….quando saremo di nuovo

indifesa particola

della ulìgine nera e non nera,

 viaggeremo,

 sciamani di noi stessi,

verso la terra dei Cimmeri,

nostra definitiva patria, che mai

avremmo dovuto lasciare

per cercare fortuna quaggiù,

sulla terra, ma dalla parte sbagliata della ulìgine.

Manganelli, Discorso dell’ombra e dello stemma

 

 

(…)

…A vele distese la nave

per tutto il giorno solcò il mare; e quando il sole

s’immerse, e il buio discese sopra tutte le rotte, la nave

raggiunse l’orizzonte, là dove oceano scorre abissale,

 e dove stanno il paese e la città dei Cimmeri,

avvolti nelle brume e dentro i banchi di nuvole; terra

che il sole mai illumina con il suo occhio,

né quando sale verso il cielo stellato, né quando

dal cielo si lancia giù verso la terra: e invece

sul capo di quei miserabili mortali pende

distesa la cupola della notte.

(Omero, Odissea, Canto Undicesimo – Il regno dei morti- vv. 13-23)

 

Sicchè un viaggio al suo cominciamento vorrebbe già avere una idea della sua fine, una nave che si mette in mare vorrebbe già solcare, senz’indulgere al dis’astro, una premeditata rotta….ma sempre forse l’idea di un inizio coincide con la sua stessa conclusione, chè Ulisse, lasciando la sua terra, immaginava un viaggiare alato che a nulla assecondasse le possibilità del Volo.

 

E, volta nostra poppa nel mattino,

de’ remi facemmo ali al folle volo

sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già dell’altro polo

Vedea la notte e il nostro tanto basso

Che non surgea fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso  e tante casso

Lo lume era di sotto della luna,

poi che entrati eravam nell’altro passo,

quando apparve una montagna, bruna

per la distanza, e parsemi alta tanto

quanto veduta non avea alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;

chè della nuova terra un turbo nacque

e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque;

alla quarta levar la poppa in suso,

e la prora ire in giù, com’altrui piacque,

infin che il mar fu sopra a noi richiuso.

(Dante, Inferno, Canto XXVI, vv124-142.)

 

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