divagazione sul moto e sulle
varie distinzioni tra moto circolare e moto rettilineo a seconda della
disposizione dei corpi. Questa divagazione, apparentemente estranea
ad un trattato di magia, permette invece, di introdurre uno dei temi
fondamentali della sua concezione magica: il moto sferico, cioè l'incessante
fremere di atomi dai corpi all'etere, dai corpi ai corpi, è quello che
permette le azioni dei corpi più sensibili, come il fuoco. I presunti
miracoli di natura, quindi, sono spiegabili con lo scambio di energia
che avviene attraverso il moto sferico. Vi sono poi diversi tipi di attrazione, così come di vario genere
sono i tipi di moto. Bruno ripropone per la magia il medesimo paradigma
interpretativo usato per il moto: l'attrazione è di due tipi consensuale
o non consensuale. L'attrazione, inoltre, per Bruno, avviene solo per
contatto, unione o dissoluzione di atomi. L'agire e il patire avvengono
nell'ambito dei quattro elementi. Anche nel caso del ferro e del magnete
l'azione e la trasformazione non coinvolgono le qualità elementari,
ma il flusso atomico. Il tema dei vincoli è strettamente connesso al
tema demonico che verrà completamente a cadere nel Theses
de magia. I venti vincoli che vengono solo accennati
nel De magia naturali, sono
perfettamente enunciati nel De
magia mathematica; il primo vincolo consiste nella conoscenza e
nelle operazioni dell'intelletto. Il secondo vincolo riguarda le operazioni
della volontà; affinchè le operazioni magiche abbiano effetto è necessario
che siano vincolati i sentimenti, perché la magia è fondamentalmente
un rapporto reciproco: il mago attua una praxis
su un oggetto, ma è necessario che da parte dell'oggetto vi sia corrispondenza,
attraverso la fiducia. Se non c'è comunicazione tra soggetto e oggetto
l'azione magica perde efficacia. Con il terzo vincolo si considerano
anche le circostanze esterne al mago e al vincolato, ossia i luoghi.
Un altro vincolo su cui vorrei portare l'attenzione è il XII perché
in esso Bruno fa uno speciale riferimento alla solitudine. La magia
in quanto tale non è un'attività solitaria, anzi è comunicazione interumana
e internaturale e necessita dell'interlocutore e del mezzo per comunicare.
La ricerca solitaria non permette l'esercizio della fascinazione che
è il fuoco centrale della magia. Il tema degli attivi è passivi è uno
dei temi centrali della magia naturale. Per Bruno, la magia si inserisce all'interno di una riflessione
generale da cui emergono due punti fondamentali: il primo è che la magia
è un aspetto precipuo dell'attività umana di relazione tra agens e actus. Il secondo
aspetto è che la sua realizzazione dipende non dall'applicazione meccanica
di formule o talismani, ma dall'operosità attenta dell'agens che deve valutare quale sia il mezzo più idoneo e il momento
più opportuno per vincolare e farsi, a sua volta, vincolare dall'actus. La magia per Bruno resta un modo
di considerare il mondo fisico e presta assolutamente poca importanza
agli influssi celesti. Bruno non ricorre mai agli influssi celesti per
spiegare le differenze. Ciò che non è pienamente afferrabile dalla ragione,
richiede una riforma della razionalità e un'apertura al sistema degli
affetti e delle passioni. La fascinazione in quanto tale non è un elemento
spiegabile nella sua dinamica profonda, accade e non va oltre il suo
accadere, tant'è vero che svanisce così come è sorta. Bruno considera
solo la parola come strumento di azione dell'uomo sull'uomo. Se la parola
ha virtù magica, essa si esplica con gli stessi accorgimenti e con le
stesse modalità che rendono efficace l'influenza sugli animi. Ciò che
sente in noi è il senso interno, che, in seguito all'attività fantastica,
elabora i dati organizzati forniti da questa fino a giungere ad un prodotto
che non ha più nulla a che fare con l'elemento materiale che ha messo
in moto l'attività immaginativa. Anche la capacità e l'abilità degli
artisti dipende dall'attività fantastica consapevole e non nell'invasamento
del divino. Bruno lascia sfumare l'accenno ai demoni, per concentrarsi,
invece, sul rapporto corpo- anima. I vincoli mano a mano che si esercitano
richiedono una capacità sempre più elevata di suscitare fides, fino al vincolo cogitativo che è
il più raffinato. Come per la buona riuscita di una cura medica, la
fides è l'elemento fondante l'azione della
medicina. Questo punto è messo in grande rilievo anche nel De magia mathematica . Addirittura Bruno
in un brano fa esplicito riferimento alla fede che Cristo richiedeva
ai suoi discepoli per effettuare i miracoli. L'esempio viene qui ripreso
dal Nolano, ma con delle precise modifiche che fanno trasparire l'interpretazione
di Bruno ruolo di Cristo. Umanizzando la
figura di Gesù, Bruno vuole sottolineare che opera come un qualsiasi
mago in grado di suscitare un alto grado di credulitas
nei suoi ascoltatori.
Il titolo Theses de magia
è stato tratto da Stolzle dalle indicazioni che ricorrono nei codici.
Le Theses sono una riscrittura del De magia, probabilmente in vista di una
disputa pubblica. Il materiale è suddiviso in cinquantasei articoli,
presenta una struttura bipartita: il testo dell'articolo proprio e in
alcuni casi una seconda sezione, una sorta di commento, introdotta da
"distingue" o "ratio". Alcuni articoli rimandano
poi direttamente alla corrispondente sezione del De
magia con la formula "Vide ex articulo…", come se anche
questo testo fosse diviso in articoli, mentre esso presenta una struttura
divisa in dodici capitoli. Il primo articolo condensa la prima sezione
del De magia, da questo punto in poi vengono ripresi tutti gli spunti
principali presenti nel De magia
dal tema dallo spirito universale, alla scala della natura, al tema
degli specchi, del rapporto attivi passivi. Sottolineo quindi le piccole
discrepanze tra i due testi così vicini tra loro per argomenti trattati,
che risultano essere di importanza fondamentale. Per esempio, la prima
discrepanza sta nel punto in cui, nel De
magia, si parla dei demoni dopo la discussione sui vari tipi di
moto: di questa parte non vi è traccia nelle Theses.
Ma l'assenza non è casuale; già nel De
magia le varie sezioni sui demoni e sui vincoli che esercitano sugli
spiriti erano state ridotte al massimo. Nelle Theses,
che formalizzano e sistemano il materiale precedente, i punti di riferimento
generale si organizzano intorno alle tematiche già affrontate nel De la causa e nei commentari aristotelici.
Nelle Theses viene sempre
più delineandosi il ruolo della magia come ambito che si situa tra immaginazione
e facoltà cogitativa. Ha come oggetto privilegiato l'uomo e agisce in
consonanza con la natura, facendo funzionare i principi di azione e
di passione e usando la potenza delle virtù occulte, il cui vantaggio
è quello di potere operare attraverso una minima quantità di materia.
L'influsso è di ogni ente su ogni ente attraverso l'applicazione degli
attivi e dei passivi. Bruno insiste specialmente sull'influsso talismanico
della parola, sull'influsso della retorica, cioè sulla capacità del
discorso di interagire nelle dinamiche delle passioni. E' una ricerca
che non si concentra sulla possibilità di intercettare la virtù dell'elemento
celeste, quanto piuttosto sull'efficienza delle tecniche di persuasione
umana. I vincoli magici sono vincoli fisici, Bruno lo ripete continuamente,
e la direzione della sua indagine verte proprio sulle condizioni che
permettono al fisico di intervenire sullo psichico e viceversa. In questa
prospettiva riveste un ruolo di fondamentale importanza la facoltà dell'immaginazione
che ha il potere di riorganizzare le immagini che rispecchiano il mondo
fisico secondo nuovi rapporti e relazioni. Alla fine delle Theses,
il Nolano ritorna sul tema della fides
che è certezza, ossia la capacità che deve sostenere ogni operazione
e sulla consuetudine che permette di acquistare familiarità con le cose
che meritano di essere apprese.
Il testo del De vinculis in
genere è l'unico a recare il titolo datogli dal suo autore. Tratta,
come è facile carpire dal titolo, dei diversi vincoli che si possono
intrecciare tramite un operare di tipo magico, fino a confluire nel
vincolo più potente di tutti :il vincolo dell'Amore. Fin dalle prime
battute emerge un tratto fondamentale , che si situa al centro delle
problematiche di carattere magico: le tecniche di fascinazione e seduzione
messe a punto dall'operatore sarebbero destinate al sicuro fallimento
se basate su presupposi meramente empirici. Al contrario il potere di
ogni azione magica risiede in una conoscenza autentica di tutte le cose
e nella composizione unitaria dei molteplici fenomeni che compongono
la realtà naturale. Quest'ultima postula la presenza di una "scala
dell'essere" , pervasa in ogni luogo dall'anima del mondo. E' l'anima
che posta al centro di questo schema della realtà che modula le simpatie
e le antipatie, il flusso di affinità e diversità. Attrazione e repulsione,
permettendo uno scambio perenne di vita e di forza, al di fuori di qualsiasi
gerarchia ontologica. Ma se la capacità magica sta nell'intrecciare
nuovi legami attraverso la scala di natura, non può darsi alcun vincolo
senza una adeguata conoscenza dei
rapporti e delle forze che uniscono i diversi livelli dell'essere. Questa
unità, però, non è mai fissa e stabile, ma sempre in continuo movimento,
viva e dinamica. Sapere vincolare significa, in ultima analisi, sapere
operare sulle diseguaglianze e i dislivelli che tramano e scandiscono
l'unità dell'universo, senza ignorare o elidere, anzi esaltando , le
differenze che distinguono i singoli enti l'uno dall'altro. L'operetta
sui vincoli è molto importante per la riflessione che Bruno compie sul
tema della difformità, della varitas di una natura che si produce in una serie inesauribile di
metamorfosi, e spinge gli uomini ad assoggettarsi incessantemente a
vincoli molteplici e sempre diversi. Il motivo della "differenza",
si fonda su una delle acquisizioni più importanti dell'ontologia bruniana:
la concezione della Vita- materia- infinita, del dinamismo del sostrato
materiale che nella perenne vicissitudine delle forme e delle figure,
costringe gli enti ad un costante cambiamento, ad una perpetua trasformazione,
nella dimensione dello spazio come in quella del tempo. Nel De
vinculis l'aspetto della praxis
magica assume, poi, una connotazione tipicamente "civile",
politica. Bruno fin dalle prime pagine di questo trattato mette in luce
lo stretto legame tra operare magico e tecnica politica. Al centro del
De vinculis sta infatti, l'analisi
delle tecniche di convincimento e persuasione che permettono di ottenere
e mantenere il favore e il "consenso" degli altri uomini,
grazie alla capacità di muovere e dominare affetti e passioni. Nel De
vinculis, Bruno reca testimonianza del rapporto con gli scritti
di Ficino che trattano questo tema, il Theologia
Platonica e il commento al Convivio. Citazioni occulte, parafrasi di ampie porzioni
di testo si alternano così nelle pagine bruniane a rilievi polemici
o vere e proprie "riscritture", secondo un gioco continuo
di adesioni e distacco, che mette Bruno di fronte a quei testi, che
conosce dai tempi del soggiorno a Parigi, e con cui adesso si confronta
in modo critico, traendone una originalissima interpretazione. La riflessione
di Bruno prende le mosse dal riconoscimento della positività di vincoli
per natura molteplici e diversi, per aprirsi, poi, ad una analisi dei
modi in cui può effettuarsi la creazione di un vincolo esclusivo di
un'unica bellezza, mostrando i diversi effetti cui può condurre l'adesione
incondizionata ad un vincolo esclusivo, sullo sfondo della differenza
fondamentale tra un vincolo superiore, quello del filosofo, e un vincolo
inferiore, basato sulla credulitas.
Bruno parte dalla considerazione che la natura non consente che gli
uomini si incatenino saldamente ad un solo oggetto, preferendo distribuire
con la massima varietà i suoi lacci di bellezza e bontà. Lasciarsi vincolare
in maniera perenne da un solo vincolo, dunque, è un'esperienza rara
ed estrema. Bruno insiste notevolmente sul tema della varietas,
dove anche la più alta esperienza intellettuale non si compie nell'uniformità.
Una medesima fortissima concentrazione può infatti originare effetti
diversi e contrastanti in soggetti differenti. Il vincolo di un'unica
bellezza non si effettua in un destino unico. L'eccezionale risalto
che viene dato qui alla mutevolezza dei vincoli, in cui è posto il motivo
della relatività, labilità, mutevolezza del vincolo, si fonda, infatti,
sulla difficoltà di avvincere ed affascinare composti dall'equilibrio
perennemente instabile e mutevole, ma anche e soprattutto, su di una
condizione ontologica che costituisce una delle strutture metafisiche
di fondo della nova filosofia. Una sorte di "chimica dei sentimenti"
potremmo aggiungere inserendo una frase presa da Nietzsche. Il tema
dell'umbratilità ritorna in questa opera, ponendo l'accento sulla finitezza
della capacità conoscitiva ed esistenziale dell'uomo. Rappresenta, anche,
il tentativo di percorrere una nuova via di accesso alla divinità, l'ardua
e dolorosa ricerca di un circuito infinito e umbratile, che renda possibile,
proprio a partire dal vincolo più forte, quello dell'amore, la comunicazione
tra Dio e uomo, tra ente e accidente, il tradursi di una vicenda strutturalmente
limitata e imperfetta in un'esperienza dell'infinito e della verità.
E' il primato della vista, nel De
vinculis, che assume un ruolo sempre centrale nella genesi del vincolo
d'amore, viene drasticamente ridimensionato, lasciando spazio ad una
visione estremamente disincantata delle leggi che dominano e regolano
i rapporti amorosi. Così come, di importanza fondamentale, è il doppio
vincolo reciproco che viene ad instaurarsi tra "vinciens"
e "vinctus". In questo gioco di reciprocità, il mago politico
sa bene che armi usare e in quali circostanze. Soprattutto, conosce
a chi si sta rivolgendo. Il mago politico grazie ad una tecnica raffinata
di convincimento e persuasione, deve dunque puntare, a partire dai caratteri
e dai temperamenti delle persone, ad inserirsi nel gioco dei processi
naturali per potenziarli o interromperli o dirottarli, a disegnare contorni
di una vita associata che, conformemente a natura, non esclude e anzi
implica l'esistenza della disuguaglianza. La "philautia" è
la forma per eccellenza di questa capacità di vincolare; essa si situa
in ogni essere vivente come una delle ragioni profonde del suo esistere,
donando vitalità ad ogni organismo, spinto da un innato amore verso
la conservazione del proprio stato e alla ricerca, nel divenire, di
uno stato migliore. La dottrina dei quattro temperamenti o disposizioni,
permette di cogliere le caratteristiche fondamentali della disposizione
di ognuno ad accogliere un vincolo. L'"humor melancholicus",
il più estremo e funesto, in grado di dar luogo ad alterazioni patologiche
particolarmente vistose e gravi, si ritaglia ben presto un ruolo eccellente
in questo sistema della teoria umorale. Nella fitta trama di relazioni e corrispondenze fra i vari piani
della realtà i movimenti di "ascensus" e "descensus"
uniscono non soltanto uomini e uomini, uomini e dei, ma anche uomini
ed altri esseri viventi, tutti mossi dalle innumerevoli "illecebrae",
dagli infiniti semi di attrazione e repulsione sparsi naturaliter nelle diverse specie. E' proprio questa la molteplicità
che schiude il vincolo di Cupido
, il beneficio d'Amore;
non la unicità del Volto divino, ma piuttosto i molteplici riflessi
di esso, ombre del suo fulgore. L'universalità del sentimento ha una
pluralità assoluta di aspetti nel manifestarsi: ogni vincolo d'amore
si presenta con un rapporto specifico di intensità, e per il soggetto
che lo vive è un sentimento originario e irriducibile, principio di
identità e di individuazione da un lato, principio di espansione e di
dissoluzione dall'altro, per uscire da sé e unirsi all'altro da sé.
E' la propria vincolabilità rispetto a Cupido l'elemento che definisce
la modalità di ogni esistenza, ed individua i confini estremi entro
i quali può svilupparsi l'esperienza degli uomini e dei fati che essi
incarnano. L'ascesa alla condizione
primaria, che consente di procedere alla conoscenza della natura infinita,
è, dunque, possibile perché la vicenda dell'amore ha un rilievo metafisico:
all'origine di ogni forma di legame naturale c'è un desiderio di perfezione
che agisce secondo un duplice movimento di concentrazione ed espansione,
di stabilità nel proprio bene e movimento verso una condizione migliore,
aprendosi sulla totalità della natura per affermare la propria natura.
Se la maggior parte dei vincoli è destinata a dissolversi nella vicissitudine
del tutto, esistono degli "heroica vincula" in cui l'amore
stabilisce un nuovo oggetto della propria tensione, un soggetto che
si sottrae alla regola della natura, ponendo, dentro e oltre la vicissitudine
una renovatio. Sono, quindi, solo eroici i legami che nella pluralità
dei vincoli di cui è intessuta l'esperienza mondana, stabiliscono una
relazione tra la propria tensione, appetito, impulso naturale e l'oggetto
supremo della conoscenza intellettuale- l'unità dell'essere- che li
vincola, li soggioga, e nella cui appropriazione consiste la loro autentica
modalità di esistenza.
Il De rerum principiis
è sapientemente costruito intorno ad una grandiosa, efficace immagine
di carattere cosmologico: un universo infinito, infinito riflesso della
mente divina, ovunque pervaso da due principi che infinitamente perpetuano,
garantiscono e imprimono in ogni essere la vita. L'incipit di questo
testo racchiude i caratteri centrali della cosmologia bruniana. Lemmi
chiave di questo punto di vista sono i due avverbi "intensive"-
"extensive" che fanno esplicito riferimento alla doppia infinità,
appunto intensiva ed estensiva, dell'intelletto e dell'anima che saldano
la riflessione del De rerum principiis con la cosmologia del De l'Infinito. L'infinità intensiva e l'infinità estensiva sono visti
da Bruno come attributi propri della potenza divina, che continuamente
perpetua la vita universale producendo incessantemente nuovi mondi.
La concezione di un universo infinito in atto nella sua estensione spaziale
e temporale è, dunque, conseguenza e insieme garanzia dell'infinità
divina, in quanto permette di salvaguardare la nozione di un Dio in
cui potenza, operazione ed effetto siano perfettamente coestesi e coincidenti. Il motivo dell'ombra, nodo tra tenebre e luce, tra temporale ed eterno,
principio mediatore in grado di contrarre, conservare e comunicare una
luce altrimenti inaccessibile, percorre con continuità l'opera filosofica
di Bruno e incide a fondo in primo luogo sulle sue dottrine ontologiche
e gnoseologiche. A queste si riagganciano le pratiche di divinazione
basate sull'interrogazione delle ombre e sull'analisi del diverso spettro
di colore che esse assumono in presenza del mistico o dell'operatore
magico. In questo trattato Bruno rielabora una delle tematiche più note della
dottrina aristotelica dei luoghi naturali, all'interno di un ragionamento
tutto incentrato sulla forza vitale insita nei quattro elementi. In
Bruno, il moto di qualsiasi corpo, è la volontà di perpetuare il proprio
essere, la propria vita, la radice da cui si origina ogni moto, e il
luogo naturale si trova di volta in volta a coincidere con la posizione
in cui ciascuna parte dei composti può conservarsi nel modo migliore.
La direzione del moto non è mai, per Bruno, relativa ad una sede definita,
ma tutte le cose si muovono secondo quelle che sono le esigenze della
vita. Importante, a questo proposito, è il tema del ciclo vicissitudinale
degli eventi del mondo; ogni cosa è soggetta ad un processo ciclico
di decadenza e rinascita, anche il linguaggio e la civiltà. In questo
senso, può essere d'aiuto l'interpretazione degli astri, che, anche
se non hanno una funzione causale sulle vicende umane, sono loro connesse
tramite la scala degli esseri. Come si può notare nel De rerum principis è fortissimo l'influsso di spunti ermetici e cabalistici
inseriti nell'orizzonte della filosofia cosmologica di Bruno. I temi
della filosofia del Nolano si susseguono ampliando le prospettive, già
molto vaste, dei dialoghi italiani e degli scritti ontologici.
L'ultimo testo che vogliamo analizzare è la Medicina Lullianam partim ex mathematicis partim ex phisicis principiis
educta. Questo testo si configura, in realtà, come puntuale recupero
e trascrizione di due testi medici del filosofo maiorchino. Il Liber principiorum medicinae, ma anche
e soprattutto il Liber de regionibus
sanitatis et infirmitatis composto a Montpellier nel 1303. Ad ogni
modo incide su questa elaborazione la mediazione di un autore che Bruno
conosceva molto bene Bernardo Lavinheta, una delle figure chiavi per
la rinascita di Lullo nella Parigi del Cinquecento. Vengono trattati
spunti davvero poco originali che, tuttavia, Bruno mostra di voler rileggere
e declinare alla luce della prospettiva teorica che percorre e unifica
l'intero corpus dei sui scritti di ispirazione magica. Lungi dal presentarsi
come una summa di precetti
fondati su formule stabilite una volta per tutte, e innestate in un
cosmo finito e ordinato nel quale le influenze degli astri si imprimono
sulla materia degli esseri viventi determinandone e regolandone i destini,
la magia, cui guarda Bruno, è all'opposto una disciplina che insegna
a valorizzare e riscattare le dignità specifica di ogni singolo ente,
esaminando la natura dei diversi corpi, per mostrare come sia possibile
entrare in relazione con tutte le cose,
purché si sappia individuare, volta per volta, il linguaggio
giusto. Nel quadro teorico di individuazione degli strumenti più adatti
per entrare in comunicazione con le forze che agiscono all'interno della
natura, nella Medicina Lulliana, Bruno si confronta con
autori a lui noti fin dagli anni della giovinezza, trascrivendone le
dottrine al fine di applicarle ad una praxis
oramai distante dalla dottrina tradizionale dell'influenza degli astri.
Una praxis che, favorendo una trama di rapporti
tra cieli, umori e temperamenti,
si propone di organizzare in forma logica, combinatoria e inventiva
il nesso che corre tra sapere astrologico e sapere medico, stringendo
insieme in modo organico medicina teorica e medicina operativa. Il primo capitolo della Medicina Lulliana inquadra questa forma
di sapere nell'insieme delle scienze naturali. Fondata sulla medicina
galenica, la medicina lulliana procede dalla presenza nel corpo umano
dei quattro umori, chiamati a riprodurre sul piano della fisicità le
qualità e le caratteristiche proprie dei quattro elementi. La Medicina Lulliana non è l'unico degli scritti bruniani in cui il Nolano
affronta tematiche di stampo medico. Per comprendere la Medicina conviene soffermarsi un attimo
sull'ars lulliana. Esse si fonda su una tecnica combinatoria per mezzo
di cerchi e altre figure mobili, che permettono la combinazione di un
alfabeto simbolico, un insieme di lettere che indicano gli elementi
semplici, e i principi primi e generali della realtà. Combinando in
tutte le forme possibili le lettere concetto diventa possibile risalire
ai principi delle scienze particolari. L'ars lulliana rispecchia al
fondo una complessa concezione esemplarista e simbolica, nella quale
l'ordine divino si riflette necessariamente nella conoscenza umana,
e tutti i campi della natura creata presentano e ripetono la stessa
struttura fondamentale. Dell'arte medica si dà quindi una lettura che
guarda decisamente in direzione della filosofia naturale, e che punta
a indagare le cause delle malattie nella loro determinazione ultima,
a leggere nell'osservazione del cielo e nei moti degli astri caretteri
e condizioni delle alterazioni patologiche e delle eventuali cure. I
segni e i pianeti pur non essendo dotati nella loro essenza e natura
delle qualità elementari, hanno la capacità di operare sugli elementi
e sui loro composti, modificandone la qualità e provocando i processi
naturali di generazione e corruzione. L'astrologia si rivela così, un
momento importante della filosofia lulliana, perché il presupposto e
il cardine fondamentale della sua ars viene ora osservata direttamente,
empiricamente, nella forma dei collegamenti e delle influenze tra segni,
pianeti, elementi e mondo inferiore. CONCLUSIONE E’ difficile dire a quali conclusioni sarebbe giunta la compenetrazione
tra magia, conoscenza e poiésis della filosofia di giordano Bruno una
volta giunta a compimento la elaborazione delle Opere Magiche. Una cosa, di fatto, è certa alla luce dei lavori che
sono stati analizzati : attraverso i “vincoli” del mago, dalla Vita-
materia- infinita può nascere la prospettiva universale del “consenso”.
Può, cioè, emergere l’antico sogno di matrice “erasmiana” , che il buon
Mercurio mandato dagli dei, oramai, da tempo, aveva fatto suo.
Elda Oreto BIBLIOGRAFIA 1. Giordano
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