Cassio: Anzi! Colui che toglie vent’anni
alla vita ne toglie altrettanti al timore
della morte.
Bruto: Concedi questo e allora la morte è
un benefizio:così noi siamo gli amici di
Cesare, avendo abbreviato i suoi anni di
timor di morte.
W. Shakespeare, Giulio Cesare.
Svento congiure ai miei danni, continuamente; è questa l’occupazione angosciosa dei miei giorni blindati. Ma da quando si sono persi i congiurati è divenuto tutto più difficile: non già per un venir meno della possibilità stessa della congiura ma perché, senza cospiratori, le trame a mio discapito sono accresciute esponenzialmente. Ricordo, tutto ha avuto inizio (ma ha realmente avuto inizio?) con l’inspiegabile svanire delle notti, scomparsa sulle cui cause dibattono ormai da tempo boriosi dottori di ogni scienza. I primi tempi, malgrado il comprensibile sconcerto, mi ero addirittura rallegrato di questo accadimento, riflettendo che l’insolita disparizione non avrebbe potuto che rinsaldare il mio potere assoluto -giacchè è la notte, pensavo, il tempo delle cospirazioni-. Ma, ahimè, quanto azzardato si rivelò questo mio stolido gioire. Presto mi resi conto infatti di essere rimasto senza difese, solo e braccato, esposto alla luce implacabile di una congiura totale. Ora tutto trama contro di me; non devo più guardarmi da un ristretto, per quanto pericoloso, manipolo di ombre assassine, di abitatori di fogne e conoscitori di oscuri cunicoli; non posso più aizzare la mia efferata guardia personale contro i grigiastri sacerdoti del dio coltello, serpe strisciante dei miei incubi peggiori. Poiché è la notte il tempo dei conciliaboli bisbiglianti vendetta, la sua scomparsa ha portato con sé la possibilità di porre in essere qualsivoglia persecuzione, di scandagliare con ferro e fuoco gli antri bui della ribellione…Ad ogni risveglio mi trovo avvolto in tuniche e lenzuola insanguinate, quasi avvezzo ormai a questa macabra rappresentazione della mia sorte che un qualche fato bizzarro si diverte a reiterare.Vago trascinando la mia carcassa ansiosa che sobbalza ad ogni minimo agitarsi d’aria e fronde, circolando come animale impazzito di cattività per l’interminabile giorno della città vuota; disperato, vivo la prigionia di una condanna già comminata ed eseguita in sogno, in attesa soltanto di conoscere il pugnale che mi giustifichi tiranno. Sì, temo la congiura a tal punto che non aspetto che la sua realizzazione per poter finalmente concedere riposo a questi nervi logorati dall’angoscia. Ma nulla, nessuno per le vie abbandonate; nessuno che mi si avvicini destando sospetto; non un’offerta di libagioni avvelenate, non una porta chiusa od un vicolo cieco. Sarà forse Nessuno il mio carnefice?
Il tempo bianco della reggia, scandito dal funesto imperversare delle cicale, mi trova sempre più incapace al sonno e ad ogni sperare. Non più incubi che esorcizzino nel sangue il mio desiderio di morte. Non più fine. Solamente terrore.