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Sonia Petrosino[1]

 

Influenza della televisione sull’affettività dei bambini

di scuola materna, elementare e media

 

 

 

Premessa        

Gli effetti dei programmi televisivi sull’affettività dei bambini, sia di segno positivo che di segno negativo, non sono più quelli registrati negli esperimenti degli anni addietro e nemmeno quelli che si ipotizzavano nella fase di impostazione della presente ricerca. Si può dire, anzi, alla luce dei primi dati raccolti e che sono qui illustrati, che la televisione sia quasi ininfluente nel determinare variazioni negli stati emozionali dei fanciulli.

La prima spiegazione che si può dare di questo sorprendente risultato, se esso non sarà modificato in sede di resoconto finale, è che i bambini, a differenza degli adulti, hanno maturato nei confronti del mezzo televisivo e, più in generale, degli strumenti di comunicazione per immagini, un grado di maturità e di consapevolezza critica che li mette quasi completamente al riparo dai fenomeni di persuasione o di induzione occulta di cui è tuttora vittima il mondo degli adulti.

Si può affermare, in definitiva, che un medium come la televisione finora ritenuto “freddo”, secondo la celebre definizione di McLuhan, diventi “caldo” nei processi di metabolizzazione fantasmatica dei bambini e che eserciti sulle loro menti e sui loro stati d’animo una funzione catartica, come già rilevava Freud a proposito delle pulsioni istintuali di aggressività.

 

 

Metodologia della ricerca-azione

Il progetto sperimentale sull’impatto dei programmi televisivi sull’affet­tività­ dei bambini di varie fasce d’età ha assunto più propriamente il carattere di una ricerca-azione che tuttora è in corso in alcune scuole napoletane, selezionate al fine di comprendere diverse fasce socioeconomiche di utenza. Allo scopo di considerare le principali fasi evolutive, sono stati selezionati gli alunni appartenenti alle età di 3-5 anni nella scuola materna, 7-8 anni nelle scuole elementari, 11-12 nelle medie, in modo tale da ottenere il range di età media per ogni grado di scuola. Come accennato, inoltre, la ricerca è stata attuata in tre tipi di scuole, differenziate per classe di utenza (proletariato, media borghesia e alta borghesia) con il fine di accertare la presenza o meno di differenze nel comportamento dei soggetti derivanti dall’estra­zione socio-economica.

L’interesse della ricerca è, in particolare, quello di evidenziare eventuali differenze nelle reazioni emotive dei bambini di fronte a scene che rappresentano comportamenti violenti rispetto a quelle che propongono modelli di relazione connotati da valenze affettive più serene e pacifiche. L’ipotesi da cui ha preso spunto tale esperimento è che i bambini possano assumere, attraverso l’identificazione con i personaggi del filmato, comportamenti più aggressivi in risposta ad alcune scene di violenza, e, al contrario, atteggiamenti più tranquilli dopo la visione di scene di interazione pacifica ed affettuosa tra i protagonisti.

L’indicatore comportamentale utilizzato per stabilire le due condizioni di aggressività e di serenità, è composto dalle risposte date ad una prova di tipo proiettivo basata su stimoli-fumetti rappresentanti scene che riguardano la dimensione relazionale, sia tra pari che tra adulto e bambino. Esempi delle alternative proposte sono: domanda: “Sei arrabbiato?” Risposte alternative: “Certo che lo sono. Hai rotto il mio stereo” oppure, “No, sono solo un po’ stanco. Grazie.”; oppure: “Vieni a vedere una cosa.” e risposte alternative: “Cos’altro hai combinato?” oppure “Con piacere. Di che si tratta?”.

Le vignette che sono state sottoposte agli alunni, infatti, riflettono 4 situazioni relazionali tipiche: madre-bambino, bambino-bambino, insegnante-bambino, padre-bambino. Indicando il primo personaggio del fumetto che parla, annotando gli scambi verbali tra le due figure e attraverso la colorazione del disegno con tonalità pastello (azzurro, giallo, marrone) o forti (rosso, nero, arancione), l’alunno ha potuto scegliere tra le due alternative di risposta pacifica o aggressiva. Da quanto espresso da ogni alunno è stato così possibile stabilire il grado di aggressività o di pacificità attribuite ai personaggi dei fumetti, indicatori di una proiezione dello stato emotivo del soggetto in quel dato momento.

La metodologia ha previsto la suddivisione degli alunni in tre gruppi; uno cosiddetto di controllo, indicato con la lettera C, con il quale sono stati esplorati gli atteggiamenti degli alunni in condizioni neutre, ovvero attraverso la visione di un filmato in cui il contenuto può considerarsi ininfluente dal punto di vista emotivo. I risultati di questo primo gruppo sono serviti come riferimento, per escludere eventuali variabili attinenti a caratteristiche personali stabili e non attribuibili alla variabile sperimentale introdotta. 

In questo modo, il gruppo di controllo (C) serve da confronto per quello sottoposto alla visione di una scena televisiva pacifica e serena, che chiamiamo (X); al terzo gruppo è stata assegnata la proiezione di un filmato che propone dei modelli di comportamento violenti, gruppo (Y).

Tale metodologia, inoltre, è stata accompagnata da un procedimento in doppio cieco, per evitare che la conoscenza degli obiettivi dell’esperimento da parte dell’insegnante potesse influenzare lo svolgimento spontaneo delle attività da parte dei bambini; la presenza dell’insegnante all’interno della classe durante le prove è stata, tuttavia, necessaria per mantenere il contesto il più possibile stabile e conforme alle condizioni abituali di attività scolastica. Preliminarmente all’esecuzione della ricerca sono stati effettuati degli incontri con gli insegnanti al fine di istruirli circa le condotte da seguire durante tale prova, riguardanti soprattutto la non interferenza ed ostacolamento del libero fluire dell’espressività del singolo.

Le fasi di cui si è composto tale ricerca-azione, in sintesi, sono le seguenti:

 

 

Presupposti teorici

La definizione operativa della variabile di nostro interesse, l’aggres­sività, ha necessariamente ristretto gli eventi comportamentali osservati alle due categorie di risposte verbali e di colorazione dei disegni. Ma tale impostazione si è fondata sulla più ampia definizione teorica dell’ag­gres­sività e sui risultati sperimentali ottenuti da alcuni autori che, in passato, si sono interessati di questo fenomeno.

In generale, si possono distinguere due approcci teorici di segno opposto. L’uno si fonda sulla teoria ereditaria; l’altro sul carattere appreso dell’aggressività. Nel mezzo tra le due posizioni, si colloca la teoria del nesso frustrazione-aggressione (Dollard e Miller), secondo la quale la causa scatenante dei comportamenti aggressivi sarebbe un’esperienza frustrante, laddove per frustrazione si intende la frapposizione di un ostacolo tra il soggetto e il raggiungimento di una meta o scopo.

In realtà, questa contrapposizione è solo teorica, in quanto nonostante gli esseri umani nascano con la predisposizione biologica al comportamento aggressivo, sembra sia l’apprendimento sociale il fattore preponderante nel determinare come e quando l’aggressività si manifesti.

Altri autori hanno tenuto a sottolineare la distinzione tra diversi tipi di aggressività; Erich Fromm, ad esempio, distingue un primo tipo di aggressività, difensiva o «benigna», che l’uomo ha in comune con tutti gli animali, quale impulso filogenetico programmato che lo spinge ad attaccare non appena vengono minacciati gli interessi vitali; in altre parole, essa serve alla sopravvivenza dell’individuo e della specie, ed è biologicamente adattata. Il secondo tipo di aggressività, quella meglio definita distruttività, ovvero «maligna», è invece specifica dell’uomo, non essendo programmata filogeneticamente né biologicamente adattata e non serve a nessun fine; essa è semplicemente fine a se stessa.

Nell’ambito delle teorie innatiste, in particolare, l’osservazione da parte di numerosi studiosi dell’estensione e della persistenza del comportamento aggressivo li ha indotti a ritenere che l’aggressività sia parte integrante della natura umana. Anche Freud arrivò alla conclusione che ogni essere umano possiede due istinti fondamentali, uno diretto verso il piacere (Eros) e un altro verso la distruzione e la morte (Thanatos).

Gli etologi, sebbene per altre vie e con altri metodi ed oggetti di ricerca, confluirono sulla stessa ipotesi; Konrad Lorenz si convinse, a seguito di numerosi studi condotti su diverse specie animali, che sia gli esseri umani che le specie inferiori sono naturalmente aggressivi, ma entrambi, attraverso la selezione naturale, sono anche dotati geneticamente di un’istintiva inibizione delle manifestazioni aggressive.

Pare utile, a questo proposito, considerare brevemente la posizione di Adler sul tema dell’aggressività in quanto, non solo rivela alcune convergenze con le posizioni dell’etologia, ma, procedendo oltre quest’ultime, chiarisce anche la finalità ultima della pulsione aggressiva. Sin dal 1908 la sua ipotesi era che l’aggressività costituisse una pulsione primaria, ma non di morte o di distruzione, bensì una tendenza volta a dominare la realtà. Adler considerava l’aspirazione alla supremazia e la volontà di potenza presente nell’uomo come il volano di ogni comportamento, ovvero la forza dinamica che da una condizione di «minus» conduce ad una posizione di «plus»; in altre parole, da un sentimento di inferiorità conduce ad uno di superiorità, completezza e perfezione. La pulsione aggressiva è allora la spinta che conduce il bambino e poi l’adulto a superare il complesso di inferiorità : “l’aggressività non viene quindi in questa concezione considerata come forza unicamente distruttiva e negativa. Essa è la condizione per un’attività e un intervento sulla realtà” (Bonino e Saglione, 1978).

Altri autori hanno ulteriormente avvicinato la teoria adleriana alle formulazioni etologiche, nella concezione che nella specie umana tale potenzialità adattiva risulta necessariamente più forte, ipotesi fondata sul fatto che il fanciullo, per raggiungere la propria autonomia personale, deve affrancarsi da una lunga dipendenza dai genitori; dunque, la parte aggressiva della natura umana sarebbe la base, non solo della difesa dagli attacchi predatori, ma anche del successo intellettuale, della conquista dell’indi­pendenza e del giusto orgoglio che consente all’individuo di farsi strada nella vita.

Complessivamente, la distinzione tra predisposizione adattiva e distruttività sottolinea una componente dell’aggressività come potenzialità positiva, necessaria per difendere l’integrità fisica e psichica, per permettere il superamento della dipendenza infantile, per consentire l’affermazione della propria identità contro gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di sé. Ciò che porterebbe alla degenerazione in distruttività sarebbe, secondo alcuni autori, il ricorso al meccanismo della deumanizzazione dell’altro, della mancata identificazione con l’individuo o gruppo diverso da noi. Il processo di degradazione si fonda, dunque, su un meccanismo cognitivo di separazione dell’altro dal Sé e dal Noi; l’altro viene, pertanto, inserito nella categoria degli esseri «non umani» e ciò legittima qualsiasi atto aggressivo e distruttivo.

Ma se tutte queste definizioni, dunque, ci portano all’assunto che gli esseri umani sono geneticamente portati ad un comportamento aggressivo, si potrebbe arrivare alla conclusione che si può fare molto poco per prevenire l’aggressività umana.

Fortunatamente questo assunto si è rivelato non corretto nella sua forma più semplicistica, in quanto, se l’aggressività animale dipende strettamente dall’attivazione degli ormoni sessuali, tale causalità diretta non è così incidente e determinante quando trattiamo del comportamento umano; in quest’ultimo caso, gli effetti degli ormoni sul comportamento si dimostrano indiretti, producendo delle modificazioni emotive che necessitano di adeguate circostanze ambientali per determinare la messa in atto dell’ag­gre­s­sività. La paleontologia, l’antropologia e la storia forniscono numerosi esempi contro la tesi istintivista: 1) i gruppi umani si diversificano nettamente fra loro quanto al grado di distruttività, un fatto che non si può spiegare con l’affermazione che distruttività e crudeltà sono innati; 2) gradi differenti di distruttività possono essere via via messi in correlazione con altri fattori psichici e con differenze nelle varie strutture sociali; 3) il livello di distruttività cresce con il progressivo sviluppo della civilizzazione e non viceversa.

Sono, dunque, numerose le ricerche che hanno approfondito il legame tra fattori ambientali e comportamento aggressivo; stress, approvazione sociale della punizione fisica, imitazione di modelli aggressivi sono esempi di fattori ambientali dimostratisi influenti nella adozione di atti violenti in soggetti adulti e in età evolutiva. Gli studi dell’ecologia umana hanno concentrato l’attenzione sul fenomeno della violenza nelle metropoli, nelle quali, data l’alta densità della popolazione e la carente qualità delle condizioni di vita, abitative, lavorative e di svago dovute a tale sovraffollamento, risulterebbe maggiore la probabilità di episodi aggressivi. Questa maggiore probabilità sarebbe dunque in funzione sia della numerosità delle persone che vivono in una data zona geografica, sia del maggior grado di freneticità e di sovrastimolazione  a cui sono soggetti gli abitanti della città, per questo motivo più orientati ad esternare lo stress attraverso atti di violenza e di intolleranza.

Famoso ed esemplare, riguardo all’apprendimento sociale del comportamento aggressivo, è l’esperimento condotto da Bandura e collaboratori sugli effetti della visione di modelli aggressivi; esso consisteva nel fare osservare ad un gruppo di bambini, per pochi minuti, un adulto mentre aggrediva verbalmente e fisicamente una grande bambola. Successivamente, i bambini erano lasciati liberi di svagarsi con una serie di giochi mentre gli sperimentatori registravano accuratamente ciò che facevano; il risultato fu che i bambini esposti al modello aggressivo, in confronto al gruppo che aveva osservato un adulto che giocava in pace con la stessa bambola, dimostravano nei loro giochi maggiore aggressività fisica e verbale.

La maggioranza degli psicologi sociali, in seguito, ha definito il comportamento aggressivo come «l’insieme di azioni dirette a colpire uno o più individui, tali da infliggere loro sofferenze fisiche e morali, oppure la morte» (Bandura, 1973; Baron, 1977). Inoltre, secondo tali teorici, l’aggressività è un atto sociale e implica quasi sempre la presenza degli altri; essa può essere definita come prodotto dell’interazione tra individui. Sottolineando così il carattere sociale del comportamento aggressivo, lo si può considerare una rappresentazione culturale, in accordo con lo studioso James Averill, secondo il quale l’aggressività è una prestazione sociale così come i modelli di aggressività cambiano nella storia e nella cultura.

 

Il ruolo dei mass-media e dei modelli culturali

Il ruolo dei fattori sociali e culturali nella determinazione del comportamento umano sembra ai nostri giorni molto più evidente che in passato, data la massiccia estensione e diffusione della tecnologia moderna, la quale ha notevolmente modificato la società umana in tutti i suoi aspetti. Come afferma McLuhan, «il messaggio di un medium o di una tecnologia è nel mutamento di proporzioni, di ritmo o di schemi che introduce nei rapporti umani. La ferrovia non ha introdotto nella società né il movimento, né il trasporto, né la ruota, né la strada, ma ha accelerato e allargato le proporzioni di funzioni umane già esistenti creando città di tipo totalmente nuovo e nuove forme di lavoro e di svago». Così, lo studio dei media che pervadono la nostra vita quotidiana, prende in considerazione non solo il contenuto, ma il medium stesso e la matrice culturale entro la quale esso agisce; allo stesso modo, non si può stabilire la bontà o la negatività dei prodotti della scienza moderna senza considerare il modo in cui essi vengono usati. C’è, oltretutto, da fare una differenza tra i cosiddetti medium caldi, come la radio o il cinema, ed i medium freddi come la TV o il telefono; i primi non lasciano molto spazio che il pubblico debba colmare o completare, mentre i secondi implicano un alto grado di partecipazione o di completamento da parte del pubblico. Questo significa che gli effetti della radio sull’utente saranno molto diversi da quelli della televisione. Così si sta passando sempre più dallo studio del contenuto dei messaggi a quello del loro effetto totale; «l’interesse per l’effetto anziché per il significato è una novità fondamentale dell’era elettrica in quanto l’effetto mette in gioco la situazione totale e non un solo livello di informazione». Continuando la sua riflessione sull’impat­to della Tv nella vita quotidiana e nell’istruzione in particolare, McLuhan afferma poi che «noi consideriamo la TV un sussidio accidentale quando in realtà ha già trasformato i processi di apprendimento dei giovani, indipendentemente da ciò che imparano a casa o a scuola». Nell’attuale «villaggio elettronico», infatti, l’esperienza del mondo è irrisoria in confronto a quella filtrata dai media che finiscono con il modellare in buona parte la visione che l’uomo ha della realtà.

In particolare, il tema dell’influenza della visione di spettacoli aggressivi non è, in realtà, che un aspetto specifico del più generale tema dell’influe­nza della televisione sull’apprendimento di modelli comportamentali di varia natura. In questi anni è imponente l’interesse per questi temi in quanto la televisione è oramai entrata nel mondo occidentale in tutte le famiglie e rappresenta uno strumento dal quale anche e soprattutto i bambini sono fortemente attratti. D’altra parte, in tema di aggressività, è evidente che il più vasto campionario di modelli per l’apprendimento di comportamenti violenti è offerto proprio dai mezzi di comunicazione di massa e in particolare dalla televisione; mentre altri media, infatti, si sono imposti varie forme di autocensura, i programmi televisivi sono pieni di rappresentazioni dirette della violenza. Il fenomeno del contagio dei comportamenti aggressivi è dimostrato dall’andamento ciclico dei nuovi stili di violenza, che molto assomiglia a quello delle mode e di tutte le forme epidemiche di comportamento. Da queste preoccupazioni ha preso l’avvio un abbondante lavoro di ricerca sugli effetti della televisione, nei bambini specialmente. Coloro che maggiormente si sono occupati di questo argomento sono soprattutto i teorici dell’apprendimento; autori come Bandura e Berkowitz avevano già negli anni ’70 evidenziato l’influenza negativa dell’esposizione, sia essa televisiva che cinematografica, a modelli aggressivi. Secondo questi autori c’è innanzitutto da considerare l’azione diretta di insegnamento, di cui non va sottovalutato l’effetto di “aggiornamento tecnico” che i telefilm e i vari programmi televisivi forniscono alla popolazione in genere (ma che probabilmente ha il suo maggiore impatto e utilità sulla popolazione carceraria). Inoltre, il modo in cui viene rappresentata la violenza riduce le inibizioni, offrendo abbondanti giustificazioni riguardo le remore morali; essendo spesso l’aggressione presentata come la soluzione ottimale dei conflitti, questi messaggi veicolano l’immagine della violenza quale strumento principe per il trionfo del bene sul male.

Alla luce dei primi risultati della nostra ricerca-azione, siamo indotti a ritenere ora che tutta questa fondamentale elaborazione teorica vada arricchita con la valutazione degli approfondimenti della funzione catartica della visione di scene di violenza a cui già accennava Freud e che nella dottrina a lui successiva è stata largamente sottostimata. L’assunto che ci sentiamo di proporre e che naturalmente è da verificare con ulteriori esperimenti sul campo e da sostanziare in altra occasione in sede scientifica, è che la funzione catartica possa giungere non solo a contenere l’istinto di aggressività, ma addirittura a ridurlo, se non ad eliminarlo, grazie ai processi di elaborazione fantasmatica dei dati oggettivi che cadono sotto la nostra osservazione. 

Un tale processo, che risulta più agevole e naturale nei bambini, essendo essi meno condizionati degli adulti dai vissuti di violenza individuale e sociale, può anzi produrre negli adulti effetti maggiormente incidenti, essendo essi maggiormente indotti dall’esperienza ai processi di razionalizzazione.

I modelli teorici più recenti, d’altro canto, non si limitano a considerare l’influenza del mezzo televisivo come stimolo esterno, ma prendono in esame molte variabili individuali, familiari e sociali ed in particolare i processi psichici coinvolti; lo spettatore, infatti, sia esso adulto che bambino, non è psicologicamente inerte di fronte agli stimoli televisivi, ma compie complessi processi di elaborazione nei confronti dell’immagine e del messaggio. La teoria dell’elaborazione dell’informazione già permette dunque di aggiungere, ai risultati delle ricerche precedenti, la conoscenza dei processi psichici coinvolti nello spettatore di un programma televisivo violento.

Ad un primo livello, quello cosiddetto della codifica dell’informazione, la televisione può offrire dei modelli di comportamento aggressivo, dei copioni da inserire in memoria; a questo stadio è rilevante la valenza emotiva dell’evento, in quanto una sua connotazione non neutra ne aumenta la salienza ed aumenta la probabilità che il copione aggressivo venga memorizzato stabilmente. Ad un secondo livello, che è quello della ripetizione del modello per la sua fissazione in memoria a lungo termine, la televisione può agire come momento di esercizio e ripetizione, appunto, indiretta di schemi aggressivi; attraverso l’identificazione con i personaggi televisivi, infatti, si esercitano indirettamente le sequenze comportamentali violente che si stabiliscono così nella memoria. Inoltre, maggiore è l’identificazione, maggiore è l’effetto di memorizzazione del comportamento; questo implica che le età che maggiormente si caratterizzano per la ricerca di modelli di identificazione, quali la preadolescenza e l’adolescenza, siano anche quelle nelle quali tale fenomeno ha più effetto.

Ed è qui che può inserirsi ora un terzo livello. Dopo quello della codifica e quello della ripetizione del modello e della identificazione con esso, il livello del distacco e del superamento del modello. Metabolizzando la “ritualità” delle situazioni di violenza e di aggressività, si metabolizza, insieme, la loro “irritualità” rispetto al pacifico contesto civile a cui per vivere e sopravvivere naturalmente si tende. E si razionalizza, dunque, la opportunità di ridurre i comportamenti violenti.

Questo vale, a prescindere dalla fascia di età di appartenenza, anche per quei soggetti che vivono in ambienti di vita in cui non esistono modelli di identificazione adeguati. Dato che l’identificazione con il modello è più facile quanto più questo viene vissuto come realistico, se ne deriva che i ragazzi la cui famiglia e ambiente sociale circostante offrono frequenti esempi di comportamento aggressivo, sono quelli che maggiormente saranno influenzati dai modelli televisivi violenti; in questi casi, infatti, la televisione aumenterebbe il rischio che gli schemi comportamentali offerti dall’ambiente vengano immagazzinati.

Ma si può immagazzinare e razionalizzare, anche, il comportamento di segno opposto.

Lo studio di Bandura, cui si è accennato precedentemente, insieme a molti altri che successivamente si sono aggiunti, ha portato alla comune convinzione che assistere a scene di violenza accresce l’aggressività dell’osservatore. In America si sono moltiplicati gli studi sugli effetti della violenza dei mezzi di comunicazione sui bambini; si è riscontrato che un normale bambino americano all’età di sedici anni ha assistito più o meno a 20.000 omicidi e molti di questi bambini imitano il comportamento di tipo aggressivo degli eroi televisivi. In accordo con queste ipotesi, i risultati di uno studio longitudinale dimostrano che effettivamente la televisione ha incoraggiato la violenza, come si vede dallo schema qui riportato.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sebbene, però, molti studi di correlazione come questi abbiano messo in luce che esiste una correlazione tra l’assistere a spettacoli violenti per televisione e il comportamento aggressivo, queste ricerche non possono dirci se la televisione ispira comportamenti aggressivi o se invece gli individui aggressivi tendono più frequentemente a scegliere programmi televisivi con molte scene di violenza. In realtà, non ha senso seguire un modello di spiegazione unicausale, secondo il quale sia nella famiglia, nell’ambiente sociale o nella televisione la causa del comportamento aggressivo; d’altronde, come hanno puntualizzato L.R.Huesmann e L.D.Eron in una complessa ricerca longitudinale su questo tema, guardare spettacoli violenti in TV rappresenta, in una reazione circolare, sia un precursore che una conseguenza del comportamento aggressivo. Si determina, infatti, un giro vizioso di reciproco rafforzamento, in cui i bambini più aggressivi guardano gli spettacoli più violenti, e gli spettacoli violenti facilitano l’apprendimento di comportamenti aggressivi. In effetti, l’ampia esposizione a modelli aggressivi attraverso la televisione comporta che in primo luogo vengano appresi (codificati, elaborati e immagazzinati in memoria) soprattutto copioni violenti e non strategie di soluzione pacifica dei conflitti interpersonali, come la negoziazione e la cooperazione. Avviene pertanto un apprendimento limitato a modalità aggressive di risoluzione dei conflitti sociali, facendo sì che tale soluzione venga legittimata ed accettata, oltre che generalizzata ad una vasta gamma di situazioni che implicano una relazione interpersonale.

Se si volesse mettere in discussione la rilevanza della televisione per la costruzione della concezione individuale del mondo, basterà pensare a quanti di noi hanno l’opportunità di osservare la realtà delle stazioni di polizia, delle aule giudiziarie o degli uffici di presidenza delle grandi società e al fatto che, nonostante ciò, tutti abbiamo una immagine di questi ambienti e situazioni; queste immagini fornite dalla televisione, infatti, vengono considerate rappresentative del mondo reale ed è anche su tali modelli che noi pensiamo e conosciamo il nostro ambiente sociale. Se tale è l’effetto sugli adulti, allora si può immaginare l’impatto che la televisione può avere sui bambini. Di conseguenza, come hanno dimostrato alcune ricerche, la violenza sul teleschermo induce gli spettatori a percepire il mondo reale come più pericoloso di quanto realmente sia, la qual cosa influenza anche il modo in cui la gente si comporta; questi sondaggi mettono in guardia sul fatto che gli effetti della TV dovrebbero essere valutati non solo in termini di immediati cambiamenti di comportamento, ma anche nel grado in cui essa coltiva determinate visioni della vita.

 

Risultati della ricerca

Si è visto come i diversi autori si siano schierati in posizioni teoriche opposte rispetto alla definizione dell’aggressività come istinti o comportamento appreso; ugualmente esistono ipotesi divergenti riguardo l’effetto dell’esposizione a comportamenti violenti ed aggressivi. Da una parte, di derivazione freudiana, si sostiene l’ipotesi della funzione catartica, secondo cui assistere a scene di violenza permetterebbe allo spettatore di scaricare vicariamente la propria energia aggressiva attraverso l’identificazione con l’aggressore; dall’altra, l’identificazione con un modello aggressivo aumenta le probabilità che venga messo in atto successivamente un comportamento violento in funzione dell’azione degli agenti rinforzanti e dell’appren­di­mento osservativo.

Sebbene non sia possibile assumere una posizione radicale in un senso o nell’altro della disputa, i dati da noi ottenuti finora danno dunque maggiore sostegno all’ipotesi della riduzione catartica dell’aggressività. La numerosità del campione studiato e alcune difficoltà organizzative intervenute, ci hanno permesso, ad oggi, di completare l’analisi dei dati raccolti nei tre gradi di scuola appartenenti alla fascia socioeconomica del proletariato. I grafici riportati di seguito sono relativi alle percentuali di colori aggressivi e pacifici usati in ognuna delle 4 vignette proposte e alle risposte verbali attribuite ai personaggi dei fumetti, anch’esse distinte in aggressive e pacifiche per ognuna delle 4 vignette. Per rendere immediatamente leggibili ed intuibili i risultati ottenuti, ci sembra utile raggruppare tali grafici per gradi di scuola e per gruppi sperimentali, in modo da poter confrontare le differenze riscontrate nelle diverse condizioni di esposizione televisiva; inoltre, per considerare l’influenza della variabile sesso, ci è sembrato opportuno riportare i dati separati per maschi e femmine, oltre ai dati riassuntivi di entrambi i sessi.

 

Scuola Materna

La scuola materna scelta in rappresentanza del proletariato è la “Giovanni XXIII”; il numero medio di alunni per ogni classe considerata è di 20. Inoltre, tutte le classi sono state sottoposte all’esperimento nello stesso giorno.

Considerando le risposte date attraverso la colorazione dei fumetti, riportiamo di seguito i dati relativi ai 3 gruppi sperimentali; il gruppo C di controllo ha assistito ad un filmato a contenuto neutro (I Tenerissimi), il gruppo X ad un filmato pacifico (Pollyanna) mentre il gruppo Y apparteneva alla condizione di esposizione a scene violente (filmato Dragon Ball). Tutti e tre i filmati erano cartoni animati selezionati tra i programmi televisivi attuali maggiormente seguiti dai bambini.

 

 

Risposte di colorazione senza distinzione di sesso.

 

 

In generale, si può osservare in tutte le condizioni sperimentali una maggiore percentuale di risposte pacifiche nonostante l’intervento dell’esposizione a modelli violenti. Le differenze nei valori sono talmente minime (52% nel gruppo X e 54 % nei gruppi Y e C) da poter escludere un intervento significativo della manipolazione sperimentale.

 

 

 

Risposte di colorazione - Maschi

 

I dati relativi al gruppo dei maschi confermano il quadro generale evidenziato nella popolazione generale degli alunni della scuola materna del proletariato; tale configurazione si ritrova anche nel gruppo delle femmine, come si può vedere dai grafici seguenti:

 

 

Risposte di colorazione - Femmine

In definitiva, per quanto riguarda l’indice della colorazione dei fumetti negli alunni di scuola materna appartenenti al proletariato, sembra non emergere alcuna differenza sostanziale tra le due condizioni sperimentali sottoposte alla visione di filmati aggressivi e pacifici (la differenze variano da uno scarto dell’1% al 4%), laddove ci si attendeva un notevole aumento nelle risposte aggressive successivamente alla visione del filmato violento; tale differenza inoltre non si evidenzia tra i gruppi divisi in base al sesso. I valori ottenuti dai gruppi di controllo, molto vicini a quelli degli altri due gruppi, suggeriscono l’assenza di una modificazione significativa del comportamento dei soggetti in risposta alla visione dei filmati ad alto contenuto affettivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Passando ai dati relativi all’altro indice da noi utilizzato, i dialoghi dei personaggi delle vignette, confrontiamo dapprima le risposte date dal gruppo nel suo insieme per poi verificare i risultati distinti per la variabile sesso.

 

 

 

Risposte ai dialoghi senza distinzione di sesso

Anche in questo caso, il numero di risposte pacifiche è superiore in tutte le condizioni sperimentali, riportano il valore massimo del 61% nel gruppo di controllo; contrariamente all’ipotesi di partenza, il numero di risposte aggressive date dal gruppo X (58%), sottoposto alla visione del filmato pacifico, risulta essere superiore a quello del gruppo Y (57%) sebbene tale differenza non sia significativa.

Considerando i dati relativi ai due gruppi, maschile e femminile, osserviamo, invece, differenze più marcate, come si può osservare dai grafici che seguono.

 

 

Risposte ai dialoghi - Maschi

Confrontando i dati del gruppo di controllo con gli altri due, possiamo notare una diminuzione delle risposte aggressive nei due gruppi sperimentali rispetto alla condizione neutra; questo quadro fa propendere verso l’ipotesi della riduzione dell’aggressività attraverso la scarica vicaria dell’energia sottostante al comportamento violento. Questi risultati però contrastano con quelli ottenuti nel gruppo delle femmine, come sotto riportato.

 

 

Risposte ai dialoghi - Femmine

In questo caso, infatti, la tendenza sembra essere opposta a quella riscontrata nel gruppo dei maschi; rispetto alla condizione di controllo, le bambine hanno aumentato il numero di risposte aggressive a seguito della visione del filmato, indipendentemente se questo riguardasse scene di violenza o pacifiche. Potrebbe essere intervenuto un fattore estraneo alla variabile indipendente, riguardante un generale aumento della reattività dei soggetti, presente in entrambe le condizioni sperimentali.

Un grafico riassuntivo dei dati ci consente di confrontare meglio i due gruppi di soggetti in base al sesso:

 

 

 

 

Riassumendo i dati esposti in quest’ultimo grafico, in generale i soggetti della scuola materna hanno prodotto minori risposte aggressive ai dialoghi nella condizione C di controllo, e un maggiore numero di risposte aggressive nella condizione Y di filmato aggressivo; sebbene questi dati siano in linea con l’ipotesi dell’apprendimento osservativo dell’aggressività, le differenze sono troppo minime per assicurarci una significatività statistica a sostegno di tale ipotesi.

Piuttosto, è proprio la scarsa significatività statistica dell’ipotesi dell’apprendimento dell’aggressività rispetto ai risultati di altri e celebrati esperimenti a confermare ulteriormente l’opportunità di valutare anche, se non altro sul piano delle possibili variabili scientifiche, l’ipotesi del tutto opposta della riduzione dell’aggressività.

Inoltre, se consideriamo separatamente i gruppi dei maschi e delle femmine, si riscontrano due opposte tendenze; nei maschi l’osservazione di un filmato violento corrisponde al minor numero di risposte aggressive, mentre nelle femmine accade il contrario. Possiamo ipotizzare che la variabile “sesso” possa avere un’influenza significativa nella determinazione dell’in­fluenza della televisione sull’affettività dei soggetti.

 

Scuola Elementare

Gli alunni della scuola elementare “Giovanni XIII” appartenenti alle terze classi sono stati divisi nei tre gruppi sperimentali e sottoposti all’esperimento nello stesso giorno; le classi contenevano un numero medio di 20 alunni. Inoltre, l’appartenenza allo stesso Istituto della materna ci ha consentito di controllare maggiormente fattori inerenti alle variabili contestuali e di ottenere una maggiore confrontabilità tra i risultati dei due gradi di scuola considerati.

Mantenendo la stessa sequenza utilizzata per la presentazione dei dati inerenti alla scuola materna, considereremo prima i dati relativi alle risposte di colorazione ai fumetti, divise per gruppi sperimentali e per la variabile sesso dei soggetti. Successivamente passeremo a considerare le risposte ai dialoghi delle vignette; questa distinzione è utile perché i dati si presteranno ad interpretazioni diverse essendo diversi i risultati ottenuti attraverso i due indici comportamentali da noi utilizzati per stabilire il grado di aggressività indotta dalla visione dei filmati.

Consideriamo, allora, le percentuali di risposte di colorazione degli alunni appartenenti alla fascia di età 7-8 anni.

Risposte di colorazione senza distinzione di sesso

In generale, i tre gruppi mostrano una percentuale di risposte aggressive pressochè identiche, cosa che ci consente di interpretare l’impatto dei filmati come nullo; degno di nota è il fatto che la percentuale di risposte aggressive del gruppo di controllo C risulta essere esattamente la stessa osservata nel gruppo Y i cui componenti sono stati esposti alla visione del filmato violento, il quale, secondo l’iniziale ipotesi di apprendimento osservativo, avrebbe dovuto provocare, al contrario, un visibile aumento delle risposte aggressive.

Consideriamo ora le risposte ottenute dai due gruppi distinti in base al sesso.

 

 

 

Risposte di colorazione - Maschi

Si può osservare una diminuzione dell’1% di risposte aggressive successivamente alla visione dei filmati pacifico e aggressivo, rispetto alla condizione di controllo. Tale differenza non ci consente di ipotizzare una reale diminuzione dell’aggressività essendo il valore troppo basso, ma è interessante notare la mancata specificità degli effetti prodotti dai due filmati a contenuto emotivo opposto.

 

 

Risposte di colorazione – Femmine

In questo caso, il gruppo di controllo ha prodotto il minor numero di risposte aggressive (43%), indicando che la visione dei filmati nelle condizioni X e Y può aver determinato un cambiamento nel comportamento nella direzione di una aumentata violenza; è da notare, però, che il maggior numero di risposte aggressive è presente nel gruppo che ha assistito a scene pacifiche e serene (47%), cosa che ci induce a riconsiderare l’ipotesi catartica della scarica dell’aggressività, sebbene una conferma definitiva a questa ipotesi richiederebbe dati più evidenti e significativi.

Riassumendo i dati relativi ai tre gruppi, possiamo osservare le seguenti relazioni fra tali gruppo, tenendo sempre presente la variabile sesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come si può osservare facilmente da questo grafico riassuntivo, ci sono notevoli sovrapposizioni tra i gruppi sia considerando i dati insieme che divisi per soggetti di sesso maschile e femminile.

Passiamo ora a considerare le risposte ai dialoghi tra i personaggi delle vignette. Qui abbiamo ottenuto alcuni risultati che possiamo considerare più significativi di quelli finora esposti.

 

Risposte ai dialoghi senza distinzione di sesso

Questi risultati contrastano evidentemente con la nostra ipotesi iniziale dell’aumento delle risposte aggressive successivamente all’osservazione di modelli aggressivi; rispetto alla percentuale di risposte aggressive del gruppo di controllo, invece, osserviamo una diminuzione di tali risposte nel gruppo Y (19% rispetto al 30% del gruppo C). Ciò sostiene l’ipotesi catartica della scarica vicaria dell’energia aggressiva attraverso l’identificazione con i personaggi violenti. Di più difficile interpretazione è, al contrario, l’aumento delle risposte violente successive alla visione del filmato pacifico (39% rispetto al 30%); questi dati necessiterebbero, infatti, di ulteriori approfondimenti.

Sono interessanti, rispetto a questo indice comportamentale, i risultati ottenuti nel gruppo dei maschi e in quello delle femmine, in quanto i due gruppi presentano differenze rispetto all’entità delle differenze tra i gruppi sottoposti alle diverse condizioni sperimentali.

 

 

 

Risposte ai dialoghi - Maschi

I risultati ottenuti dai gruppi di maschi sottoposti all’esperimento confermano la riduzione dell’aggressività in seguito alla visione di modelli violenti (30% del gruppo Y versus 37% del gruppo C), mentre la differenza tra il gruppo X e il gruppo C si dimostra non significativa, essendo dell’ordine dell’1%.

 

Risposte ai dialoghi - Femmine

Anche qui ritroviamo gli stessi andamenti riscontrati nel gruppo dei maschi, ma le differenze risultano più significative; infatti rispetto alla percentuale del 18% di risposte aggressive date dal gruppo di controllo, nel gruppo Y la diminuzione è del 10%, mentre l’aumento nel gruppo X è del 22%. Resta ancora da chiarire, ciò nonostante, i fattori che possono avere determinato tale aumento di violenza in risposta ad un filmato che proponeva, al contrario, modelli di interazione pacifici e sereni.

Concludendo, i dati relativi alle classi della scuola elementare rispetto alla variabile dipendente “risposte ai dialoghi”, sono riassunti nel grafico seguente.

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In sintesi, si è osservato che, riguardo al gruppo di controllo, le femmine tendono a produrre il minor numero di risposte aggressive rispetto ai maschi, così come ci si aspetterebbe in base alle norme sociali e alle differenze di genere. Ma se osserviamo i dati relativi al gruppo X, vediamo che la percentuale delle risposte aggressive è dato proprio dal gruppo delle femmine; al di là di tale particolare, tutto il gruppo X mostra i valori di aggressività maggiori rispetto agli altri gruppi, tendenza che, come accennato già precedentemente, richiede ulteriori approfondimenti. I dati relativi al gruppo Y, invece, tendono a confermare l’ipotesi della riduzione dell’aggressività in seguito alla visione di filmati violenti, come risultato dell’effetto liberatorio che tale osservazione produce sui giovani spettatori.

 

Scuola Media

La scuola media contattata, contenente un’utenza di classe proletaria, è la S.M.S. Aliotta; anche queste classi erano composte in media da 20 alunni ciascuna, e l’assegnazione delle classi alle tre condizioni sperimentali è stata casuale, mentre la somministrazione dei test proiettivi e la visione dei filmati sono avvenuti nel medesimo giorno per tutti i gruppi.

Come vedremo tra breve attraverso i grafici, le risposte date da questo gruppo di soggetti di 11-12 anni di età sono diversi da quelli ottenuti finora. Queste differenze fanno presupporre la inevitabile influenza dei fattori evolutivi e di maturazione che rendono tali gruppi diversi sotto alcuni aspetti. Vediamo, allora, in che direzione i fattori evolutivi influenzano le risposte ai filmati aggressivi o pacifici.

Consideriamo sempre per primi i dati relativi all’indice comportamentale di colorazione del fumetto.

 

 

Risposte di colorazione senza distinzione di sesso

Il gruppo che presenta il maggior numero di risposte aggressive è il gruppo di controllo, mentre la visione di entrambi i filmati, sia pacifico che violento, ha prodotto una identica riduzione del numero di risposte aggressive del 12%. Sebbene, però, sia facilmente interpretabile tale riduzione nel gruppo Y se consideriamo la teoria catartica, non è altrettanto chiaro il fenomeno rispetto al gruppo che ha invece assistito al filmato pacifico. La minore aggressività riscontrata nel gruppo X si potrebbe spiegare come effetto diretto che la visione di interazioni piacevoli e serene fra i personaggi induce ad altrettanto pacifiche risposte negli osservatori; ma rimane in sospeso il motivo per cui nelle altre fasce d’età sia stata riscontrata una opposta tendenza verso l’aumento dell’aggressività, oltre alla mancanza di differenza nella percentuale di risposte nei due gruppi sperimentali che hanno assistito a modelli a valenza emotiva diametralmente antitetica. Probabilmente, i dati si spiegano, per i bambini di questa specifica fascia di età, adottando una visione più complessa dell’interazione tra l’osservazione dei modelli televisivi e il comportamento dei soggetti, non interpretabile con un modello di causalità diretta e lineare come era stato suggerito in passato. Tale complessità sarà ancora più evidente quando andremo a considerare i dati relativi al secondo indice comportamentale delle risposte ai dialoghi tra i  personaggi delle vignette.

Per evidenziare le eventuali differenze tra maschi e femmine, dividiamo i risultati per i  due gruppi.

 

Risposte di colorazione – Maschi

Il quadro riscontrato per maschi e femmine insieme, sono ancora più evidenti se si considera il gruppo di maschi separatamente. La riduzione dell’aggressività rispetto al gruppo di controllo è del 15% per il gruppo Y e del 14% per il gruppo X.

 

Risposte di colorazione - Femmine

Anche nel gruppo delle femmine i dati confermano la riduzione delle risposte aggressive nei due gruppi sperimentali, sebbene tali riduzioni siano di minore entità (9% per il gruppo Y e 10% per il gruppo X).

Volendo riassumere i dati per una migliore visibilità d’insieme, proponiamo il seguente schema. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come si può chiaramente vedere, in questo gruppo di età le risposte aggressive sono presenti in percentuali maggiori  nel gruppo C di controllo, mentre le altre due condizioni sperimentali hanno prodotto percentuali di risposta aggressiva più basse e pressoché identiche.

Considerando, infine, le risposte ai dialoghi delle vignette, quindi l’attribuzione da parte dei soggetti di qualità pacifiche o aggressive ai personaggi, abbiamo ottenuto dei dati diversi.

 

Risposte ai dialoghi senza distinzione di sesso

Rispetto a questo indice comportamentale o variabile dipendente da noi considerata, troviamo una variazione rispetto a quanto abbiamo ottenuto con la risposta di colorazione del fumetto; in questo caso, non solo il gruppo C e il gruppo X presentano la stessa percentuale di risposte aggressive, notevolmente inferiore alla percentuale di risposte pacifiche (15% aggressive versus 85% pacifiche), ma il gruppo Y mostra un aumento delle stesse del 13%. Essendo questo dato maggiormente interpretabile con l’ipotesi di Bandura sull’apprendimento osservativo, possiamo ipotizzare anche una differenza negli indici da noi utilizzati.

Se confrontiamo la proporzione di risposte pacifiche emerse con i due indici comportamentali utilizzati, riscontriamo una maggiore pacificità nei soggetti quando devono rispondere attraverso i dialoghi che non colorando le vignette (59% di risposte di colorazione pacifiche versus l’85% di risposte pacifiche ai dialoghi). Possiamo, allora, supporre una minore tendenza e capacità di controllo sulle proprie reazioni emotive da parte dei soggetti quando il compito da eseguire consiste nella colorazione delle vignette che non quando si devono attribuire ai personaggi, in modo certamente più consapevole, tendenze aggressive. In altre parole, è probabile che il filmato aggressivo abbia comunque prodotto un effetto di imitazione sugli osservatori (effetto che diventa palese se osserviamo la proporzione di risposte aggressive tra loro), la cui espressione comportamentale però diviene palese solo attraverso una prova proiettiva che non lascia intravedere ai soggetti il significato della propria performance; la prova di colorazione rende i soggetti più liberi di agire secondo le disposizioni naturali e spontanee del momento, mentre i dialoghi implicano già l’intervento di processi cognitivi più elevati e l’attivazione di difese all’emergere di sentimenti palesemente spiacevoli. La differenza tra questi due indici comportamentali, inoltre, è risultata più evidente nei soggetti di 11-12 in quanto le strutture di pensiero e difensive in questa fase evolutiva sono più mature e complesse che non nelle fasi precedenti dello sviluppo cognitivo ed emotivo.

Ma se passiamo a confrontare le variazioni nelle percentuali di risposte aggressive, in base all’indice della attribuzione di dialoghi ai personaggi delle vignette, notiamo un aumento delle risposte aggressive nel gruppo Y rispetto agli altri due gruppi; ciò indica che la visione di un filmato aggressivo aumenta le probabilità che venga messo in atto un comportamento violento da parte degli spettatori. È pensabile, dunque, che il comportamento aggressivo sia molto più complesso di quanto si possa immaginare a primo acchito; per questo motivo, l’analisi dei dati ottenuti richiede di prestare attenzione a questo doppio livello di interpretazione.

Per quanto riguarda le distinzioni per sesso, osserviamo le seguenti differenze tra il gruppo dei maschi e quello delle femmine, differenze rispetto all’entità delle proporzioni di risposte aggressive tra i gruppi sperimentali e a piccole variazioni di direzione dei risultati.

 

Risposte ai dialoghi – Maschi

Nel gruppo dei maschi le differenze più significative sono state riscontrate tra il gruppo X, che ha ridotto le risposte aggressive rispetto ai controlli totalizzando il 20%, e il gruppo Y che, viceversa, ha aumentato le risposte aggressive del 10% (25% controlli versus 35% del gruppo Y). In effetti, il gruppo di controllo si colloca esattamente al centro con il 25% di risposte aggressive attribuite ai personaggi, rispetto al quale i due gruppi variano del 5-10% al di sopra o al di sotto di esso. Stando a questi dati, possiamo sia confermare l’ipotesi dell’effetto positivo dell’assistere a modelli di interazione pacifici che l’effetto negativo dei filmati violenti; ma tali variazioni ancora non sono sufficientemente forti da superare i dubbi sulla significatività statistica e necessitano di ulteriori conferme.

Il gruppo delle femmine presenta variazioni intergruppo molto più evidenti.

 

Risposte ai dialoghi - Femmine

In questo caso, la percentuale minore di risposte aggressive è stata riscontrata nel gruppo C (5%). Ma contrariamente al gruppo dei maschi, anche il gruppo X ha mostrato un aumento delle risposte aggressive rispetto ai controlli, sebbene tale aumento sia minore (10% versus 5%) rispetto a quello riscontrato nel gruppo Y che ha assistito a scene violente (20% versus 5%). Se confrontiamo le risposte di colorazione e quelle ai dialoghi vediamo che le tendenze sono opposte; nel primo caso abbiamo riscontrato una diminuzione in entrambi i gruppi sperimentali rispetto ai controlli delle percentuali di risposte aggressive, mentre nel secondo si osserva un aumento della aggressività successivamente alla visione dei due filmati pacifico e violento.

Il grafico sottostante illustra in sintesi i dati emersi utilizzando questa variabile dipendente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In definitiva, i ragazzi delle medie, attribuendo ai personaggi frasi a contenuto affettivo, sembrano aver subito un qualche effetto dalla visione del filmato violento; infatti, all’interno di questo gruppo, coloro che appartenevano al gruppo Y hanno dato le percentuali maggiori di risposte aggressive, mentre coloro che appartenevano al gruppo X hanno mostrato una riduzione nell’espressione dell’aggressività rispetto ai controlli (sebbene per le femmine prese singolarmente valga il contrario). 

Conclusioni

Riassumendo i dati significativi emersi finora, nella scuola materna non si è verificato nessun impatto dei programmi televisivi osservati sul successivo comportamento dei soggetti in termini di pacificità o aggressività; inoltre, non c’è differenza per i bambini di 3-5 nell’utilizzare i colori o nell’attribuire frasi ai personaggi dei fumetti. Ciò è spiegabile considerando le difficoltà di elaborazione delle informazioni contenute sia nei filmati che nelle prove proiettive; si può ipotizzare che i bambini di questa età non siano influenzati dai modelli televisivi perché forse non ancora sensibili a cogliere le implicazioni affettive e morali delle azioni che osservano in Tv. Inoltre, essendo i processi cognitivi ancora in fase di sviluppo, è possibile che le funzioni di memorizzazione, attenzione, selezione delle informazioni ed elaborazione delle implicazioni causali delle azioni non siano ancora pienamente padroneggiate, così che l’impatto di tali messaggi su di loro in qualche modo risulta neutralizzato.

Nella scuola elementare, l’unico dato di rilievo è stata la diminuzione dell’aggressività nel gruppo Y (soprattutto nelle femmine), rilevata attraverso i dialoghi attribuiti ai personaggi dei fumetti. Questi risultati sono a favore dell’ipotesi catartica dell’osservazione dell’aggressività; le implicazioni di ciò potrebbero essere tranquillizzanti, in quanto ci libererebbero dal timore che assistere a modelli violenti, cosa peraltro sempre più frequente ai giorni nostri, conduca all’aumento di probabilità che venga ripetuto dai giovani telespettatori. In attesa di ulteriori conferme a questa ipotesi, per ora possiamo supporre che la massiccia esposizione dei bambini alla televisione e ai computer che caratterizza l’epoca attuale, abbia condotto ad una “assuefazione” e “abituazione” nelle reazioni riflesse tali per cui il loro impatto si sta neutralizzando sempre più.

Infine, nella scuola media abbiamo dovuto distinguere gli effetti osservati a seconda dell’indice comportamentale considerato; l’aggressività nel gruppo Y diminuisce rispetto al gruppo di controllo se l’indice è la colorazione del fumetto, ma aumenta se si considerano i dialoghi attribuiti ai personaggi. Questa contraddittorietà ci dimostra come, man mano che subentrano complessi processi cognitivi di elaborazione e di mediazione tra l’evento osservato e la performance, sia sempre più necessario considerare i diversi fattori che possono influenzare il comportamento individuale; dal contesto (famiglia, gruppo dei coetanei e cultura) alle regole morali, dall’interpretazione alla motivazione, dallo stile di personalità alle emozioni. Oltre ad evidenziare la complessità dell’atto aggressivo, tali risultati ci hanno però anche dimostrato la presenza di una grossa percentuale di risposte pacifiche rispetto agli altri gruppi di età e tra le risposte ai dialoghi e quelle di colorazione; è probabile che con l’età i bambini siano in qualche modo educati o sensibilizzati sugli aspetti negativi della violenza da parte delle loro figure significative (genitori e insegnanti) che tendono a punire i comportamenti in tal senso e ciò fa sì che essi si difendano dall’emergere di questi istinti o atti violenti per quanto gli è possibile. L’aggressività viene controllata certamente meglio in un compito che prevede una verbalizzazione cosciente che non in un test proiettivo in cui il soggetto non può intravedere il reale significato inconscio di ciò che sta facendo.

Questo discorso rimarrebbe probabilmente afinalistico se non fosse in un certo qual modo collegato al tema della prevenzione dell’aggressività; questo è comunque il punto più controverso di tale fenomeno per il quale dobbiamo necessariamente allargare l’ambito di osservazione e intervento. La prevenzione dovrebbe prendere in considerazione le tre fonti principali di modelli di aggressione, quali la famiglia, i mass-media e il gruppo dei coetanei. Forse il discorso è più semplice proprio per la TV che per agli altri media, in quanto basterebbe utilizzare la stessa micidiale efficacia della televisione nell’insegnare la sopraffazione rivolgendola al miglioramento dell’uomo. Quanto ai gruppi di ragazzi, l’intervento preventivo dovrebbe passare per il miglioramento del tessuto urbano, rispetto all’offerta di spazi e centri di aggregazione; ma per la presentazione di modelli alternativi di convivenza il ruolo principale spetta alla scuola. L’esperienza educativa dovrebbe, infatti, fornire ai giovani gli strumenti cognitivi e sociali in vista del raggiungimento della responsabilità e della collaborazione che, attraverso l’uso del negoziato per la risoluzione dei conflitti, permettano di apprendere schemi di condotta non violenti, più maturi e costruttivi.


[1] Docente di Psicologia degli atteggiamenti e delle opinioni, Università di Urbino