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Stefano Penge [1]

 

Giochi di Parole Digitali

 

 

Per cominciare proprio con un gioco di parole, il titolo di questo intervento si può intendere in due modi, a seconda che l'aggettivo "digitale" sia legato all'uno o all'altro dei termini "gioco" e "parola".

1. (Giochi di parole) digitali

Ogni gioco ha bisogno di un supporto (un medium) per tenere traccia della situazione intermedia tra due mosse, in modo che i giocatori abbiano un riferimento comune e oggettivo. I bravi giocatori di scacchi sono in grado di giocare anche "alla cieca", ma noi gente comune abbiamo bisogno di un supporto sensoriale.

L'indovinello è un gioco di parole orale, perché ha bisogno di una gestione dei due tempi dell'enunciazione e dello scioglimento che il testo scritto non potrebbe fornire. Il cruciverba invece è un gioco di parole scritto, perché il suo carico mnemonico supera normalmente le possibilità della mente senza un supporto visivo.

Un Gioco Digitale è un gioco in cui questo supporto è digitale. Che il gioco si svolga tra una persona e un computer, o tra due persone mediate da un computer, non è significativo. Per esempio, una partita a scacchi via Internet è un gioco digitale, anche se non saprei dire se di parole o meno, visto che la forma classica del gioco per corrispondenza è appunto verbale o quanto meno usa un codice alfabetico. Estendendo esageratamente la nozione di gioco di parole, si potrebbe sostenere che si tratta di un particolare gioco di parole di cui esiste anche una rappresentazione grafica.

Dentro il CDROM Stroccofillo, l’esempio che vi mostrerò fra poco, troverete tre Macchine, ognuna delle quali ha un riferimento preciso ai giochi e al linguaggio. In senso stretto, i Giochi di Parole Digitali intesi in questo primo senso sono legati alla prima macchina, quella del Giocazzecca.

Qui ci sono cinque giochi molto conosciuti, ognuno con diversi livelli di difficoltà. Le attività proposte richiedono abilità tipiche di tutti i giochi di parole, dalla memoria puramente visiva a quella lessicale, alla strategia globale nella disposizione delle stringhe di testo.

I giochi non sono presentati in sequenza di difficoltà perché la difficoltà in questo campo è una nozione piuttosto soggettiva. La memoria visiva di un bambino di tre anni può essere migliore della mia, ma la sua strategia invece deve ancora essere perfezionata.

2. Giochi di (parole digitali)

La parola digitale (espressione in cui digitale è aggettivo di parola) è una cosa nuova.

Sta a metà strada tra scritto e parlato, è insieme provvisoria (può sempre essere modificata) e definitiva (non ha bisogno di una versione finale su carta).

Parola scritta e parola parlata sono termini un po' ambigui. "Parola scritta" fa pensare che esista una parola tout court e che questa parola possa essere letta o scritta. Nella nostra storia invece la scrittura nasce come sistema di registrazione del parlato. Solo in seguito si emancipa almeno parzialmente (nella sintassi, etc.). Ma comunque la scrittura è "parola parlata messa per iscritto".

Invece la parola digitale può non essere affatto pensata per la lettura. Per esempio, il codice di un programma per computer non verrà probabilmente mai letto da nessuno, almeno nel senso di "lettura" inteso solitamente (prescindendo cioè dall'attività di un interprete software o dell'umano che va cercando bugs di programmazione). Chiunque conosca un qualsiasi linguaggio di programmazione sarà in grado di leggere e capire un algoritmo ricorsivo classico, ben noto, elegante. Ma a nessuno verrebbe in mente di leggerlo senza uno scopo particolare.

In generale il digitale ha alcune caratteristiche fondamentali che non vanno dimenticate ogni volta che se ne vogliono capire le applicazioni:

- Flessibilità: il costo delle operazioni di lettura è paragonabile a quello di scrittura. Questa riduzione della differenza di costi porta con sé un avvicinamento tra i ruoli del lettore e dello scrittore.

- Collettività: non è possibile distinguere tra originale e copia, tra primo autore e chiosatori successivi di un testo digitale. Ogni opera digitale è un'opera collettiva, appartiene ad una comunità.

- Virtualità: c'è una coincidenza tra dati e operazioni. Nella vita comune un martello è uno strumento e un chiodo è il dato sul quale lo strumento martello viene applicato, e questa situazione non può essere rovesciata. Invece nel mondo digitale una funzione può avere come dato un'altra funzione, e persino se stessa. Questo fornisce ad un oggetto digitale la possibilità di autoreplicarsi, o di modificarsi dinamicamente.

- Omogeneità: mentre un quadro e una sinfonia sono cose talmente diverse da giustificare un intero movimento teorico che le metta in relazione, senza mai arrivare a unificarle, le versioni digitali di immagine e suono sono assolutamente simili almeno nei formati. Come suggerivo paradossalmente tanti anni fa, in linea di principio un programma di rappresentazione grafica potrebbe assumere come suoi dati quelli di un file sonoro, e un programma di riproduzione audio potrebbe "suonare" un'immagine digitale.

Queste caratteristiche sono visibili, almeno parzialmente, nella macchina più tipica e originale di Stroccofillo, il Trasformischia. E' una macchina che consente di manipolare un testo in maniera parzialmente automatica, con effetti difficili da ottenere a mano.

Qui troviamo otto funzioni di trasformazione a livelli diversi, cioè su strati differenti del linguaggio

- sul carattere tipografico (font, colore, dimensione)

- sulle lettere e sulle sillabe (spostamenti e sostituzioni)

- sulle parole e sulle frasi (spostamenti e sostituzioni)

La cosa più interessante è forse proprio questa idea della stessa trasformazione applicata a livelli diversi. Questa visione stratificata del linguaggio attraversa più discipline e mette in crisi vecchie distinzioni, ma è molto naturale per chi lavora con la videoscrittura. Gli oggetti digitali non sono fissi e immutabili. Oggetto significa "oggetto di una funzione".

Detto questo, bisogna ricordare che la macchina rappresenta un'occasione per mettere in luce certi meccanismi, che naturalmente possono e anzi devono essere applicati anche sulla carta. Non ci sarebbe nessun vantaggio particolare se le competenze acquisite non potessero essere estese ad altri ambiti di esperienza. Così si possono immaginare infinite attività più o meno giocose centrate sulle trasformazioni di un discorso orale (si pensi ai "codici segreti" usati dai bambini per comunicare), oppure di un discorso scritto (l'analisi degli slogan pubblicitari o dei titoli dei giornali fornisce un eccellente banco di lavoro per trasformazioni di ogni genere).

3. Il Filastroccaio

A che servono i giochi di parole? Trasformare una parola in qualcosa d'altro, applicando semplici regole, è senz'altro un gioco appassionante.  E' vero che gli anagrammi, le rime, i cambi costituiscono un'attività gratuita; ma proprio per questo - come sapeva bene Gianni Rodari - preziosa e insostituibile.

Giocare è un modo per conoscere meglio la propria lingua e imparare come dietro ad una cosa se ne nasconde quasi sempre un'altra.

Il Sottomarino di Stroccofillo contiene anche una terza macchina che a rigore non entrerebbe nel discorso dei giochi di parole, anche se non ne è proprio estranea.

Se smontare e rimontare parole è un'attività "propedeutica alla poesia", come diceva Ersilia Zamponi, allora giochi di parole e filastrocche sono collegati da un filo diretto.

"Giocare" a inventare poesie è riscoprire gli aspetti creativi del linguaggio: è un modo per pensare alla lingua come a una cosa viva, sempre in movimento.

Il Filastroccaio è un word processor multimediale con sintesi vocale e rimario editabile integrato. La nostra ipotesi è che anche la semplice scrittura digitale possa essere giocosa, che la poesia - nella forma ormai un po' lontana della filastrocca o in quella più vicina dello slogan pubblicitario - sia un'occasione di riscoperta del piacere del linguaggio.

Scrivere semplicemente una piccola poesia, magari aiutandosi con il rimario tratto dalle filastrocche di Gianni Rodari, è un'attività che, senza avere le caratteristiche di oggettività valutabile quantitativamente di certi giochi, può risultare più attraente di quanto ci si aspetti anche per i bambini.

Il ritmo di un testo, la rima e l'allitterazione, sono elementi che i bambini hanno ben presenti e che li attraggono, come sanno bene quelli che scrivono testi pubblicitari. Avere un'occasione per mettere a frutto queste competenze passive, "da utente", in una maniera più attiva può rivelarsi una fonte inaspettata di apprendimento linguistico.

Se poi è possibile inserire facilmente immagini e suoni nel testo, il gioco può risultare ancora più gradevole.

4. L'Archivio

C'è ancora da dire che tutte e tre le macchine sono collegate fra di loro e con l'Archivio delle filastrocche di Gianni Rodari (e dei testi originali realizzati dai bambini). Un testo scritto con il Filastroccaio può per esempio essere passato alla Trasformischia per essere modificato graficamente.

Questo collegamento esprime bene una caratteristica della parola digitale che la rende simile ai giochi dei bambini.

E' un tema troppo esteso per poter essere trattato in questa sede.

Mi limito a sottolineare ancora che un oggetto, una parola, non è qualcosa di prefissato, di dato una volta per tutte, ma è quello che significa in quel contesto determinato. Così un documento non esiste a prescindere dall'insieme di funzioni che in un certo ambiente decidiamo di applicargli.

Una filastrocca può essere materiale per un gioco di parole, oppure un testo da ascoltare, o una tavolozza di colori per comporre un disegno. Non c'è bisogno di ricordare le operazioni a metà strada tra tipografia e fonetica della poetica futurista, per giustificare questa concezione non strettamente linguistica della parola. Le nostre strade sono arredate da scritte di ogni dimensione, i marchi dei capi di vestiario spesso creano dei pattern che da soli caratterizzano l'immagine degli oggetti. Se è vero - ed è tutto da dimostrare - che i bambini leggono sempre meno, il compenso la scrittura invade sempre più campi limitrofi e si trasforma in immagine, ritmo, segnale.

5. Il Libro degli Errori

Qualche parola infine sul libro di Gianni Rodari che funge da punto di partenza per le attività di questo CDROM.

Il Libro degli Errori, riproposto qui insieme al CD in versione cartacea, è un testo classico della letteratura per l'infanzia, giocoso tanto nella forma che nel contenuto.

Rimando alla mia modesta postfazione al testo di Rodari nell'edizione Lynx per un approfondimento di questi temi.

" Due parole, senza pretese esegetiche, sulla scelta di questo testo. (...)

Se l'errore è la rottura di una convenzione, allora - dal punto di vista di una grammatica narrativa tutte centrata sul rovesciamento, sul "sasso nello stagno", eccetera -  non è poi così negativo. Quindi perché preoccuparsene? Come stigmatizzare i dialettalismi, le dimenticanze, le cattive abitudini ereditate dalla lingua parlata?

Il Rodari maestro deve venire a compromesso con il Rodari scrittore di favole. E lo fa con un colpo di genio.

Da un lato, come in "Storia Universale" ("In principio la terra era tutta sbagliata...") o in "Essere e avere" ("ma gli errori più grossi sono nelle cose"), gli errori stanno nel mondo, non nel linguaggio. Questa istanza morale, o meglio sociale, è innegabile, e anzi oggi connota storicamente i testi di Rodari come "impegnati" forse al di là delle sue stesse intenzioni (si veda anche la sua introduzione "Tra noi padri").(...)

Il mondo magico di Rodari è uno specchio del linguaggio a tal punto fedele che il solo nominare un errore (pronunciare o scrivere errando) genera il monstrum. Basta dire "peccore" con due c, e le miti bestiole diventano più determinate di un brigante della Barbagia. Ne sanno qualcosa i gemelli Marco e Mirko, che sbagliano apposta e si ritrovano nei guai (reali) derivati dai loro pasticci (linguistici). E se si persevera diabolicamente nell'errore, si finisce per esser catapultati da una Nemesi Ortografica sul Pianeta Sbaliato, tra bideli e trapole, senza inciostro, ecettera ecettera. (...)

Naturalmente questa paura viene prima generata e quindi esorcizzata, come nella migliore tradizione favolistica.

Prendiamo "L'Acca in fuga": si parte dalla assunzione ontologica della metafora ("non valeva un'acca") per finire in un mondo in cui l'acca scompare non solo dalle parole, ma anche dalle cose corrispondenti. E l'acca diventa simbolo di quel quid che - anche se non si sente e non si vede - è necessario al buon funzionamento delle cose.

Tutto è bene quel che finisce bene: ma per evitare futuri cataclismi, per favore, ricordatevi di mettere l'acca.".

 

 


[1] Laboratorio di Tecnologie Audiovisive - Università di Roma 3 - Lynx